Capaneo

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CAPANEO

Capaneo è uno degli eroi che, pur non essendo stato mai amato da scrittori e poeti, meglio rappresenta l’orgoglio umano, soprattutto perché fu per secoli unico nel suo atteggiamento.
Capaneo è un personaggio della mitologia classica e quindi non riconducibile a nessuna realtà storica. Egli era figlio di Ipponoo e di Astinome. Dotato di un fisico gigantesco e possente, fu uno dei sette principi che, con Adrasto, partecipò alla mitica spedizione dei “Sette contro Tebe”. Valorosissimo, Capaneo riuscì a scalare per primo le mura della città. Insuperbito dalla sua impresa eccezionale, l’eroe gridò a gran voce che era invincibile e nessuno poteva sconfiggerlo, neppure gli dei; sfidò, anzi, Giove, che degli dei era il re, a difendere quelle mura, se ne era capace.

Il re degli dei non si fece pregare e colpì Capaneo con il fulmine, facendolo precipitare giù da quelle mura che con tanto orgoglio aveva appena scalato. La moglie Evadne, per il dolore, decise di seguirlo nel tragico destino gettandosi sul rogo che bruciava il suo corpo.
Il figlio di Capaneo, Stenelo, partecipò alla spedizione degli Epigoni che espugnò Tebe e successivamente fu alla guerra di Troia.

Una leggenda narra che Capaneo sia stato resuscitato da Asclepio.

Se vogliamo collocare Capaneo in un’epoca storica, allora possiamo dire che, essendo questo eroe di una generazione precedente alla guerra di Troia (1200-1180 a.C.), egli visse nel XIII secolo a.C..

Capaneo era fiero ed orgoglioso della sua forza. Per lui possiamo prendere in prestito i versi che Lucrezio (Libro I, vv 66-67) usa per rendere omaggio al grande filosofo greco Epicuro:
primum Graius homo mortales tollere contra
est oculos ausus primusque obsistere contra"
(fu un uomo greco (Epicuro) che per la prima volta osò alzare contro i suoi occhi mortali e per primo resistere).

Capaneo fin dall’antichità ispirò poeti e scrittori.
I grandi tragediografi greci Eschilo, nella tragedia “I Sette a Tebe”, ed Euripide nelle “Supplici”, lo portano ad esempio di empietà e tracotanza.
Anche il latino Papinio Stazio, nella sua “Tebaide”, parla di Capaneo. Possiamo, però, dire che in fondo questo scrittore mostra ammirazione per l’eroe greco che, benché colpito a morte e con il corpo in fiamme, ancora si rialza, emette l’ultimo respiro volgendosi alle stelle e contrappone il suo gigantesco corpo contro le mura che aveva appena scalato,

Pure Dante (Inferno Cap. XIV, vv. 43 e seg.) ricorda questo eroe greco, ma lo pone nell’Inferno, tra i bestemmiatori e violenti contro Dio. Ed anche nell’Inferno (e quindi da morto) Capaneo continua ad essere tracotante e bestemmia contro gli dei offendendo Vulcano (un dio a tutti gli effetti, anzi figlio di Giove e Giunone) definendolo fabbro del re degli dei. Il suo atteggiamento deriva dal fatto che, benché sconfitto, egli non si sente domato e non ammette la superiorità degli dei. Di conseguenza la potenza riunita di Giove, Vulcano e di tutti i Ciclopi potrebbe sconfiggerlo, ma non avere ragione dell’orgoglio di Capaneo.

Eroe superbo e tracotante? Forse per gli antichi e per Dante, uomo del Trecento …. Oggi, sicuramente, Capaneo è più benvisto ed in lui si ammira proprio l’uomo che si oppone agli dei, al destino e si ammira anche l’orgoglio del mortale che non vuole arrendersi alla potenza degli dei immortali benché ormai vinto e annientato.


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