De minimibus
Da Pklab.
DE MINIMIBUS
Città del Tuscio 4.4.2001
Non mi interessano le grandi imprese, né le svolte storiche o epocali. In verità neppure mi accorgo di esse: non vedo, infatti, grandi cambiamenti e non vedo alcun nuovo che avanza. Nonostante la frenesia che sembra aver colpito l’uomo in questi tempi cosiddetti moderni, ho la sensazione che il mondo sia fermo, la società immobile nella sua assurda corsa verso la rovina. Niente di nuovo sotto il sole o meglio, per dirla come i miei compaesani di un tempo, “munno era e munno è”.
Per questo mi soffermo con molto più piacere su cose o eventi che sembrano insignificanti, che spesso non mi riguardano per niente e, più che toccarmi, mi sfiorano marginalmente, in modo quasi impercettibile. Sono spesso proprio questi i fatti che mi riempiono la vita anche se non ne parlo perché non interessano nessuno, anche se andranno via in modo indolore, senza che il mondo se ne accorga, senza che io stesso me ne accorga: sono le “cose” di tutti i giorni, povere, silenziose, umili, senza le quali non esisterei, senza le quali niente esisterebbe. Al mattino si inizia con il treno … è un treno di pendolari. Come tutti i treni e gli autobus che partono o transitano per Ladispoli è sempre pieno, ma, bisogna ammetterlo, si viaggia comodi … c’è sempre il posto a sedere, anzi spesso e volentieri mi trovo anche nella condizione di scegliere il posto dove sedermi, il mio compagno di viaggio, anche se poi sarà un compagno di viaggio muto, con il quale non ci siamo mai salutati e sicuramente non ci saluteremo in seguito. Non parlo con nessuno durante tutto il tragitto, salvo rare eccezioni che si possono contare sulle dita di una mano sola … ma è il mio treno.
Una mattina arrivo tardi alla stazione; giungo sul binario quando il treno ha appena cominciato a muoversi; lo vedo allontanarsi lento, quasi contro voglia … mi assale un senso di tristezza come per un vecchio amico che è partito senza di me, senza che io abbia avuto il tempo di salutarlo.
I pendolari a Ladispoli sono tanti, ho la sensazione che pendolano tutti … in pochi minuti il marciapiede del binario è di nuovo pieno di gente ed intanto già è in arrivo il treno proveniente da Civitavecchia. Bisogna dire che Ladispoli è collegata molto bene con la capitale, con Civitavecchia e Cerveteri che è a due passi. Si trova davvero in una posizione felice: avesse avuto in passato saggi amministratori oggi farebbe invidia a località rinomate, più apprezzate e famose … Il treno è giunto nella stazione ed io salgo a bordo … ma lo sento ostile, come ostili mi sembrano tutti i passeggeri, anche se sconosciuti. Che strano! Mi affeziono ad un treno, a piccole cose, a gesti rituali, a volti anonimi e sconosciuti che diventano familiari.
Quando scendo dal mio treno alla stazione di San Pietro e mi avvio a piedi verso la metropolitana di Ottaviano, è tutto come un film che si ripete. Anche altre persone, tante, scendono con me e si avviano a piedi, silenziose o chiacchieranti, solitarie o in compagnia, frettolose o lente verso la loro destinazione. Io sono in coda. Ho lasciato passare tutti quelli che sembrano avere una fretta del diavolo e corrono, chiedono permesso, spintonano; ho lasciato passare quelli che sembrano essere in perenne ritardo o timorosi che la loro meta possa perdersi nel nulla come un miraggio per fare loro un dispetto. Sono ultimo anche perché mi sono fermato a prendere il giornale “Leggo” che è distribuito gratuitamente dentro la stazione. Ne prendo sempre due copie, perché una la porto ad un collega dell’ufficio che a sua volta la porterà alla figlia alla fine della settimana. La bimba vuole leggere le cose che succedono nella capitale, a Roma ... lei è pugliese.
Alla prima piazzetta, intanto, già raggiungo quella ragazza bruna, non male per la verità, un bel fisico, ma con la faccia sempre seria, quasi scontrosa, arrabbiata direi. Non parla mai con nessuno, sta sempre sola, anche sul treno. Quella volta che una ragazza la chiamò e lei salì nella sua macchina, quasi mi stupii, quasi non credendo ai miei occhi ed alle mie orecchie. La sua destinazione … entra in un cancello: forse si tratta di un istituto religioso o cose del genere. Ero convinto che vi andasse per qualche riabilitazione, che forse stava uscendo da qualche brutto tunnel … che so … droga o altra esperienza negativa. Ora sono sicuro che mi sbagliavo … va a lavorare; sono indeciso se si tratta di una contabile o di una cuoca; sicuramente ha a che fare con i viveri. Come l’ho scoperto? Non mi ricordo come, ma sono sicuro che è così.
Anche lei fa parte delle piccole cose che riempiono la mia vita, anche lei fa parte della gente normale, che la mattina si alza per andare a lavorare, con i suoi problemi, le sue preoccupazioni che nessuno, se non altra gente come lei, può aiutare a superare ... Se qualche mattina non la vedo, allora mi preoccupo un poco; le auguro di aver preso una giornata di ferie, prego il buon Dio che non la faccia stare male …
In Piazza San Pietro, puntualmente, sorpasso quella signora castana … dai vestiti che indossa ero convinto che fosse una ragazza giovane, ma poi una volta l’ho guardata in viso e mi sono accorto che, nonostante ci provi, non può nascondere l’età. Non voglio dire che per lei è giunto il momento di appendere le mutande al chiodo, questo no davvero, ma sicuramente è arrivata l’ora che si convinca di non essere più una ragazzina di primo pelo. In ogni caso se la tira molto e sicuramente lei se la tira ed a chi la vede si allunga; molti si girano, infatti, a guardarla. Porta sempre i pantaloni molto attillati, qualche volta una gonna che scende sotto le ginocchia. Al primo semaforo rosso è lei che mi raggiunge … poi si ferma a Piazza Risorgimento o nei dintorni… io proseguo. Si tratta di una straniera … molto probabilmente una polacca, sicuramente proviene dall’Est. Sono tantissime le straniere che prendono quel treno, sono tantissime quelle che da Ladispoli vanno a Roma, sono tantissime e basta. Che fosse una straniera me ne sono accorto qualche settimana dopo averla vista per la prima volta … non è per giustificarmi, ma bisogna considerare che le donne straniere si camuffano molto bene e si confondono facilmente con quelle nostrane; dopo qualche settimana che stanno in Italia, vuoi per il trucco, vuoi perché subito imparano come comportarsi, si mescolano tra le altre persone e solo un occhio clinico come il mio riesce ad accorgersene … e non sempre. I maschi, invece, li riconosci facilmente anche dopo anni; nei casi dubbi basta vedere se hanno una bottiglia di birra tra le mani. A mare, per esempio, se vedi un ragazzo, o un gruppo di persone, anziani o giovani, che bevono birra non puoi avere dubbi … sono loro. Purtroppo quelle bottiglie te le ritrovi, poi, vuote dappertutto: sulla spiaggia, sui marciapiedi, nei giardinetti. Anzi, i giardinetti sono diventati di proprietà esclusiva: lì si ubriacano, lì dormono, lì fanno i loro bisogni e per la gente perbene diventa rischioso attraversarli, soprattutto la sera o, peggio ancora, la notte.
Così anche quella signora è una straniera, mentre è italiana quella ragazza bionda, una fichetta niente male, che va fino alla metro di Ottaviano. In un primo momento, soprattutto per i capelli, avrei detto che fosse lei la straniera e non l’altra, ma ora sono sicuro che è italiana … si vede che sto invecchiando: non era da me fare queste confusioni. Anche il saper distinguere una straniera da un’italiana sta diventando un mio passatempo; è inutile dire che non ho problemi con africani ed asiatici ...
Quando attraverso Piazza San Pietro guardo sempre verso l’obelisco per vedere se c’è una persona che prega; non avrei bisogno di guardare perché la sua voce stentorea è inconfondibile, ma è istintivo per me volgere gli occhi verso di là. Ormai lo considero come un vecchio amico e quando lo vedo e sento la sua voce tonante, il mio cuore si riempie di gioia come quando rivedo un conoscente.
Piazza San Pietro
Mi piacerebbe sapere qualcosa di lui, chi è, cosa fa nella vita, perché ogni tanto va vicino a quell’obelisco a pregare e a rendere gloria a Dio, quale è il significato delle parole che canta, quale è la ratio che lo guida. La prima volta che lo vidi ero con Ferdinando. Ci sorprese la sua presenza e, quando lo vedemmo anche durante una mattina di pioggia, diventammo più curiosi. Cercammo di capire cosa diceva, senza però riuscirci. Ferdinando era convinto che le sue erano parole senza senso ed egli era un pazzo, uno dei tanti che si aggirano per le città, uno dei tanti ai quali i governanti “hanno ridato” la ragione chiudendo i manicomi. Un giorno, però, notammo che accanto a lui c’era una borsa, la sua borsa, che assomigliava tanto a quella dei medici. Che fosse proprio un medico? Uno psichiatra, magari! Poveri pazienti! … o forse no …
Ora Ferdinando si è trasferito e probabilmente non si ricorda più di quel “cristiano”, sicuramente non pensa più a lui. Io, invece, continuo a vederlo e… sentirlo. Ho scoperto alcune cose interessanti: non sempre si rivolge verso la Basilica, ma a volte anche verso Piazza Risorgimento, e l’indice che punta verso il cielo quando si rivolge a Dio è quello della mano sinistra; inoltre si rivolge a IÈSU (non Gesù) ed a Lui indirizza i suoi “GLORIA”. Sotto le ginocchia stende un fazzoletto, o un tovagliolo, per non sporcarsi i pantaloni; quando piove tiene l’ombrello con la mano destra, perché con la sinistra indica quel cielo dove risiede il suo Dio. Io sono convinto che non è pazzo … è vestito in modo sobrio, ma con giacca e cravatta e, sicuramente, i suoi abiti sono puliti e stirati. Incurante di chi lo osserva e forse ride di lui, mi sembra più una persona che sente il bisogno di ringraziare il buon Dio per una grazia ricevuta o di sciogliere un voto. Chissà ….
Pazzo, miracolato o fanatico è in ogni caso un altro personaggio della mia giornata, una delle piccole cose che contribuiscono a darmi quei momenti di distrazione, di svago o di riflessione che mi riempiono il giorno.
E lascio anche Piazza San Pietro, una piazza che attraverso distrattamente almeno duecento volte l’anno, senza rendermi conto che tanta gente l’ha visto solo qualche volta, qualcuno solo in cartolina e ci sono persone che percorrono migliaia e migliaia di chilometri per poterla ammirare almeno una volta nella propria vita. Gente che viene da ogni parte del mondo, dal Giappone, dall’Australia, dall’America … quanta ne vedo in Piazza San Pietro che scattano foto, fanno filmati o semplicemente osservano ammirati opere grandiose.
Supero anche Piazza Risorgimento … in Via Ottaviano incrocio una ragazza … capelli neri e lunghi, pantaloni, un viso non bellissimo, normale … niente di eccezionale. È una ragazza come tante altre, non appariscente … un giorno aveva la gonna, due gambe non eccezionali, ma meritevoli di essere guardate … interessanti. Mi sono stupito. Quasi quasi avrei voluto chiederle come mai avesse la gonna dopo tanti mesi oppure perché non la mette più spesso. Lei fa finta di guardare in alto … o forse non fa finta, ma è il suo modo di camminare, e d’altra parte anch’io non guardo verso di lei quando le sono vicino. In fondo siamo due estranei che si conoscono perché si vedono ogni giorno ... Non è la sola, metodica persona che incontro … ogni tanto incroci qualcuno e poi lo rivedi il giorno dopo e poi il giorno seguente, e poi lo rivedi ancora e lo riconosci tra migliaia di gente … a volte per un dettaglio insignificante, a volte per altro … sono sicuro che farebbe piacere sentirsi dire: “Salve! Ci vediamo ogni giorno … posso presentarmi? Magari le offro un caffè …! Che ne dice?” Il fatto è che godiamo della nostra solitudine! In fondo siamo tutti un poco misantropi, anche se non abbiamo il coraggio di ammetterlo. Non tutti hanno l’ardire di comportarsi come quella signora, una netturbina, che, una mattina presto, mentre mi recavo a prendere il treno ed era ancora buio, mi fermò e mi disse: “Volevo salutarla! Ci vediamo ogni mattina da mesi e non ci diciamo neppure buongiorno. Mi scusi se l’ho disturbata!” Da quel momento ci siamo detti “buongiorno”, ogni mattina, con un sorriso che non potevamo vedere, anche se poi, a giorno fatto continuiamo ad ignorarci.
Ed arrivo alla metropolitana; sulle scala ci sono due tizi, normalmente sud est asiatici, che distribuiscono gratuitamente “Metro” e “Leggo”; rifiuto con gentilezza perché, non essendo mongoloide, preferisco prenderli con le mie mani nell’apposito contenitore; scendo le scale, prendo il giornale, risalgo in superficie ed aspetto il tram n. 19 che parte da Piazza Risorgimento. Potrei prendere anche l’autobus n. 490, ma preferisco il tram, più lento, meno affollato e che mi dà una sensazione di antico anche se si tratta di mezzi nuovissimi. Alla fermata guardo tra la gente in attesa; mi assicuro che ci siano quelle due ragazze, due studentesse figlie della nostra opulenta società: una è bionda, l’altra è bruna, alte, entrambe sono formose ed eleganti. La loro presenza mi riempie di gioia … se non le vedo, prego il buon Dio che non sia successo loro niente di male … un giorno le ho viste una distante dall’altra, quasi indifferenti ed ho creduto che avessero litigato ... ho sperato che facessero subito pace. Sono importanti quelle due ragazze perché sono due ragazze figlie della mia gente. Salgo sul tram …
Strano … sul tram, sugli autobus e sulle metropolitane non vedi mai un sud-est asiatico in piedi, trovano sempre il posto a sedere, riescono sempre a sedersi. Non so come mai, ma li vedo sempre tutti seduti e non si alzano mai, neanche di fronte ad un anziano, ad una donna incinta, ad uno sciancato … credo che non si alzino neanche di fronte ad un morto. Non ci avevo mai fatto caso. Fu Ferdinando un giorno a farmelo rilevare: “Hai notato che i “filippini” trovano sempre il posto a sedere?”. Da allora mi sono reso conto che è proprio così.
Invece sui treni e sui pullman extra urbani sono i negri a non stare mai in piedi. Anzi spesso e volentieri occupano due o più posti, mettono sui sedili i loro bagagli, buste, borse, scatole tipo trasporto masserizie, oppure si tolgono le scarpe per stare più comodi e più freschi e si sdraiano, mettono i piedi sui sedili, tossiscono senza mettere la mano davanti alla bocca … nessuno protesta, forse per non essere accusati di razzismo. Mi ricordo, a tal proposito, un giorno che presi il pullman … era pieno. Io avevo trovato posto a sedere perché ero salito al capolinea. Ad un certo punto si avvicina una signora e mi chiede se le lascio il posto; le dico che ci sono posti liberi … mi risponde: “Ma quelli fanno finta di non capire e poi … puzzano!”
Anche i controllori, sempre pronti a rompere i coglioni agli italiani per cose sulle quali si potrebbe sorvolare, non dicono niente, non controllano i loro biglietti, non fanno loro multe, non chiamano la polizia. A volte dicono che è inutile, a volte che si tratta di povera gente … il fatto è che anche loro hanno paura, paura di essere aggrediti da quelli o di essere accusati di bieco razzismo. Ed intanto siamo arrivati ad un razzismo all’incontrario, dove le vittime sono gli italiani, quelli che pagano le tasse, quelli che pagano il biglietto, quelli costretti a mantenere tutti questi lazzaroni e chi li protegge.
Intanto sono arrivato a destinazione … un altro giorno è pronto a risucchiarci.
Lo ha scritto il Tuscio
Anonimo Olevanese da piccolo osserva il mondo
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