Apollonio Rodio
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APOLLONIO RODIO (ca 300-290 a.C.- ca 230 a.C.)
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Vita
Sulla vita di Apollonio Rodio sappiamo ben poco. Egli nacque intorno al 300-290 a.C.: essendo, infatti, allievo di Callimaco, doveva per forza essere nato una decina d'anni dopo il maestro. Certamente emergeva fra tutti gli allievi del Battiade e sappiamo che in un primo momento i rapporti fra i due furono abbastanza stretti. Probabilmente fu proprio Callimaco ad introdurre Apollonio Rodio nell'ambiente della corte. Qui gli fu affidato l'ufficio di maestro del futuro sovrano Tolomeo III; è probabile, inoltre, che fu proprio grazie all'influenza di Callimaco che Apollonio ottenne l'ufficio di Direttore della Biblioteca.
A questo punto finiscono le notizie certe. È probabile, in ogni modo, che proprio in questo periodo vi sia stata la rottura con il maestro e perciò Apollonio Rodio fu messo in disparte. È ovvio, quindi, che le notizie successive sul poeta ci siano giunte alquante incerte. Del resto ciò non deve meravigliare perché tutto questo avviene verso il 245 a.C., l'anno in cui Tolomeo III sposa Berenice, concittadina di Callimaco, che riempì il Battiade di grandissimi onori. Si spiega solo così il fatto che un letterato che si metteva contro Callimaco, per quanto prestigioso potesse essere, poteva perdere il prestigioso ufficio di direttore della biblioteca.
Ultima notizia certa della vita di Apollonio è il periodo rodiese; egli, infatti, nato ad Alessandria e indignato verso la sua patria, si ritirò in esilio a Rodi e per questo è stato chiamato Rodio.
Molto probabilmente Apollonio morì a Rodi, verso il 230 a.C., dopo aver preso anche la cittadinanza.
Opere
Come Callimaco, anche Apollonio era un poligrafo ed infatti scrisse su vari argomenti. Si interessò di varie questioni letterarie: sappiamo, infatti, che compose alcune opere che riguardavano specifici autori della precedente storia letteraria, un saggio su Omero, un altro su Archiloco ed infine quello su Antimaco che fu, probabilmente, la causa della polemica letteraria avuta con Callimaco. Nulla di queste opere filologiche c'è giunto e neppure abbiamo altre sue composizioni poetiche fra cui le cosiddette "krìseis", che letteralmente significa "fondazioni". Queste krìseis erano degli epilli, poemetti di argomento mitologico ed epico, ognuno pertinente alla fondazione di una particolare città.
Le Argonautiche
L'opera per la quale lo conosciamo bene, e quella che gli ha data fama, è il poema epico intitolato "Le Argonautiche", in greco "argonauticà", che significa "cose riguardanti gli argonauti". Essa è divisa in 4 libri, per un totale di 5835 versi, nettamente inferiore ai poemi epici di tipo omerico, ma vastissima rispetto al tipo della produzione alessandrina.
L'argomento è il famoso mito degli Argonauti: Giasone voleva riconquistare il trono della città di Iolco che gli era stato usurpato, ma per provare le sue pretese doveva possedere il vello d'oro. Così, a bordo di nave "Argo", con gli eroi greci della generazione immediatamente precedente a quella che parteciperà alla guerra di Troia (tra gli altri c'erano: Laerte, padre di Ulisse; Peleo, il padre di Achille; Telamone, padre di Aiace Telamonio; Oileo, padre di Aiace Oileo, ed altri ancora), Giasone giunse nel Colchide dopo aver superato numerosi pericoli e qui il re gli promise il vello d'oro a patto che arasse la terra con un aratro tirato da buoi fatati e la seminasse coi denti di un drago.
Nel I libro Apollonio parla di tutte le città nei cui porti si fermarono gli argonauti e nel II libro del resto del viaggio d'andata e dell'arrivo nel Colchide, il cui re è Eeta. Nel III libro egli dedica tutta la sua attenzione alla narrazione dell'amore di Medea, figlia di Eeta, per lo straniero arrivato nella sua terra; infine il IV libro è dedicato all'uccisione del drago che custodisce il vello d'oro, che è addormentato grazie ai filtri magici forniti da Medea, e al viaggio di ritorno che avviene su un itinerario diverso da quello d'andata; quello di ritorno è un viaggio fantastico in quanto la nave passa attraverso una serie di peripezie prima di arrivare in patria.
Giudizio
Per prima cosa notiamo che ne "Le Argonautiche" sono presenti tutti gli ingredienti tradizionali della poesia epica: segni profetici, interventi divini in favore di questo o di quel personaggio e così via. Se guardiamo con maggior spirito critico il 1°, 2° e 3° libro, notiamo che l'autore intenzionalmente non vuole rinunciare alla narrazione di una serie di epilli che riguardano solo indirettamente il racconto principale; infatti il poeta fa la lista degli eroi che partecipano alla spedizione e, siccome ognuno di loro vanta una nobile discendenza, fa anche la genealogia di tutti loro e non rinuncia neppure a raccontare fatti leggendari pertinenti a questo o a quell'antenato; narra, poi, tutte le imprese compiute prima di allora dai vari eroi, narra minuziosamente tutti i punti d'approdo del viaggio di andata e di ritorno, le leggende dei vari luoghi e i costumi dei popoli che incontrano. Pertanto in questi 3 libri noi abbiamo una vera e propria raccolta di epilli staccati e messi insieme artificiosamente e poi una vera e propria raccolta di quel tipo di componimento che conosciamo con il nome di poesia etiologica; tutto ciò ci fa vedere che Apollonio non si staccava poi tanto dagli ideali artistici del maestro ed infatti si ha una certa rassomiglianza con gli "aitìa" di Callimaco. Pertanto in questo modo prende anche consistenza la tesi di coloro che sostengono che fra i due non ci sia stata una vera e propria ostilità per il giudizio sul poema epico in generale o che almeno essa si riduce ad un giudizio su una sola opera. Il giudizio estetico su questi 3 libri non è dei più positivi ed infatti ci troviamo di fronte a quanto di più uggioso sia stato mai scritto; comunque si nota che Apollonio è portato alla descrizione paesaggistica e riesce a narrare molto bene gli epilli. Per ciò che riguarda il 3° libro si deve fare un discorso totalmente diverso; infatti se vogliamo dare la qualifica di poeta ad Apollonio, lo possiamo fare solo grazie a questo libro; esso è come una sospensione dell'azione epica e ci ricorda vagamente l'"Ecale" di Callimaco: il mondo epico viene messo in secondo piano e la fa da protagonista quello realistico ed infatti il III libro è quello dell'innamoramento di Medea. La grandezza di Apollonio sta nel fatto che egli ha osato inserire, come elemento principale di un poema epico, il tema amoroso e questo è la prima volta che succede. Se consideriamo, ad esempio, l'Iliade e l'Odissea, ci accorgiamo che questo tema è quasi totalmente assente.
Oltre a ciò, nuovo è anche il procedere di Apollonio che segue continuamente il sorgere dell'amore in Medea, rappresentata come una bambina che non sa cosa è quell'attrazione che sente per lo straniero, per il quale si sente pronta a tradire persino il padre. Altra novità è che Medea per tutta la durata del 3° libro non è la megera che ci tramanda la tradizione, ma una semplice ragazzina alla sua prima esperienza amorosa: in ciò il poeta dimostra di conoscere a fondo la psiche della donna. Con il 4° libro la situazione muta ed ella diventa la maga astuta e perfida della mitologia; non dobbiamo, però, far pesare molto questa incongruenza poiché in fin dei conti Apollonio aveva pur sempre una vicenda mitologica da raccontare e la Medea del 3° libro nasce interamente dalla fantasia del poeta. Anche se esteticamente delle Argonautiche si salva solo il III libro, esso è importante culturalmente, ma non tanto perché ci sono stati alcuni imitatori, come Valerio Flacco che ne fece un rifacimento, e dei traduttori, come Varrone Atacino, bensì per il fatto che da Apollonio in poi l'elemento amoroso sarà inserito da tutti gli altri poeti epici nei loro poemi. Per fare un esempio, basti ricordare l'Eneide di Virgilio, in cui l'elemento amoroso è fondamentale; infatti non possiamo dimenticare l'importanza dell'amore di Didone per Enea che si può accostare a quello di Medea per Giasone, anche se i due personaggi femminili sono totalmente diversi come anche diversa è la situazione psicologica dei due episodi.
editus ab
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