De memoria et desiderio

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Revisione 19:29, 4 Apr 2008

DE MEMORIA ET DESIDERIO

Rasnal Spur 4.5.2001

A volte mi assale un senso di malinconia che assume il sapore della nostalgia. Credevo di essere immune alla nostalgia e quando mi assicurarono che sicuramente anch’io ne soffrivo, ci risi sopra. È buffo il fatto che ormai da ogni parte mi si voglia far passare per un nostalgico. In ogni modo se proprio di nostalgia si vuol parlare, non dobbiamo riferirci, almeno per quanto mi riguarda, a luoghi o a persone … non ho nostalgia di niente e se rinascessi probabilmente cambierei ancora e di nuovo fuggirei come il batavo maledetto.

Ho una buona memoria e ricordo tutto il mio passato. I miei ricordi vanno molto indietro nel tempo, nel passato remoto, molto remoto: avevo tre anni quando Franco ed io ce ne andammo di casa e ci rifugiammo presso i nonni. Ricordo anche come finì la fuga … fummo facilmente ripresi e, purtroppo, essendo stato considerato troppo piccolo per intendere e volere, solo il povero Franco, ritenuto responsabile ed autore di tutto, pagò il fio della colpa. Non ricordo, invece, il perché della fuga, anche se ora forse lo riesco ad intuire ... già allora il fato mi presentava il conto di giorni duri che mi erano difficili da sopportare. E da quel giorno la fuga è stata sempre presente nella mente, anche se spesso sono fuggito dalla realtà solo con la fantasia e con essa ho volato verso mondi meravigliosi, paesi fantastici, dimensioni incantate, luoghi di sogno. Poi, però, era duro rimettere i piedi per terra ...ed affrontare la triste realtà quotidiana.

Una sera nel letto … Michele non so dov’era, fuori al lavoro … Gerardo dormiva o forse piangeva, io avevo paura, tanta paura … Franco impugna un lungo bastone, forse una pertica, e lo brandisce in un estremo tentativo di difesa, colpisce la lampadina … il buio … ricordo quel che successe quando si sposò zio …

Il giorno del suo matrimonio, poi, misi nell’unica tasca dei pantaloni corti quanti più confetti riuscii a rimediare, anche raccogliendoli per terra, prima che lo facessero gli altri bimbi o prima che qualcuno li schiacciasse. Mi piacevano i confetti e non ricordo se allora già soffrivo di mal di denti … forse non ancora o forse sì … ho sempre sofferto di mal di denti.

Non andavo ancora a scuola e già sapevo contare. Mi aveva insegnato Carlino … lo seguivo sempre mentre assisteva il suo vecchio genitore che si chiamava Vito … e mi dava sempre una caramella o un fico secco che teneva nella credenza della cucina. Forse da allora è nata la mia simpatia e la mia stima per le persone anziane … almeno per quelle di una volta. Ora non ci sono più gli anziani di un tempo, come non ci sono i giovani di allora. Ricordo anche la prima addizione che imparai: diciassette più diciassette fanno trentaquattro. Me la ripetevo tante volte per non dimenticarla; poi cominciai a riflettere che se ai due diciassette che addizionavo toglievo “uno” il risultato era di meno due … e se invece aggiungevo uno il risultato era di più due. Carlino mi confermò l’esattezza della mia teoria … egli fu il mio primo maestro e di questo ne fu sempre fiero e tutte le volte che ci trovavamo a parlare con qualcuno, voleva sempre che glielo confermassi … e sorrideva soddisfatto!
Per lui era importante … per lui che non era mai andato a scuola.
Egli era uno dei tanti personaggi di una borgata che sta scomparendo … Carlino, ma prima di lui “Zì Francisco”, “Zì Fonzo ‘o pustièr”, Guerino, Fusillo, “ ‘o scarpàro”, Umberto, Tatillo … tutti là a dirmi qualcosa, ad insegnarmi l’immensità …. e l’inutilità dell’esistenza umana.

Non andavo ancora a scuola e già sapevo accendere il fuoco. Sono stato sempre il migliore; se non sarò considerato degno del Paradiso, nell’Inferno avrò sicuramente un posto prestigioso, quello di fuochista di prima categoria … non perderanno l’occasione quei buoni diavoli di usufruire dei servizi del più esperto in materia. Ero capace di accenderlo anche senza usare la carta o i ramoscelli secchi … poi venivano i ragazzi della scuola elementare ed io davo loro la brace per riscaldare la loro aula, anche se, in realtà, a scaldarsi era solo la maestra che si metteva il braciere sotto la cattedra. Allora Carlo non era ancora nato ed io stavo solo in casa con Gerardo; tante volte mangiavamo solo pane e acqua … e sostenevamo che era la nostra zuppa! Carlo non era nato, ma ricordo bene quando nacque … doveva chiamarsi Lucia se fosse stata una femminuccia o Lucio se fosse nato maschio; poi si chiamò Carlo e ci volle abbastanza tempo per abituarmi. Un giorno, mentre lo tenevo in braccio, mi cadde per terra … non fui io a farlo cadere: egli si era divincolato ed in ogni caso fu da allora che ho sempre avuto paura di tenere in braccio un neonato, fatta eccezione per Marco e Stefano … ma con Marco fu davvero difficile.

Ricordo anche come si chiamava la mia prima compagna di banco, una bella bambina con i capelli castani, ma così chiari da sembrare bionda; non ricordo esattamente perché non ci salutiamo fin da allora. Non ricordo bene cosa successe, ma sono sicuro che non avevo tutte le colpe ... le avevo regalato anche il libro di lettura della scuola che lei aveva perso; a me non serviva perché studiavo già su quello di seconda elementare! E quell’estate sarei voluto andare in vacanza ad Eboli, in campagna. Invece, poiché dovevo “fare il salto” dalla prima alla terza elementare, mi toccò studiare tutta l’estate con Peppe il barbiere. Che maestro! Era senza dubbio il migliore che c’era in giro perché aveva studiato, lui; credo che avesse fatto la seconda elementare ... e si vedeva! Quante cose imparai! I verbi, la matematica … divisioni e moltiplicazioni a cinque cifre, la geografia, la storia … e per la prima volta conobbi gli Etruschi, imparai a giocare a dama e a carte. Il salto mi riuscì … e fu così che mi conquistai la fama di piccolo genio, di “quello che fa i salti”.

Poi il ricordo è ancora più nitido.

Non ho dimenticato, infatti, chi era la mia compagna di banco quando in classe entrò Padre Aniello per chiedere chi voleva diventare missionario. Ricordo quale fu la risposta che segnai, ma poi, non so come, mi ritrovai a fare il periodo di prova. Nel convitto di Campagna … la prima partita con un pallone vero, tanti compagni, tanti giochi e la vittoria a “Lascia o Raddoppia”, argomento la “Storia”, premio 64 caramelle; per la prima volta il mare, per la prima volta tante cose. Ricordo ancora il nome di quel convitto, che era un convitto femminile: “Santa Caterina da Siena” … il piccolo cortile dove giocavamo con il pallone; la grande sala dove facevamo ricreazione e dove un giorno apparve Padre Nereo che mi sembrava un divo dei film; il ruscelletto che mi teneva compagnia quando mi svegliavo la notte.

Fratel Di Spirito ed il prefetto Nicola che vengono a cercarmi mentre facevo non so cosa agli “Scandoni” è una scena che ho ancora davanti agli occhi … da quel momento ho sempre voluto bene a Fratel Di Spirito (che mia madre chiamava fratello dello spirito); era l’unico dei superiori che chiamavo con il nome di battesimo: Pompeo. Solo molti anni dopo feci la stessa cosa con Padre Aniello, ma allora già non stavo più nell’Istituto … e fu proprio Padre Aniello a dirmi che Fratel Di Spirito era morto. Ci rimasi malissimo, anche se ormai erano molti anni che non lo vedevo, anche se era abbastanza anziano. Era morto anche Fratel Raimondi, il burbero con la lunga barba bianca; Fratel Palumbo il fratello contadino, era ancora vivo … e fui contento per lui. La Rondinella mi sembra di averla vista una volta nel suo negozio a Salerno … era solo un poco più vecchia e mi sembrava anche un po’ triste; di Padre Aldo vidi dopo tanti anni la foto per televisione e sui giornali quando fu assassinato in Africa, dove si era recato in missione; i prefetti Nicola e Giuseppe, il padre economo Carlo, Padre Ettore che fu rettore, padre provinciale e poi di nuovo semplice missionario, non li ho più rivisti, ma li ricordo bene. Ricordo bene tutti … Padre N. non è più missionario e per me questo fatto resta un mistero; quando lo seppe, mia madre mi disse che forse si sarebbe sposato con la Rondinella perché quella era la cosa più ovvia, ma così non è stato; Padre Nico che si tagliò la barba perché qualche apostolino non voleva tagliarsi i capelli; i prefetti Pio ed Enzo che sono diventati missionari, il prefetto Santino, Giorgio, che fa a botte con Roberto, un apostolino, tutte le gara scolastiche vinte con estrema facilità, Pio che mi chiama da parte è mi dice che la nonna non sta bene … forse è morta.

Una immensa simpatia ed affetto va al professore Arcangelo Annunziata … sono sicuro che mi volesse tanto bene e mi stimasse altrettanto. Una domenica mattina venne all’Istituto e davanti a due testimoni, Luigi B. e Salvatore B., mi interrogò nella materia che insegnava: scienze. L’interrogazione durò un’ora e, dopo avermi dato un meritato “OTTO”, ci portò fuori dell’Istituto con la sua Fiat 500 di colore beige e ci comprò un dolce a testa. Egli mi voleva bene davvero, mi stimava e lo dimostrò in tutte le occasioni … purtroppo sono sicuro di averlo deluso. Non ebbi il coraggio di presentarmi a lui quando, giovane universitario, mi sembrò di averlo visto a Salerno molti anni dopo, mentre scherzava con un suo amico. Forse avevo paura che non mi riconoscesse più, che non si ricordasse di me o forse avevo paura di essermi sbagliato e quel signore non era quello che credevo. In verità ebbi paura di fare una brutta figura in ogni caso o non so cosa mi successe in quel momento. Oggi, mi comporterei diversamente, perché dopo oltre vent’anni sono pentito di quella che è stata una mia mancanza nei suoi riguardi. Ricordo ancora qual era il suo indirizzo anche se sono passati oltre 30 anni: via V. L. n. 5. Ce lo disse alla fine dell’anno … io non l’ho mai scritto su nessun quaderno, su nessuna rubrica, ma quando mai lo dimenticherò? Lo scrissi nel mio cuore insieme al suo volto! Quando dimenticherò i suoi capelli sempre ben rasati, il suo volto severo, ma buono, la sua umanità, la sua serenità? Sull’elenco telefonico non c’è nessun prof. Arcangelo Annunziata in quella via, ma c’è un dottore: chi sarà? Un suo nipote? Un omonimo? Non ho il coraggio di chiedere notizie e non le chiederei neppure se passassi per quella via … soffrirei se mi fosse risposto che ha lasciato questa terra. Quando muore uno che conosco è come se morissi anch’io … non importa se ha vissuto cento anni … in ogni caso mi ricorda che devo morire e non serve ricordarmelo.
Il tempo passa, ma non cancella niente dalla mia memoria: le cose buone e le cose cattive sono tutte riposte nel mio cervello, ben sistemate ed archiviate come da un impiegato modello in un ufficio efficiente. Le cose buone, come le pratiche in evidenza, sono sempre a portata di mano, mentre quelle cattive, come pratiche concluse e definite, faccio finta di averle dimenticate …. Ma così non è, perché anche quelle pratiche fanno parte dell’archivio, fanno parte del mio passato. Non credo che altri serbino lo stesso mio ricordo: Luigi B.? Giuseppe C.? Livio? Forse Nicola T.? Chissà ….Tanti mi avevano promesso un’amicizia duratura e tutte sono durate da Natale a Santo Stefano …

L’anno vissuto in Seminario …. Ricordo l’odore del refettorio, forse dovuto all’uso eccessivo di dadi da parte dei cuochi, il volto degli insegnanti e quello dei seminaristi. Giulio Boiano, il professore di latino dai “costrutti elegantissimi”, era un personaggio da film, ma lo era anche il professore di greco di cui tutti temevamo le “sorprese” di fine anno ... quanti sicuri “rimandati” erano stati invece promossi e quanti sicuri promossi erano stati rimandati? E che dire di Carluccio P., il professore di lettere del quinto ginnasio, che si permetteva il lusso di correggere il preside, l’abate di Cava? E il professore Gerardo L. che correggeva le versioni di greco su quella di Mario? E Vincenzo P.? Chi li potrà dimenticare, avendo mille aneddoti da narrare! E Matteo V.? Basso e rotondetto, non era certo l’attaccante più forte del terzo liceo, ma non c’era una partita che non mi segnasse un gol. E Di Napoli che scriveva il suo diario in latino, ma fu rimandato in scienze? Di tutti avevo perso i contatti, eccetto che di Peppino D., cui feci leggere il Male. Poi egli diventò don Peppino ed io Sottocapo, forse Sergente ed i nostri rapporti si interruppero per sempre.

L’anno vissuto in Seminario fu anche l’ultimo anno dell’istituto, l’ultimo che, almeno in teoria mi vedeva aspirare a qualcosa. Nel seminario finisce una parte della mia vita, la vita che ricordo, una vita coperta di mistero, il mistero di non sapere chi fosse il personaggio principale. Poi quel personaggio è morto, dopo una lunga agonia durata neppure tanto poco … cinque anni o poco più. Fuori del Seminario … Eboli, il liceo classico “E. Perito”, Guido D. P., la professoressa Panza, zia Wilma, padre Jovino, una ragazza anonima che mi da uno schiaffo, Bonito, Tony Esposito, gli anarchici, Ernesto, i comunisti, Cecilia, i fascisti, De Biase, muore Mao, muore Franco. Anche il liceo è un sogno, l’Università, il prof. Fabio M. …

Fuori del Seminario … il bar (*) le partite a scopone con zio Lazzariello, Ertenisio, Cicogna, Poldo ….. la Fiat 600, la Fiat 500 e quella ragazza che la dava a tutti … e diceva di essere la più seria.

Fuori del Seminario … una mucca da pubblicità, una vacca … il torto della ragione, ognuno si sceglie la fine che merita, i rimpianti delle occasioni perdute …

Fuori del Seminario … una domanda, una cartolina, un esame, una Fiat 500 che non vuole partire, che non vuole portarmi verso la rovina … ma il fato è più forte di una 500 Fiat e ci trascina inesorabilmente; un treno parte diretto verso la libertà ed invece raggiunge l’oppressione, le catene … la sconfitta.

Nostalgia? Si può avere nostalgia di tempi tristi, di momenti drammatici, di anni trascorsi in attesa che passassero in fretta?

Nostalgia? Si può avere nostalgia di luoghi che hai voluto lasciare non una volta sola perché in qualche modo ti erano ostili?

Nostalgia? Si può avere nostalgia di persone che non ci sono più, di persone che sono andate via per sempre?

Nostalgia? Di che? Nostalgia? Di chi? Di un piccolo genio che sapeva contare, leggere, scrivere, accendere il fuoco, dar da mangiare ai porci, ai vitelli e all’asino? Che sapeva fare i salti? Che voleva andare via?

Ecco la mia nostalgia: nostalgia di me stesso, di quello che ero e di quello che potevo essere. Ho nostalgia dei miei errori, delle mie lotte contro i mulini a vento, della mia disperazione, della mia noia, della mia rabbia, del tempo che è andato via portandosi dietro tutte le mie possibilità e lasciandomi orfano dei miei sogni e dei miei desideri.

Ho nostalgia di me prima di avermi tradito!

Questo è di Rasce anonimo_olevanese.jpg

Anonimo Olevanese da piccolo osserva il mondo


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