Tommaso Campanella

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Tommaso CAMPANELLA

il frate rivoluzionario

Tommaso CAMPANELLA, al secolo Giandomenico, nacque il 5.9.1568 a Stilo, in Calabria, da una povera famiglia di contadini. Come era consuetudine di quei tempi (e come lo fu per molto tempo ancora, fino a non molti anni fa), per consentirgli di studiare ed elevarsi socialmente, i suoi lo avviarono alla carriera ecclesiastica. Per questo entrò, appena quindicenne, nell’ordine dei domenicani, dove, in onore di San Tommaso, mutò il suo nome di battesimo da Giandomenico in Tommaso.

Religioso “per bisogno” e non certo per vocazione, dunque, il frate, insofferente della disciplina e delle forme stantie di pensiero trasmesse nei conventi calabresi, ben presto venne in urto con le autorità ecclesiastiche locali ed in conflitto anche con i suoi confratelli. Tommaso Campanella lasciò allora la sua terra e riparò a Napoli. Qui, nel 1591, pubblicò la sua prima opera (Philosophia sensibus demonstrata), nella quale prese la difesa di tesi care al filosofo Bernardino Telesio, e frequentò la Società di Giambattista della Porta. Caduto subito in sospetto di eresia per le sue idee rivoluzionarie e, soprattutto, per l’interesse mostrato verso le arti magiche, Tommaso Campanella, tra il 1592 e il 1597 fu sottoposto a ben quattro processi: il primo, per eresia, fu celebrato proprio nel 1592 a Napoli; il secondo a Padova; il terzo e il quarto a Roma. Durante questi processi fu sottoposto a tortura per due volte ed alla fine fu condannato all’abiura. Liberato, fu confinato in un convento della Calabria.

Nell’estate del 1599, mentre era ancora esiliato nel convento calabrese, Tommaso Campanella ordì una congiura volta a liberare la Calabria dalla dominazione spagnola e a costituire una repubblica secondo un programma di riforme che poi andò via via esponendo nelle sue opere (soprattutto nella famosa “Città del Sole”). A questa congiura parteciparono personaggi di diversa estrazione, ma non tutti spinti, come lui, da alti ideali politici, filosofici o religiosi. Suoi compagni nell’avventura, infatti, furono per lo più laici desiderosi di libertà, frati libertini, gente di malaffare, religiosi che si erano posti fuori delle regole, poveri che speravano semplicemente in una vita migliore. La congiura, però, nonostante l’impegno ed il fervore mistico del frate, fallì: tradito da un delatore, Tommaso Campanella, travestito, cercò scampo nella fuga, ma, riconosciuto, fu tratto in arresto e portato a Napoli. Il 7 febbraio del 1600 fu sottoposto a tortura e confessò. Consapevole, però, del fatto che sarebbe stato condannato a morte, il 2 aprile dello stesso anno il frate iniziò a fingersi pazzo. Torturato nuovamente (supplizio della veglia per 37 ore), Tommaso Campanella resistette nella sua finzione ed in questo modo scampò al rogo. Il 13 novembre del 1602 fu condannato al carcere a vita.

Cominciò, così, la lunghissima prigionia nelle carceri napoletane dove Tommaso Campanella rimase per ben 27 lunghi anni.

Con il passare del tempo, però, la sua condizione di carcerato ebbe un notevole miglioramento, il trattamento riservatogli non era più quello di un prigioniero qualunque, ma gli fu concesso di intrattenere corrispondenza con il mondo esterno e ricevere visite. Durante la permanenza in carcere, il frate scrisse numerosi libri. Tra le opere scritte in quel periodo, ricordiamo: “Monarchia di Spagna” (1600), “La Città del Sole” (1602), “Del senso delle cose e della magia” (1604), “Apologia pro Galileo” (1616), “Teologia” (1613-1624), “Philosophia Realis” (1619), “Poesie” (1622) e “Metaphyisica” (1623).

Durante il soggiorno nelle carceri napoletane, infine, Tommaso Campanella divenne filo-spagnolo: nei suoi scritti iniziò a sostenere che la Spagna era la nazione che avrebbe potuto realizzare la vagheggiata “riforma universale”. Nel 1626 gli spagnoli lo liberarono, ma il Nunzio Apostolico lo fece subito incarcerare di nuovo e trasferire a Roma: fu liberato solo dopo tre anni. A Roma Campanella rimase fino al 1634, ma la sua vita subì un radicale mutamento in quanto, grazie alla protezione di papa Urbano VIII, ricevette una pensione e perfino il grado di “magister”.

Durante la permanenza romana il frate diventò filo-francese. Per questo motivo quando nel 1634 a Napoli fu scoperta una congiura contro gli spagnoli ordita da un suo discepolo, Tommaso Campanella fu accusato di correità e e gli ne fu richiesta l’estradizione da parte degli spagnoli. Il filosofo, però, grazie alla protezione dell’ambasciatore francese, questa volta riuscì a fuggire e si rifugiò a Parigi, dove visse fino alla sua morte godendo del favore del re Luigi XIII e della protezione del potente Cardinale Richelieu. Nella capitale francese Campanella fu al centro dell’attenzione: ammirato dai nobili in quanto esule politico anti-spagnolo e corteggiato dai dotti per il suo sapere. Morì presso il convento di Sant’Onorato il 21 maggio 1639. Le sue ceneri, purtroppo, andarono perdute durante la rivoluzione francese.

La Città del Sole

(Civitas Solis vel de Reipubblicae idea – Dialogus poeticus)

La “Città del Sole” è l’opera più importante di Campanella, sicuramente la più famosa, e resta una delle più celebri utopie di tutti i tempi. Essa delinea l’immagine di una società perfetta che trae la sua ispirazione da una sapiente unione di scienza e magia. Essa fu scritta dal nostro filosofo mentre era rinchiuso nel carcere di Napoli; probabilmente egli ne iniziò la stesura nella prima metà del 1602, quando si erano appena conclusi i processi cui era stato imputato in seguito alla fallita rivolta da lui ordita contro la Spagna. L’opera ha la forma di un dialogo e potremmo definirla il frutto dell’idealizzazione della fallita rivolta.

Nella “Città del Sole”, Campanella fissa le linee di uno Stato ideale caratterizzato dalla divisione comunitaria dei beni e dalla professione della religione naturale.

Da molti studiosi questa opera è considerata di scarso valore, per niente originale, quasi un’imitazione, anche poco riuscita, delle altre utopie vagheggiate nel passato come “La Repubblica” di Platone, “La città di Dio” di Sant’Agostino” e l’“Utopia” di Tommaso Moro (scritta circa un secolo prima)

Eppure a leggere la "Città del Sole" si trova qualcosa di nuovo: un Comunismo diverso e totale, dove tutto è in comune, anche le donne, cosa che nessuno aveva affermato prima. A differenza dell’Utopia di San Tommaso Moro, dove l’isola sembra essere grigia, immersa nella foschia e la gente triste e tutta uguale, la Città del Sole pare un luogo dove si vive abbastanza bene perché il regime comunista, che altrove appiattisce e toglie lo stimolo al progresso, prevede una forma di meritocrazia abbinata ad una solidarietà umana che non si sono avute nelle nazioni moderne più progredite.

“A nessuno più del merito, a nessuno meno del bisogno”.

Questa è la regola che vige nella Città del Sole e sicuramente è una spinta al progresso umano, soprattutto considerando che coloro che comandano, pur mangiando ala mensa comune hanno, per esempio, cibo migliore e razioni più abbondanti. Probabilmente ai nostri giorni non appare bello vivere nella Città del Sole, dove tutto è pianificato, compreso quando fare l’amore, ma per la gente di quattro secoli fa, povera, con problemi di istruzione e con libertà limitata, doveva sembrare un luogo meraviglioso, dove trascorrere la propria vita.


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