I due paradisi

Da Pklab.

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I DUE PARADISI

Rasnal tular, 21.5.2004

Ad un tratto mi trovo in un luogo sconosciuto … mi guardo intorno: ho la netta sensazione di essere già stato in quel posto; mi guardo intorno: sono solo; mi guardo intorno: davanti a me c’è un castello che assomiglia tanto a quelli delle fiabe, tutto di marmo, bello, senza guardie o soldati sui torrioni. Dal suo interno proviene una musica dolce, celestiale: qualcuno sta suonando un organo o un’arpa; forse mi sbaglio ed il suono è quello di una zampogna, non ne sono, però, tanto sicuro ...

All’improvviso mi accorgo di essere stanco …

Non so più da quanto tempo sto vagando senza una meta precisa, come l’ebreo errante, come un Sisifo che spinge la sua pietra che rotola sempre giù. Non ho più la forza per andare avanti. Mi avvicino al portone e provo a suonare. Dopo qualche minuto o qualche ora o dopo un tempo che mi sembra un’eternità, la porta si apre ed appare un vecchio con la barba ed i capelli bianchi: sembra un fantasma; il suo volto è cereo, inespressivo; il suo sguardo quasi vuoto, come quello di un cameriere dell’alta nobiltà. Non mi guarda …

- Chi sei? Che cosa vuoi?

- Sono stanco e vorrei entrare. È da tanto, troppo tempo che cammino e vorrei fermarmi un poco e riposare. Ti prego, non farmi rimanere fuori! Non saprei dove andare …

- Aspetta un momento!

Il vecchio rientra, il portone si chiude alle sue spalle … il tempo sembra non passare mai. Poi quello che credo sia il guardiano o forse il maggiordomo ritorna e con voce priva di emozione mi dice che per me non c’è posto in quel castello. Debbo andare via … Possibile che non abbiano posto per un povero viandante? Che vogliano essere pagati? … all’improvviso mi accorgo di avere una moneta in bocca: probabilmente grazie a questa mi lascerà entrare.

- Ho del denaro con me … prendilo tu o dallo al tuo padrone, ma fammi entrare. Ti prego, non lasciarmi fuori, non ho più la forza per proseguire.

- Il tuo denaro non ha alcun valore qui … questo castello non è un albergo. Sei arrivato alle porte del Paradiso ed il tuo nome, purtroppo per te, non è segnato nel registro di chi ha diritto al riposo eterno. Per questo motivo non c’è posto per te, per questo devi rimanere fuori … .

Solo ora comprendo di essere morto! Si, sono morto … ma se non entro in quel castello, se non entro nel Paradiso, sarò costretto a vagabondare ancora, probabilmente per sempre, per l’eternità. O forse, mi chiedo, sono stato condannato all’Inferno ed è per questo che il vecchio non mi lascia entrare?

- Perché non posso entrare se nessuno mi ha ancora giudicato? –protesto molto timidamente - Portatemi davanti a qualcuno che possa esaminarmi, giudicarmi e poi eventualmente condannarmi!

- Non è qui che devi essere giudicato! Cerca il tuo Dio, il tuo giudice ed allora avrai trovato il posto dove fermarti. Detto questo il vecchio, incurante di me, si gira, rientra, mentre la porta alle sue spalle si richiude … questa volta per sempre.

La musica continua a spandersi nell’aria … chi è il mio giudice? Chi è il mio Dio? Quanti dei ci sono? Chi mi accoglierà nel suo paradiso o mi scaglierà nel suo inferno?

Mi guardo intorno … che strana situazione: sono morto e non so chi mi deve giudicare! Continuo ad essere uno straniero in ogni patria, anche da morto, come non mi fosse bastata tutta una vita. Mi allontano lentamente, senza fretta: sarò costretto a vagabondare per l’eternità? Intanto sono arrivato sul bordo di un fiume. Sull’altra riva il luogo è animato: vedo, infatti, persone che passeggiano, bimbi che giocano con il cerchio e la palla … gli alberi sono carichi di frutta, si sente il canto degli uccelli, un vecchio declama versi ad un gruppo di giovani che lo guardano incantati. Come mi piacerebbe trovarmi dall’altra parte, tra quella gente che mi sembra essere felice … come attraversare, però, il fiume? Certo sono un ottimo nuotatore, ma non credo di aver la forza per vincere la corrente e non posso morire di nuovo … cosa fare?

Cammino sul bordo del fiume; tra i denti continuo a stringere la mia moneta d’argento: con quella pagherò chi mi traghetterà sull’altra riva.

Ad un tratto vedo un pontile ed una barca attraccata; la barca è vecchia, sembra abbandonata da tempo … su di essa vedo un vecchio che dorme. Mi ritorna la speranza … forse il vecchio mi potrà aiutare. Mi avvicino e provo a scuoterlo dal suo antico torpore.

Egli si sveglia di soprassalto: è un vecchio terribile, disumano, pauroso, ostile. Appena si accorge di me, non intuendo le mie intenzioni, il vegliardo alza il remo e cerca di percuotermi per farmi salire sulla barca, mi minaccia. Io lo guardo con gli occhi pieni di lacrime e non riesco a parlare: ho paura, ma in lui vedo, in ogni caso, la fine di tutti i miei malanni. Il remo, però, resta sospeso in aria e non mi colpisce; il vecchio terribile addirittura abbozza un sorriso; sembra rabbonito.

- Vieni! – dice con una gentilezza che non mi sarei più aspettato - Sono mille e mille anni che nessuno sale più su questa barca ed io mi sento quasi inutile. Ormai sono nati nuovi dei che hanno paradisi più allettanti, popolati da suonatori di violini o da vergini rifatte, e nessuno viene più nel giardino di Tin. Non ti trattengo e non ti costringo … io attraverserò il fiume per l’ultima volta. Tu puoi venire con me, se lo desideri, o cercarti un nuovo dio se questo ti fa piacere!

Guardo dall’altra parte del fiume: vedo una ragazza bionda che passeggia con la sua ancella, un vecchio che parla con un uomo più giovane, un bimbo che gioca con un uccellino ... è gente che mi sembra di conoscere, è gente che di sicuro mi sta aspettando.

Non ho dubbi: prendo la moneta che ho nella bocca e la porgo al vecchio. Poi salgo sulla barca e mi siedo … il vecchio si alza, gigantesco, maestoso … sembra felice, i suoi occhi luccicano di gioia … brandisce il grande martello e mi conficca nella fronte il chiodo del destino…

Mi sono svegliato.

Lo scrisse Rasce.

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