Archiloco di Paro

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ARCHILOCO (VII Secolo a.C.)

Sulla vita di questo grande poeta dell’età arcaica abbiamo notizie davvero molto scarse, mentre il suo carattere ed il suo temperamento traspaiono abbastanza chiaramente dai versi che ci sono pervenuti.

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La vita

Archiloco nacque a Paro da un nobile, Telesicle, e da una schiava tracia di nome Enipe. Suo nonno era stato uno degli ecisti di Taso. Il periodo in cui visse questo poeta è da porsi fra il 680 ed il 640 a.C.. L’unica data nota della sua vita, che ci consente di individuare il periodo della sua esistenza, è il 648 a.C. In un suo frammento, infatti, Archiloco descrive un’eclissi di sole che atterrì gli abitanti delle isole dell’Egeo ed alla quale egli assistette mentre si trovava a Taso, una colonia dei Pari. Archiloco si trovava in quella città perché, spinto dalla povertà, vi si era trasferito in qualità di soldato mercenario. L’eclisse di cui si parla eclisse risulta essere quella del 6 aprile 648 a.C..

Dai suoi versi si ricava che Archiloco fu prepotente ed adultero. Si tramanda che amò una donna di Paro, Neobule. Il padre di questa, Licambe, gliela aveva promessa in sposa, ma poi si rimangiò la parola. Archiloco, allora, nei suoi versi attaccò così violentemente Licambe e la sua famiglia, al punto da indurli, secondo la leggenda, ad impiccarsi per la vergogna. A tal proposito, c’è da dire che un papiro ci ha restituito un lungo frammento in cui il soggetto narra come avesse sedotto la sorella minore di Neobule. Se il soggetto è Archiloco e la vicenda è vera, allora si può capire perché Licambe e le figlie si siano uccisi per la vergogna. La scena, però, potrebbe essere anche tutto frutto della fantasia ed il soggetto, in ogni caso, non è detto che sia sicuramente il poeta.

Archiloco si guadagnò da vivere facendo il soldato mercenario, come già detto e come afferma egli stesso nelle sue poesie (”Sono seguace del divino Marte e conosco le grazie delle Muse”).

Il poeta visse e morì da soldato: la tradizione, infatti, vuole che abbia perso la vita in combattimento, ucciso da un certo Calonda, combattendo per la sua patria contro Nasso.

Le opere

Le opere poetiche di Archiloco furono ordinate nelle edizioni di età alessandrina secondo i metri: elegie, giambi, inni. A noi rimangono soltanto frammenti, brevi ma considerevoli, per un totale di circa 300 versi, scritti in una grande varietà di metri: elegie, giambi ed epodi.
In Archiloco si trova anche la prima favola della letteratura europea, quella della volpe che sbugiarda la presunzione della scimmia.

Giudizio

Archiloco è il più antico poeta greco di cui si conosce per intero la personalità, soprattutto perché egli stesso, nei suoi versi, ci parla della sua vita, delle sue vicende e dei suoi sentimenti. Egli fu chiaramente un anticonformista e rappresenta senza dubbio la migliore demitizzazione del tradizionale eroe omerico. In Archiloco, infatti, non c’è più lo spirito che aveva animato le generazioni precedenti, ma troviamo un realismo, a volte molto crudo, che lo avvicina parecchio al cinismo dei nostri giorni.
Egli è molto sincero sia come poeta sia come uomo e dice di sé anche le cose peggiori, quelle che altri avrebbero indubbiamente nascosto. In una famosa elegia, per esempio, Archiloco confessa, con molta franchezza e tanta sincerità, che, combattendo contro i Sai, per salvare la vita, era stato costretto ad abbandonare precipitosamente lo scudo, trascurando ogni etica cavalleresca:
'"... Presso un cespuglio lo lasciai..., ma ho fuggito la morte. Vada in malora lo scudo, ne acquisterò uno migliore".'

Questo motivo, che in seguito diventerà tradizionale (Alceo di Mitilene, Anacreonte, Orazio), non significa, però, né viltà, né indifferenza, bensì spregiudicata reazione alle convenzioni sociali e ad un'etica, di tipo cavalleresco e feudale, incapace di auto-ironia. Le sue parole ed i suoi concetti sarebbero impensabili sia in bocca ad un eroe del ciclo omerico come, ad esempio, Ettore o Achille, sia in bocca ad un cavaliere del ciclo carolingio e di tutta l'epopea della cavalleria medioevale. In un altro frammento troviamo il ritratto del comandante che Archiloco preferisce e questa descrizione non solo non corrisponde al classico eroe omerico, ma non è ravvisabile nei secoli successivi (ad esempio periodo romano o medioevale) (il paladino Orlando ed i Cavvalieri della Tavola rotonda):
“Non amo un generale che sta a gambe larghe,
fiero dei suoi riccioli e ben rasato.
Uno basso ne voglio, con le gambe storte,
ma ben saldo sui piedi e pieno di coraggio".

Archiloco sembra non avere ideali o forme di compiacimento formale e nei suoi versi dà sfogo al suo temperamento ardente sia nell’odio sia nell’amore. Quest’ultimo sentimento gli ispira gli accenti più disparati: dalla idillica tenerezza che presta ingenua castità a una bellezza di etera sino alla più cruda sensualità e agli sfoghi d'ira per l'amore deluso.

In Archiloco sono, però, presenti anche riflessioni sulla vita umana. Egli si rende conto che l’uomo è soggetto al destino che Giove gli ha imposto ed in occasione della scomparsa, in una sciagura marina, di eminenti cittadini, esorta i cittadini ad essere pazienti ed a smettere di piangere considerando che anche la sventura è limitata e non colpisce sempre gli stessi (… che il dolore ora colpisce l’uno ora l’altro.).

Lingua e stile

In fatto di metrica, c’è da dire che Archiloco è ritenuto tradizionalmente l’inventore del giambo. In realtà questo verso è più antico del poeta stesso, ma egli fu il primo ad usarlo in larga scala e molti poeti successivi, da Alceo di Mitilene a Saffo, da Anacreonte a Ipponatte, da Aristofane fino ai latini Catullo ed Orazio, lo presero a modello.

Per quanto riguarda la lingua, occorre dire che il dialetto di Archiloco è quello colloquiale della Ionia, ma non mancano, specie nelle canzoni elegiache, le forme epiche di derivazione omerica.

Fortuna

I motivi della poesia di Archiloco divennero tradizionali in tutta l’antichità.


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