A Larthia

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Città del Sole, 6.12.2000 Città del Sole, 6.12.2000
-I tuoi occhi spalancati sul mondo o forse soltanto sul tuo povero Rasce: in essi leggo lo stupore di chi vede cose incredibili, irreali ed assurde. Sei lì, sdraiata sul tuo letto di pietra, maestosa, ti guardi allo specchio soddisfatta e fiera della tua bellezza che ha sconfitto il tempo e neppure duemila anni sono riusciti a cancellare. Ti vedo, Larthia, Larthia per sempre, bella e fiera, bella e sola, bella e triste, bella per sempre.+I tuoi occhi spalancati sul mondo o forse soltanto sul tuo povero Rasce: in essi leggo lo stupore di chi vede cose incredibili, irreali ed assurde. Sei lì, sdraiata sul tuo letto di pietra, maestosa, ti guardi allo specchio soddisfatta e fiera della tua bellezza che ha sconfitto il tempo e neppure duemila anni sono riusciti a cancellare. Ti vedo, Larthia, Larthia per sempre, bella e fiera, bella e sola, bella e triste, bella per sempre.<br />Guardi stupita il tuo povero Rasce che ora tutti chiamano il Tuscio maledetto … e lo scopri lontano, impelagato nelle miserie umane, con mille lacciuoli che lo stringono, lo costringono e gli impediscono di venire verso di te. Tu lo vedi … egli è triste e solo, stanco, le forze gli vengono meno, ed ha solo voglia di dormire … non vuole più vivere. Ora che ti ha rivisto vuole raggiungerti e perciò prega il sommo Tinia che lo liberi, che spezzi le corde che lo legano e gli impediscono i movimenti. Il tuo Rasce non può vivere più senza di te in un mondo che non capisce e che non lo capisce … ormai è solo un sopravvissuto che si aggira come un fantasma tra i vivi e per questo prega gli dei che lo portino da te, tra la sua gente, tra il suo popolo.<br />Nessuno, però, ascolta il povero Rasce … non ci sono più i sommi sacerdoti che sacrificano agli dei e sanno parlare con loro, non ci sono più gli aruspici che divinano responsi e guidano la gente. Essi sono andati via alla fine della loro Storia lasciando sulla terra solo il povero Rasce. E il tuo Rasce sta male, Larthia, sta male ogni giorno di più … come se non bastasse la sofferenza di non averti più vicino da migliaia di anni. Egli soffre, per gli dei, e nessuno allevia il suo dolore: non c’è il saggio Avile che amorevolmente lo avrebbe curato e guarito da tutte le malattie, non c’è il forte Larth che lo avrebbe protetto dall’alto della sua potenza, non ci sei più tu, con il tuo amore e la tua dolcezza, pronta a dargli una mano quando il destino sembra volerlo beffare. Ora il tuo Rasce è malato e non ha i soldi per le medicine, e le ossa gli fanno male, i suoi denti sono tutti cariati: non sorride più ed ha perso lo spirito dell’antico guerriero tirreno. Avevi ragione, mille volte ragione: senza di te il tuo Rasce non esiste, non è più nessuno; lontano da te ha paura, è debole, incapace di difendersi, vittima di tutte le prepotenze del mondo. Soffre! Spesso cade perché le sue gambe sono malferme; nessuno lo aiuta a risollevarsi ed è il colpevole dei mali del mondo intero. Il tuo Rasce piange perché non riesce a trattenere le lacrime; piange e non si vergogna più di farlo perché ha perso tutto, anche la dignità.<br />Ora, però, sono stanco di subire e non voglio vivere più senza di te. Larthia, dimmi dove sei, in quale mondo ti trovi perché voglio venire a cercarti, non voglio più vivere da solo! Purtroppo mi presenterò a te senza i sacri rotoli, senza le mie insegne, vestito di stracci, solo come un cane, senza neppure un littore, senza neppure la moneta da dare a Charun per pagare l’ultimo viaggio … mi presenterò a te povero, come sempre.<br />Ed ho visitato posti sconosciuti, scavalcato montagne, attraversato campagne, solcato i mari, ma tu non c’eri. Sono andato ramingo per il mondo senza mai incontrarti perché tu non c’eri, o forse c’eri ma non volevi farti vedere … o forse ero io che non riuscivo a vederti. E continuo a guardare il tuo stupendo corpo di pietra … se chiudo gli occhi ti vedo ancora nella nostra superba città, nel tempio o in casa, mentre ridi a tavola sdraiata sul triclinio o mentre ti fai ancora più bella. Se invece riapro gli occhi e provo a toccarti, non trovo più il tuo tenero corpo, ma sento il freddo della pietra antica, il gelo del marmo … e continuo a guardarti smarrito.<br />Dove sei? Perché hai abbandonato il tuo povero Rasce? Perché permetti che soffre? Perché non asciughi le sue lacrime? Perché non lenisci il suo dolore? Non ti importa più niente di lui? Davvero il tempo ha inaridito il tuo cuore rendendolo freddo e duro come il marmo? Non mi rispondi …<br />Io, però, verrò presto da te perché finalmente ho capito dove cercarti, ho capito cosa mi tiene lontano da te. Un giorno, troncato il filo sottile che separa la morte dalla vita, il tuo Rasce si incamminerà felice per la strada degli Inferi.
-Guardi stupita il tuo povero Rasce che ora tutti chiamano il Tuscio maledetto … e lo scopri lontano, impelagato nelle miserie umane, con mille lacciuoli che lo stringono, lo costringono e gli impediscono di venire verso di te. Tu lo vedi … egli è triste e solo, stanco, le forze gli vengono meno, ed ha solo voglia di dormire … non vuole più vivere. Ora che ti ha rivisto vuole raggiungerti e perciò prega il sommo Tinia che lo liberi, che spezzi le corde che lo legano e gli impediscono i movimenti. Il tuo Rasce non può vivere più senza di te in un mondo che non capisce e che non lo capisce … ormai è solo un sopravvissuto che si aggira come un fantasma tra i vivi e per questo prega gli dei che lo portino da te, tra la sua gente, tra il suo popolo.+
-Nessuno, però, ascolta il povero Rasce … non ci sono più i sommi sacerdoti che sacrificano agli dei e sanno parlare con loro, non ci sono più gli aruspici che divinano responsi e guidano la gente. Essi sono andati via alla fine della loro Storia lasciando sulla terra solo il povero Rasce. E il tuo Rasce sta male, Larthia, sta male ogni giorno di più … come se non bastasse la sofferenza di non averti più vicino da migliaia di anni. Egli soffre, per gli dei, e nessuno allevia il suo dolore: non c’è il saggio Avile che amorevolmente lo avrebbe curato e guarito da tutte le malattie, non c’è il forte Larth che lo avrebbe protetto dall’alto della sua potenza, non ci sei più tu, con il tuo amore e la tua dolcezza, pronta a dargli una mano quando il destino sembra volerlo beffare. Ora il tuo Rasce è malato e non ha i soldi per le medicine, e le ossa gli fanno male, i suoi denti sono tutti cariati: non sorride più ed ha perso lo spirito dell’antico guerriero tirreno. Avevi ragione, mille volte ragione: senza di te il tuo Rasce non esiste, non è più nessuno; lontano da te ha paura, è debole, incapace di difendersi, vittima di tutte le prepotenze del mondo. Soffre! Spesso cade perché le sue gambe sono malferme; nessuno lo aiuta a risollevarsi ed è il colpevole dei mali del mondo intero. Il tuo Rasce piange perché non riesce a trattenere le lacrime; piange e non si vergogna più di farlo perché ha perso tutto, anche la dignità.+
-Ora, però, sono stanco di subire e non voglio vivere più senza di te. Larthia, dimmi dove sei, in quale mondo ti trovi perché voglio venire a cercarti, non voglio più vivere da solo! Purtroppo mi presenterò a te senza i sacri rotoli, senza le mie insegne, vestito di stracci, solo come un cane, senza neppure un littore, senza neppure la moneta da dare a Charun per pagare l’ultimo viaggio … mi presenterò a te povero, come sempre.+
-Ed ho visitato posti sconosciuti, scavalcato montagne, attraversato campagne, solcato i mari, ma tu non c’eri. Sono andato ramingo per il mondo senza mai incontrarti perché tu non c’eri, o forse c’eri ma non volevi farti vedere … o forse ero io che non riuscivo a vederti. E continuo a guardare il tuo stupendo corpo di pietra … se chiudo gli occhi ti vedo ancora nella nostra superba città, nel tempio o in casa, mentre ridi a tavola sdraiata sul triclinio o mentre ti fai ancora più bella. Se invece riapro gli occhi e provo a toccarti, non trovo più il tuo tenero corpo, ma sento il freddo della pietra antica, il gelo del marmo … e continuo a guardarti smarrito.+
-Dove sei? Perché hai abbandonato il tuo povero Rasce? Perché permetti che soffre? Perché non asciughi le sue lacrime? Perché non lenisci il suo dolore? Non ti importa più niente di lui? Davvero il tempo ha inaridito il tuo cuore rendendolo freddo e duro come il marmo? Non mi rispondi …+
-Io, però, verrò presto da te perché finalmente ho capito dove cercarti, ho capito cosa mi tiene lontano da te. Un giorno, troncato il filo sottile che separa la morte dalla vita, il tuo Rasce si incamminerà felice per la strada degli Inferi.+
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'''È del Tuscio''' '''È del Tuscio'''
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Davanti al Sarcofago di Larthia Seianti

Città del Sole, 6.12.2000

I tuoi occhi spalancati sul mondo o forse soltanto sul tuo povero Rasce: in essi leggo lo stupore di chi vede cose incredibili, irreali ed assurde. Sei lì, sdraiata sul tuo letto di pietra, maestosa, ti guardi allo specchio soddisfatta e fiera della tua bellezza che ha sconfitto il tempo e neppure duemila anni sono riusciti a cancellare. Ti vedo, Larthia, Larthia per sempre, bella e fiera, bella e sola, bella e triste, bella per sempre.
Guardi stupita il tuo povero Rasce che ora tutti chiamano il Tuscio maledetto … e lo scopri lontano, impelagato nelle miserie umane, con mille lacciuoli che lo stringono, lo costringono e gli impediscono di venire verso di te. Tu lo vedi … egli è triste e solo, stanco, le forze gli vengono meno, ed ha solo voglia di dormire … non vuole più vivere. Ora che ti ha rivisto vuole raggiungerti e perciò prega il sommo Tinia che lo liberi, che spezzi le corde che lo legano e gli impediscono i movimenti. Il tuo Rasce non può vivere più senza di te in un mondo che non capisce e che non lo capisce … ormai è solo un sopravvissuto che si aggira come un fantasma tra i vivi e per questo prega gli dei che lo portino da te, tra la sua gente, tra il suo popolo.
Nessuno, però, ascolta il povero Rasce … non ci sono più i sommi sacerdoti che sacrificano agli dei e sanno parlare con loro, non ci sono più gli aruspici che divinano responsi e guidano la gente. Essi sono andati via alla fine della loro Storia lasciando sulla terra solo il povero Rasce. E il tuo Rasce sta male, Larthia, sta male ogni giorno di più … come se non bastasse la sofferenza di non averti più vicino da migliaia di anni. Egli soffre, per gli dei, e nessuno allevia il suo dolore: non c’è il saggio Avile che amorevolmente lo avrebbe curato e guarito da tutte le malattie, non c’è il forte Larth che lo avrebbe protetto dall’alto della sua potenza, non ci sei più tu, con il tuo amore e la tua dolcezza, pronta a dargli una mano quando il destino sembra volerlo beffare. Ora il tuo Rasce è malato e non ha i soldi per le medicine, e le ossa gli fanno male, i suoi denti sono tutti cariati: non sorride più ed ha perso lo spirito dell’antico guerriero tirreno. Avevi ragione, mille volte ragione: senza di te il tuo Rasce non esiste, non è più nessuno; lontano da te ha paura, è debole, incapace di difendersi, vittima di tutte le prepotenze del mondo. Soffre! Spesso cade perché le sue gambe sono malferme; nessuno lo aiuta a risollevarsi ed è il colpevole dei mali del mondo intero. Il tuo Rasce piange perché non riesce a trattenere le lacrime; piange e non si vergogna più di farlo perché ha perso tutto, anche la dignità.
Ora, però, sono stanco di subire e non voglio vivere più senza di te. Larthia, dimmi dove sei, in quale mondo ti trovi perché voglio venire a cercarti, non voglio più vivere da solo! Purtroppo mi presenterò a te senza i sacri rotoli, senza le mie insegne, vestito di stracci, solo come un cane, senza neppure un littore, senza neppure la moneta da dare a Charun per pagare l’ultimo viaggio … mi presenterò a te povero, come sempre.
Ed ho visitato posti sconosciuti, scavalcato montagne, attraversato campagne, solcato i mari, ma tu non c’eri. Sono andato ramingo per il mondo senza mai incontrarti perché tu non c’eri, o forse c’eri ma non volevi farti vedere … o forse ero io che non riuscivo a vederti. E continuo a guardare il tuo stupendo corpo di pietra … se chiudo gli occhi ti vedo ancora nella nostra superba città, nel tempio o in casa, mentre ridi a tavola sdraiata sul triclinio o mentre ti fai ancora più bella. Se invece riapro gli occhi e provo a toccarti, non trovo più il tuo tenero corpo, ma sento il freddo della pietra antica, il gelo del marmo … e continuo a guardarti smarrito.
Dove sei? Perché hai abbandonato il tuo povero Rasce? Perché permetti che soffre? Perché non asciughi le sue lacrime? Perché non lenisci il suo dolore? Non ti importa più niente di lui? Davvero il tempo ha inaridito il tuo cuore rendendolo freddo e duro come il marmo? Non mi rispondi …
Io, però, verrò presto da te perché finalmente ho capito dove cercarti, ho capito cosa mi tiene lontano da te. Un giorno, troncato il filo sottile che separa la morte dalla vita, il tuo Rasce si incamminerà felice per la strada degli Inferi.

È del Tuscio

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