Tacito

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Publio Cornelio TACITO (ca. 55-ca. 120)

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La vita

Publio Cornelio Tacito nacque forse a Terni ai tempi in cui Nerone diventava imperatore, quindi verso il 55. Certamente di famiglia ragguardevole, egli cominciò la carriera politica sotto Vespasiano; quando era imperatore Tito, fu tribuno (o edile) e sotto Domiziano raggiunse la pretura.
Gli studi di retorica portarono Tacito ad esercitare, con successo, l'avvocatura. Il futuro storico fece un matrimonio altolocato, sposando, nel 78, la figlia di Giulio Agricola, illustre e stimato uomo politico e militare, che proprio in quell'anno partiva per il governo della Britannia.
Nell’anno 89, dopo aver presieduto alla celebrazione dei giochi secolari, pare che, con la moglie, Tacito abbia lasciato Roma rimanendovi lontano fino al 93. Probabilmente durante questi anni egli fu in Germania, dove conobbe i luoghi ed i popoli che poi descrisse. Nel 93, lo stesso anno del suo ritorno, il suocero moriva, non senza il sospetto di avvelenamento da parte dell'imperatore Domiziano, geloso della sua gloria militare. Durante l'ultimo e più cupo periodo del regno di Domiziano, Tacito si appartò dalla vita politica. Con l'ascesa al trono di Nerva, in tempi mutati, lo storico ritornò in auge e gli fu conferito il consolato. La sua prosperità continuò anche sotto Traiano, quando ebbe anche il proconsolato in Asia. Tacito godette di grande stima e dell'amicizia di personaggi come Plinio il Giovane: alcune lettere di questi, e notizie date nelle stesse sue opere, sono le uniche testimonianze che si possiedono della vita e della personalità di Tacito.
Non si hanno altre notizie della vita, che si estese fin verso il 120.

Opere

L'elenco delle opere superstiti di Tacito comprende: il “Dialogus de oratoribus”, composto verso il 77, dove si discute sulla decadenza dell'oratoria sotto l'Impero. Questa opera, però, da alcuni storici, non è ritenuta di Tacito, per ragioni soprattutto di stile. Abbiamo, poi, il “De vita Iulii Agricolae”, una biografia scritta verso il 98 come atto di omaggio alle virtù del suocero e alle sue imprese militari in Britannia. L’elenco continua con il “De origine et situ Germanorum”, o, più sinteticamente, “Germania”, composto probabilmente nello stesso 98, un opuscolo etnografico su quella nazione barbarica; infine le due composizioni storiografiche maggiori: "Historiae" e "Annales" (Annali).
Le “Historiae”, originariamente, comprendevano 12 libri, che esponevano la storia di Roma dal regno di Galba alla fine di quello di Domiziano, ossia dal 69 al 97; rimangono a noi i primi 4 libri e un breve frammento del quinto, ossia gli avvenimenti dell'anno 69, con la rapida successione al trono di Galba, Otone e Vitellio.
Gli “Annales”, invece, descrivevano i regni degli imperatori precedenti, quelli della famiglia Giulio - Claudia, da Tiberio a Nerone, vale a dire dall'anno 14 al 68. Essi erano in tutto 16 libri, di cui a noi sono giunti interi i primi 6 libri (Tiberio) e, con lacune, gli ultimi sei (Claudio e Nerone); manca completamente la parte centrale, riguardante Caligola.
Tacito attese alla composizione delle sue opere storiche con molta serietà, una serietà che doveva essere parte essenziale del suo carattere. Egli si servì di opere precedenti, come quelle di Seneca Padre, di Aufidio Basso, di Fabio Rustico e di Plinio il Vecchio; di documenti ufficiali come i verbali del Senato, di discorsi di imperatori, di memoriali e di testimonianze anche di viventi. Il metodo annalistico, che egli adotta, mostra come volesse ispirarsi al modello dell'antica storiografia romana. In questo modo Tacito, anche per rispetto verso la tradizione, non manca di riferire fenomeni e prodigi, come l'apparizione di comete, di mostri, di pestilenze ed altro.

Visione religiosa e dell’uomo

Tacito non nasconde un profondo scetticismo, sia riguardo agli dei, sia verso la fortuna degli Stati, sia nei confronti degli uomini. Gli dei, per lo storico, appaiono più come punitori che solleciti delle sorti umane; la fortuna è intesa più come la bizzarria del caso che come un fato razionale. Si può affermare che, pur seguendo la dottrina stoica, Tacito non crede in una provvidenza divina. Quanto al popolo romano, per lo storico appare decaduto e diseducato dalla perdita della libertà; Roma mostra i vizi del servilismo, del cinismo, della corruzione; la plebe è dedita agli spettacoli, sfoga istinti di crudeltà e di basso piacere; i nobili sono in preda all'adulazione, alle delazioni, alla falsità, a cerimoniali vuoti di significato e solo ambiziosi. È fuori di Roma se mai, presso gli stessi popoli barbari, che si possono trovare ancora quei valori di frugalità, di coraggio, di onestà nella vita familiare, che fecero grande l'Urbe e che Tacito rimpiange.

Visione politica e del mondo

Tacito ha dell'intera vita politica degli Stati una visione pessimistica. Per lui non esistono, in pratica, costituzioni politiche perfette e stabili. Le lotte interne, la ricerca del potere crescono con l'aumento di forza e ricchezza delle nazioni e queste si corrompono e perdono la libertà. Così avvenne a Roma, che dopo la crescita della Repubblica cadde in preda alle lotte civili e infine vide istituirsi un principato assoluto, dove il Senato era ridotto a un'assemblea di servitori ambiziosi. Il principato garantisce però la pace interna e la potenza di Roma verso i popoli esterni. Da questa visione della storia, cupa, piena del senso del male, priva di una grande forza ideale interna, deriva anzitutto che l'opera di Tacito si muove tra i due poli della vita pubblica e privata di Roma, e delle conquiste imperiali ai confini del Reno e dell'Oriente. Per lui, le conquiste sono la continuazione di un passato glorioso e mettono ancora in luce valenti generali, come Germanico e Corbulone. La cronaca romana, invece, è fatta di una serie continua di episodi quasi tutti meschini e vergognosi e di personaggi colmi di vizi. Di qui nascono i celebri ritratti di Tacito, primo fra tutti quello di Tiberio, tratteggiato negli Annales come un tiranno sospettoso e crudele. Famosi anche i ritratti di Seiano e di Tigellino, di Nerone, di sua madre Agrippina e di Messalina, del virtuoso Trasea Peto e di sua moglie, di Petronio e degli altri nobili che parteciparono alla congiura dei Pisoni contro Nerone stesso.

Lo stile

La visione tacitiana del mondo e dei fatti si riflette nel suo stile personalissimo, che capovolge i canoni del periodare ciceroniano e liviano, per accostarsi invece, se mai, a quello di Sallustio e di Seneca: ossia uno stile fatto non di armonie, ma di contrasti, con vocaboli arcaici, tinte poetiche, frasi spezzate (la brevità di Tacito è addirittura proverbiale). Da tutto ciò deriva un'opera storiografica intensamente drammatica, di grande valore artistico oltreché informativo (anzi l'oggettività di Tacito è assai discussa). La personalità dello storico e il suo rigore morale sono sempre in forte evidenza sia nello stile, sia nel dominio della materia e dei personaggi, nella spietatezza del giudizio e nello scavo psicologico dei singoli e delle folle, nei cupi scenari delle città e nei paesaggi immaginati per far da sfondo alle vicende umane.


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