Sull'esistenza
Da Pklab.
SULL’ESISTENZA
Spur Rasnal 12.2.2001
Non sarà certo Frank Capra né il più serio Paperino a convincermi dell’utilità dell’esistenza dell’essere umano. L’universo non ha bisogno del genere umano, tanto è vero che, per quello che sono le nostre conoscenze, non esistono altri uomini sui mondi conosciuti. Non solo … appare chiaro a tutti che la stessa vecchia, cara Terra non ha bisogno dell’uomo! È stata milioni e milioni di anni senza gli uomini, sola con i dinosauri, e, prima ancora, senza neppure questi, e non ha avuto nessun problema, anzi sicuramente era messa meglio (“Molte sono le cose terribili, ma nessuna è più terribile dell’uomo”, diceva il grande Sofocle e certo non si sbagliava). No, non ho dubbi … l’essere umano è inutile, talmente inutile che non serve neppure a se stesso, anzi, è pure dannoso a quelli che lo circondano. Il bello è che, per quanto si dica il contrario, è proprio quello che nella realtà si dimostra.
Prima di tutto sgombriamo il campo da un grosso equivoco: nessuno, per quanto possa essere stato o ritenuto “grande” o “importante”, è da ritenersi indispensabile sulla Terra e per l’Umanità. Anche senza il mitico Porsenna la Storia sarebbe andata proprio così come è andata, né indispensabili sono stati Giulio Cesare o Gutenberg; non Cristoforo Colombo o Napoleone e neppure Dante Alighieri o Giorgio Baffo. Gli Etruschi sarebbero stati i gloriosi Etruschi che conosciamo; l’impero romano sarebbe diventato impero romano, la stampa sarebbe stata comunque inventata, l’America sarebbe stata scoperta o avrebbe scoperto l’Europa che, a sua volta, di guerre non ne sentiva certo la mancanza. Anche dell’uomo normale, dell’uomo comune, di quello che ogni mattina si toglie la giacca, naturalmente, se ne può fare tranquillamente a meno. Convinciamoci di questo … siamo dei poveri accidenti o, come diceva il buon Gesù, “servi inutili”.
La cosa peggiore è che non ci rendiamo conto della beffa che viviamo giorno dopo giorno, dell’inutilità dello scorrere del tempo e della vanità di ogni sforzo … “È inutile agitarsi nella vita … da essa non se ne esce vivi”, leggevo da qualche parte e mai ho letto un’affermazione più veritiera (oltre che più simpatica).
Mi piacerebbe che qualcuno mi desse un valido motivo per nascere … nessuno ci riesce e nessuno trova buoni motivi per vivere. E così si tira avanti per inerzia: nella ricchezza come nella povertà, nella salute come nella malattia. E vediamo ricchi stanchi ed annoiati dalla vita allo stesso modo dei poveri; vediamo gente famosa e potente che sono infelici come individui sconosciuti ed insignificanti; vediamo soffrire e morire allo stesso modo ricchi, poveri, potenti, sapienti, geni e cretini a dimostrazione che niente serve a rendere felici e ad evitare la morte … e continuiamo a vivere perché ci siamo abituati e più ci abituiamo e più vogliamo vivere soprattutto perché non sappiamo cosa c’è oltre alla vita.
C’è qualcosa, ci chiediamo spesso e angosciati? Nessuno, sono sicuro, ha certezze in questo campo! Esiste per alcuni solo la speranza che ci sia quello in cui si crede. E se oltre alla vita esiste qualcosa, di cosa si tratta? Esiste un aldilà cristiano? O forse avevano ragione i nostri vecchi padri pagani? Avremo il Paradiso che ognuno spera o, come si chiede argutamente Gervaso in suo aforisma, questa vita potrebbe essere l’aldilà di un altro al di qua? E se qualcosa c’è, e necessario nascere per trovarla oppure la si può raggiungere senza l’onere del passaggio sulla Terra? E chi non è mai nato? E chi ha lasciato la Terra prima di cominciare a capire, come arriverà nell’aldilà? E quando si sarà nell’aldilà come saremo? Eternamente vecchi? Eternamente giovani? Saremo spirito? Corpo? Bah!
Non c’è niente? Mi state dicendo che la vita è fine a se stessa? Perché allora soffrire?
Perché affannarsi? Perché comportarsi rettamente? Quando ci sarà resa giustizia? Perché vivere anche altri cento anni, magari nel dolore, nell’indigenza, nella malattia? Che senso ha vivere una vita non bella? Perché continuare a vivere quando ci si accorge di averne fallito lo scopo, quando si vive una vita che non piace, che non era quella che si sperava, che non era quella che si voleva?
Dovremmo essere dei sostenitori della “doppia verità” come Pomponazzi? … ma il grande Pietro morì suicida …. E allora? Allora chi è nato continui pure la sua esistenza: quando giungerà al traguardo si tireranno le somme. Il buon Dio capirà i momenti di smarrimento e porterà con sé i poveri infelici … ma non voglio insegnare il mestiere a nessuno, tanto meno a chi ogni cosa sa. Non voglio discutere circa l’esistenza di una vita ultraterrena: chi purtroppo è caduto su questa terra ha il destino segnato. Il vero fortunato è chi non è mai nato: non soffre, non muore, non teme l’aldilà.
Se io non fossi nato? Cambierebbe qualcosa su questa terra? Ritengo di no, anzi ne sono sicuro. Ricordo bene il fumetto di Paperino: senza di lui il mondo di Paperopoli era del tutto diverso. Amelia si era impadronita del famoso decino di Paperone ed era diventata la più ricca dell’universo; zio Paperone, servito da Ciccio (la causa delle sue disgrazie) era povero e viveva sotto i ponti; Archimede era diventato contadino, incapace di inventare; Paperina acida zitella, abitava nel deposito che era stato di zio Paperone ed era diventata un’importante editrice; nonna Papera si era trasferita in città. Solo Gastone era rimasto lo stesso … la sua fortuna era superiore a tutto ed a tutti. È proprio vero: “contro il culo ragion non vale”; se sei fortunato, buttati e mare e quello ti ricaccerà fuori, dicono i miei vecchi compaesani ... Io, però, non sono Paperino e, se non fossi mai nato, il mondo sarebbe stato sempre quello, la mia borgata sempre la stessa, la gente che mi ha conosciuto, sempre quella, sempre la stessa. Se così non fosse, oggi qualcuno dovrebbe essermi riconoscente, grato, ma così non è … anzi, molti addirittura mi maledicono!
Di cosa mi posso gloriare? Di che menare vanto? Di aver contribuito a “formare il tavolo” per le mitiche partite a scopone con zio Lazzariello, con Ertenisio e Poldo? Ma se non ci fossi stato io, c’erano pronti Vittorio, Vincenzo, e altri … io non ero necessario per loro, che infatti avevano fatto a meno di me per tanti anni, quando io ero lontano; erano essi, invece, ad essere necessari per la mia esistenza. Non avevano bisogno di me i ragazzi dell’Istituto, che infatti mi hanno subito dimenticato, né quelli del liceo classico, dove ero un corpo estraneo. Non solo! Se non fossi mai nato, forse qualcuno starebbe meglio e questo dubbio contribuisce a rattristarmi ulteriormente, a farmi macerare l’animo e l’esistenza.
Oddio, ora che ci penso a qualcuno ho cambiato radicalmente l’esistenza … ricordo ancora l’episodio, anche se sono trascorsi più di cinque lustri. Era una sera d’estate romana … mi trovo sul bordo di una strada, alla fermata dell’autobus; vicino c’erano alcune persone in attesa, tra di loro una giovane donna negra, anche carina in verità, con il suo bambino. Ad un tratto il negretto si divincola e, lasciata la mamma, scende repentinamente dal marciapiede e si precipita in mezzo alla strada. È questione di secondi: grosso un autobus sopraggiunge veloce; la povera donna grida e si mette le mani nei capelli; il bambino è come paralizzato; le altre persone urlano, ma nessuno si muove. Non c’è tempo da perdere … senza indugi mi precipito in strada, afferrò il bambino, lo stringo forte e lo trascino via: siamo sul marciapiede appena un attimo prima che l’autobus lo travolga, che ci travolga. Lo riporto alla mamma che neppure mi ringrazia … e mi allontano insalutato ospite … come sempre.
Non credo, però, che questo abbia cambiato qualcosa … anzi sono sicuro che il mio fu un gesto inutile.
Ora, dunque, se non stato necessario per niente, perché vivere? Che senso ha la vita, la mia vita? Perché si dovrebbe vivere? Mi dicono che si vive per conoscere cose nuove (“ma per seguir vertute e conoscenze”, diceva il sommo poeta) … allora bisognerebbe vivere in eterno. A me, per esempio, piacerebbe sapere tutto sugli Etruschi. Ma quando morirò, difficilmente sarà stata trovata la mitica tomba del grande lucumone Porsenna, non avemmo ancora conosciuto la loro storia, non avremo chiarito molti dubbi su quel meraviglioso popolo, non avremo ancora svelato tanti misteri … Morirò con la tristezza di non aver conosciuto le cose che volevo. Perché vivere, allora? Per imparare, mi dicono … e perché imparare cose nuove se poi posso morire un minuto dopo? E come dovrei vivere? A cosa dovrei mirare? Al piacere forse? E cosa è il piacere? Viaggiare forse? Ed allora io sarei nato per andare in giro per il mondo … e quindi i più felici dovrebbero essere i nomadi, gli zingari ed i vagabondi? Sono loro quelli che dovrei imitare? Io, però, non amo gli zingari e non mi piacciono i vagabondi: non li voglio affatto imitare. Allora il piacere è avere una bella casa, una villa, un palazzo? Ma basta una fuga di gas, una scossa di terremoto, un'alluvione e ti porta via la tua fonte di piacere… gli animali invece hanno un nido o una tana e non mi sembrano infelici. E poi, si può misurare la gioia, la felicità in metri quadri o cubi?
Cosa è allora la vera gioia? La bellezza per una ventina di anni? La potenza per qualche lustro? Ma tutto si lascia da qui a qualche anno e noi siamo meno di un granello di sabbia nell’Universo e nell’Eternità.
E sono convinto sempre più dell’inutilità di tutto e tutto si risolve in una continua presa in giro, in una ricorsa affannosa del vuoto e dell’inutile, nell’eterna fatica di Sisifo. Le cose che si hanno si disprezzano, l’erba del vicino è sempre più verde, ma non la si può mangiare, le cose che crediamo possano migliorare l’esistenza non le abbiamo e le vediamo sempre sulle case degli altri come tanti arcobaleni … ma solo gli stupidi inseguono l’arcobaleno.
Questo lo scrisse Rasce