Orazio

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ORAZIO (65 a.C. - 8 a. C.)

Vita

Quinto Orazio Flacco nacque a Venosa, ai confini tra l'Apulia e la Lucania, l’8 dicembre del 65 a.C.. Fu educato a Roma per desiderio del padre, un liberto esattore di vendite all'asta, che volle fargli seguire le scuole frequentate dai ricchi. Come tutti i giovani della migliore società romana Orazio, intorno ai vent'anni, fu mandato ad Atene per completare la sua educazione con studi di filosofia e di morale. Attraverso il circolo filosofico napoletano di Sirone si accostò all’epicureismo ed egli stesso ci dice “sono un grasso porcello del gregge di Epicuro”.
Dopo l'uccisione di Cesare e la fuga in Grecia di Bruto, Orazio, entusiasta sostenitore della causa repubblicana, si schierò dalla parte dei congiurati e, col grado di tribuno militare, partecipò alla battaglia di Filippi (23 ottobre del 42 a.C.) contro Ottaviano e Antonio rimanendo travolto dalla disfatta. Solo quando fu concessa l'amnistia poté tornare a Roma (forse 39 a. C.) dove, intanto, il padre era morto e le poche terre erano state confiscate. Si adattò a fare lo scrivano presso un questore e le ristrettezze economiche, come confessa lui stesso, lo spinsero a scrivere poesie.
Entrò in contatto con Virgilio e Vario che nel 38 a.C. lo presentarono a Mecenate, di cui divenne a poco a poco intimo amico. L'anno seguente era nel gruppo degli amici che accompagnarono Mecenate a Brindisi per un tentativo di riconciliazione fra Antonio e Ottaviano. Da Mecenate ebbe anche in dono una villa nella campagna sabina. Si appagava così il suo sogno di libertà, di indipendenza e di quiete; lì, non molto lontano dalla capitale, che continuava a frequentare, visse la maggior parte del tempo, resistendo anche agli inviti allettanti di Augusto.
Verso il 35 a.C. pubblicava il primo libro delle Satire; nel 30 a.C. usciva il secondo ed il poeta iniziava la composizione, del tutto diversa, delle Odi. Nel 23 a.C. venivano pubblicati i primi tre libri di questi carmi lirici; poi il poeta tornava ai metri e in parte ai temi delle Satire con un libro di Epistole, compiuto verso il 20 a.C..
Nel 17 a.C., celebrandosi i giochi secolari, Orazio fu incaricato da Augusto di comporre l'inno ufficiale (Carmen saeculare); seguiva un quarto libro di odi e un secondo di epistole.
Morì a Roma l’8 a.C., pochi mesi dopo Mecenate, e accanto a questi fu sepolto sull'Esquilino.

Opere

Le prime due raccolte poetiche, degli Epodi o Giambi (17) e delle Satire (2 libri, di 10 e 8 componimenti) datano dal 41 al 30; materia e tono risultano affini, anche se più crudi nei primi. Sono il momento giovanile, a volte un po' rigido, ma già confidenziale, della poesia oraziana; danno un quadro vivo della città e accennano ad alcune circostanze fondamentali dell'esistenza del poeta, quali l'educazione ricevuta dal padre, lo svolgimento dei rapporti con Mecenate, problemi letterari e filosofici; ed è già chiaro il tentativo di affinare anche stilisticamente il genere letterario della satira, tipicamente romano. Se le Satire (Sermones li chiama il poeta) sono un'opera carica di simpatia umana, le Odi (Carmina, 103 poesie in metro vario) presentano il momento più alto dell'ispirazione poetica di Orazio. La vita dello scrittore ancora si presenta in molti scorci; molti carmi sono dettati da circostanze esteriori, ma l'interesse del poeta e del lettore va al modo nuovo di far poesia in Roma, a cui queste composizioni ci fanno assistere. Qui, l'aspirazione di Orazio è di rivaleggiare con i grandi lirici della Grecia arcaica (Alceo di Mitilene, Saffo di Lesbo, Anacreonte, Pindaro) o alessandrina. E certo il rischio di un lavoro puramente letterario qua e là è evidente in componimenti fin troppo eleganti e freddi. Più spesso, Orazio ritrova nella perfezione stilistica e nella plasticità fantastica il corrispettivo della sua visione dell'esistenza: con le regole della vita schiva, del godimento dei piccoli, ma sostanziosi piaceri d'ogni giornata (il carpe diem), del culto del bello, dell'affinamento spirituale, dell'importanza dell'amore, dell'amicizia, della ricerca di un equilibrio interiore. Perciò l'adeguamento forma-contenuto appare spontaneo, e ne nascono le più alte liriche di tutta la letteratura latina. Persino la tematica patriottica, o addirittura l'ideologia augustea e la restaurazione di valori civili trovano espressione adeguata in questa raccolta (soprattutto nel gruppo di liriche all'inizio del libro III, e nel Carmen saeculare). Il passaggio dalle Odi alle Epistole (23 componimenti) è ancora brusco nella forma; ma la disposizione verso la vita e verso gli uomini è più comprensiva, affinata dalla grande esperienza dei Carmina e da riflessioni estetiche testimoniate anche nella terza lettera del II libro, quella celebre detta Ars poetica. La chiusura del ciclo poetico di Orazio con questa raccolta mostra la perfetta costanza di una vita esemplare: esemplare per esperienza di poeta ed esemplare per esperienza umana. Raramente si trova in uno scrittore una compenetrazione così intensa dei motivi esistenziali e della produzione letteraria, che si fa autentica autobiografia e insegnamento. Si sono rimproverati a Orazio soprattutto l'atteggiamento in sostanza rinunciatario verso gli impegni dell'azione, gli splendori formali senza forti contenuti. Ma certo il poeta rispecchiava un diffuso stato d'animo, in momenti di travaglio politico, di delusioni e di speranze nuove; ed è proprio questo misto di scetticismo e di sensibilità verso le promesse che il programma augusteo faceva brillare, dopo decenni di guerre civili, a costituire il valore anche storico della poesia civile di Orazio. Ma è soprattutto la complessa e sfuggente personalità del poeta e l'eleganza della sua poesia ad aver affascinato nei secoli i lettori.

Giudizio

Orazio stesso ci fornisce un ritratto di sé: piccolo e un po' obeso, occhi scuri e calvizie precoce; facile all'ira, sentiva anche molto gli affetti. Quello di Orazio fu un tempo di grandi sconvolgimenti politici e sociali: vide il tramonto della Repubblica e l'affermarsi dell'Impero. Anche per l'intellettuale, morti gli ideali e le norme di vita dettate dalla romanità arcaica, si faceva forte la tentazione d'inserirsi nel nuovo sistema politico; tanto più che Augusto e il suo ministro Mecenate conducevano un'abile politica di accaparramento delle forze intellettuali, orientate, piuttosto di istinto, verso gli ideali repubblicani incarnati con grande prestigio da Bruto. Quella di Orazio, dunque, fu anzitutto la ricerca di una posizione che gli garantisse un'autonomia pratica e psicologica. Ebbe la fortuna d'incontrare un amico potente e intelligente come Mecenate, che gli assicurò un equo benessere materiale e rispettò la sua libertà. Ma fondamentale fu anche l'adesione di Orazio alla filosofia epicurea, che allora attraeva del resto in modo particolare i giovani colti di Roma, col suo insegnamento di un sano materialismo, di un giusto equilibrio interiore.
Orazio si professa epicureo, e da tutta la sua opera traspare la filosofia di Epicuro, anche se non mancano taluni passaggi o certe posizioni che pure risentono del più robusto verbo stoico, inevitabile in un cittadino romano. Tanta riservatezza nella vita, però, non ha stranamente riscontro nella produzione poetica di Orazio. Egli è anzi uno degli scrittori dell'antichità che più hanno parlato di se stesso, anche se poi il nucleo finale, l'intima sua natura finisce pur sempre per sfuggirci nei vari momenti della sua produzione poetica, che procede di pari passo con un affinamento estetico ma anche intellettuale e morale.

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