MAO 2 - La storia

Da Pklab.

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SECONDO LIBRETTO DEI PENSIERI DEL MAO

Dedicato a me
senza il quale difficilmente
quest’opera avrebbe visto la luce


Premessa

Per il lettore

Erano lontani i giorni in cui il Tuscio ispirava ammirazione e rispetto, timore e, forse, devozione; di lui ormai si erano perse le tracce ed anche il ricordo era diventato fioco, anzi era svanito con lui.

Table of contents

Ricordando il Tuscio

Chi si ricordava più del Tuscio? Probabilmente nessuno: i giovani sono troppo giovani perché conoscano cose antiche ed i vecchi troppo vecchi per ricordare cose nuove. A me, però, sarebbe piaciuto conoscere ancora qualcosa di lui e dei suoi insegnamenti, della sua saggezza, del M.A.O., degli avvenimenti che avevano portato alla sua fine...
... il caso una volta tanto volle darmi una mano.
Orbene, avvenne che un giorno, per sbaglio, mi trovai a passeggiare per le vie del paese dove ero certo che aveva vissuto il Tuscio e così decisi di cercare la casa dove egli aveva abitato: per me sarebbe stato come scoprire un monumento, visitare un tempio, rivivere antichi fasti ... Un vecchietto ozioso, che sonnecchiando prendeva serenamente il sole sopra lo scalino di una casa, mi indicò, con molta certezza e con qualche perplessità, il numero civico corrispondente … non era lontano quello che stavo cercando. Ero un po’ emozionato ... già da lontano vedevo una lapide e per un momento dovetti ricredermi sul trattamento che era stato riservato a quel grande uomo qualunque: i suoi concittadini avevano voluto onorare la sua memoria e non l’avevano certo dimenticato, come pure sostenevano gli storici di parte avversa. Mi apprestai a leggere le parole, sicuramente nobili, che erano state dedicate al Tuscio. Quando fui più vicino, però, mi accorsi che non si trattava di una targa commemorativa, bensì di un cartello, su cui era scritto (ma ormai le lettere erano state sbiadite dal tempo): “Affittasi o vendesi a prezzo davvero modico e in ogni caso trattabile”. Non era proprio quello che mi sarei aspettato, ma sempre qualcosa era ... d’altra parte non si può avere tutto dalla morte. Essendo ad ogni modo la porta aperta, chiesi al vecchietto, che mi aveva seguito non so se per controllarmi o per l’eventuale provvigione che sperava di ricavare nel caso di un mio acquisto, se mi era consentito di entrare per dare un’occhiata, sperando segretamente di rinvenire qualche documento, sfuggito a ricerche precedenti, che mi illuminasse ulteriormente. In cuor mio mi sentivo un novello Poggio Bracciolini mentre si apprestava a ritrovare il "De Rerum Natura" di Lucrezio, qualche orazione di Cicerone o la "Institutio Oratoriae" di Quintiliano.
Il vecchio, che aveva intuito il mio interesse più che nullo per l’acquisto, quasi con indifferenza, ma con molta cordialità, mi assicurò che non gliene fregava assolutamente niente, né a lui né a nessun altro ... e così entrai. La fortuna mi fu particolarmente amica e le notizie ed il materiale raccolto oltremodo interessanti.

Personaggi del MAO

Fu così che potei sfatare un altro luogo comune, quello che voleva il M.A.O. essenzialmente maschilista: venni a sapere, infatti, che del movimento avevano fatto parte numerose donne ... e che donne! Tra le più degne di nota, troviamo "Bettina da sotto i tre ponti”, "Annina a Chiavcafete”, “Peppinella ‘a recchia” (da non confondere con “Peppinella 'a racchia”, che osteggiò il movimento fin dalle origini), Carlotta “a vacca”, nota ornitologa, ed altre ancora che molto lustro diedero al M.A.O.. Sicuramente la più famosa fu un’anonima ragazza conosciuta come “a zoccola ro Tusciano” per la sua astuzia sopraffina e per altre doti e capacità facilmente intuibili; il Tuscio, si vocifera, affettuosamente la chiamava “zucculòna”.
Tra le carte rinvenni anche un manuale di addestramento scritto nientepopodimeno che da Tatillo stesso a beneficio delle truppe tusciane, grazie al quale furono possibili le più grandi vittorie.
Tatillo scrisse anche un “Manuale di Tattica militare” che fece il giro delle Accademie Militari di mezzo mondo. In modo sobrio e conciso, il vecchio Caporal Maggiore descrisse tutti gli scenari e gli aspetti della guerra moderna ed i suoi insegnamenti furono apprezzati dagli Stati Maggiori delle Forze Armate più potenti del mondo. Fu solo dopo la pubblicazione del Manuale di Tatillo che i migliori generali appresero che in ogni guerra è necessario per prima cosa “ripararsi le chiappe” e solo in un momento successivo, anzi subito dopo se possibile, “inchiappettare l’avversario”! “Confondere l’avversario” e “costruire ponti d’oro al nemico che fugge” sono aspetti secondari, anche se non da trascurare.
Quello che mi stupì maggiormente, devo dire, fu la scoperta che nel M.A.O. avevano militato anche tali Iscariota Giuda e Imperatore Giuliano noti riformatori religiosi, che si mobilitarono per addivenire ad una nuova concezione della religione e del divino.
Il Tuscio, anche secondo gli storici di parte avversa, era un uomo fondamentalmente buono, pio e molto timorato di Dio e soffriva nel vedere il casino in cui era precipitato il suo paese, la confusione religiosa ed il caos ideologico nei quali si dibatteva la gente. Era necessario, pensò, il ritorno al passato, alla purezza della religione primordiale, abbattere gli idoli, i “vitelli d’oro” che gli uomini si erano costruiti, distruggere i falsi miti e le errate credenze. Dell’opera di restaurazione si incaricò proprio il buon Giuliano, che per il suo zelo in seguito fu denominato “l’apostolo” (bisogna dire, tuttavia, che una fonte anonima di parte avversa erroneamente riporta la voce “Apostata”).
Egli cercò di mettere ordine in tanta confusione; la sua teogonia, raccolta nel volume “Dei, semidei ed eroi”, diventò il testo sacro del MAO. L’opera è purtroppo irrimediabilmente perduta, come pure lo sono i vari compendi ed epitomi successivi. Uno solo, affermò Giuliano, è il padre degli dei, Tinia, anche se tre sono i suoi nomi: Tinia, Giove e Zeus. Questa, non altre, era la verità. Essendoci piena libertà religiosa, il riformatore stabilì che ogni uomo poteva invocarlo con il nome che riteneva giusto. Il padre degli dei, proprio in quanto tale era il più potente di tutti e poteva essere invocato per tutte le evenienze, ma per non affaticarlo troppo e non caricarlo di eccessivo lavoro, Giuliano cercò di decentrare l’attività divina, affidando agli altri dei incarichi particolari. In poche parole ogni dio si specializzò in qualche ramo, cosicché il buon Tinia, già avanti negli anni, avrebbe potuto godersi un po’ di meritato riposo. Gli affari terreni erano comunque in buone mani e così, per esempio, la strabica Thuran (Venere per gli amici) divenne protettrice della vista oltre che degli scorfani, a Turms (che gli intimi chiamavano Mercurio) si rivolgevano gli ambasciatori, i ladri, gli immigrati clandestini e … via di seguito.
Al di sotto degli dei c’erano i semidei, che erano gli dei decaduti perché non erano stati in grado di soddisfare le esigenze degli uomini, o esseri che, avendo compiuto grandi prodigi, erano in attesa di diventare dei. Anche a loro gli uomini potevano rivolgersi per avere aiuti. C’erano infine gli eroi, capaci di grandi imprese terrene. Questi ultimi, però, potevano essere invocati, adorati, riveriti, ma non pregati e concedevano i favori solo dietro pagamento.
Alcune teorie erano intuibili, altre un po’ meno, ma nessuno comunque fu mai in grado di confutare i dogmi di Giuliano. Nella sua opera il riformatore si avvalse dell’aiuto di Giuda, che si vantava di essere stato in confidenza con dio e che al suo indubbio talento abbinava una lealtà incredibile. Era fra l’altro anche una persona molto affettuosa e raffinata; si tramanda che sia stato proprio lui ad inventare il baciamano per le signore e il bacio sulla guancia come saluto. Era molto affezionato al Tuscio e sembra sia stato l’ultimo a vederlo prima della sua scomparsa, anche se non volle mai parlare dell’episodio. Si narra, comunque, che l’addio sia stato molto commovente; gli stessi storici di parte avversa raccontano che al sopraggiungere dei nemici il buon Giuda Iscariota, con le lacrime agli occhi, abbracciò il Tuscio e lo baciò… subito dopo i sicari si avventarono sul Tuscio. Le fonti tacciono su quello che successe in seguito, ma si tramanda che Iscariota Giuda qualche tempo dopo comprò un piccolo orticello pagandolo la bellezza di 30 denari (una cifra enorme per quel tempo, in pratica il frutto dei risparmi di tutta una vita) e con quello tirò avanti con molta dignità.

Il MAO al potere

Ma ritorniamo al Tuscio. Appena assunto il potere, egli emanò subito il primo decreto legge, noto anche come la “Legge del Porco”, di un solo articolo: “Art. 1. - Non si butta via niente.”
Egli adattava le leggi ai tempi ed ai costumi nel tentativo di migliorare la vita dei suoi, non dimenticando mai le sue esperienze. Cosi quando restò solo con il C.A.Z.Z.O. che gli faceva da retroguardia, il Tuscio intuì che non gli conveniva avere il C.A.Z.Z.O. alle terga. Fu così che promulgò in tutta fretta la famosa legge, detta “Legge del volgo” - Quando ce l’ho nel culo, me lo tolgo.
Il Tuscio aveva comunque una grave pecca, come ammettono gli stessi storici di parte. Ad una grande abilità tattica, abbinava un’assoluta incapacità strategica che lo doveva portare alla rovina. Non si spiegano alcune sue mosse che l’avrebbero potuto portare alla vittoria finale e che invece gli costarono sconfitte disastrose. Nessuno ha mai capito perché, quando già si trovava prossimo ad invadere la capitale nemica, abbia rinunciato all’assalto decisivo e si sia perso in scaramucce senza senso e poi, novello Annibale, si sia adagiato e perso in ozi senza costrutto. Aveva, oltretutto, scarsa fiducia nelle truppe mercenarie, di cui pure disponeva in gran numero, ritenendole pronte a tradire. Non aveva tutti i torti, è chiaro, ma perché, dopo aver coordinato in modo impeccabile con Carlotta “a vacca” un’azione che sicuramente gli avrebbe aperto la strada verso la vittoria, attaccò da solo incappando in una pesante sconfitta, sciupando inutilmente le sue energie. Perché non attese l’arrivo degli aiuti promessi, aiuti che fra l’altro arrivarono puntualmente, ma che lo trovarono ormai senza forze?
Quante volte lasciò le sue truppe ausiliarie preda del nemico, senza intervenire con il grosso del suo esercito? Sembra quasi che avesse paura di vincere e forse per questo a mano a mano le sue truppe disertarono. Questa sua indecisione non è però imputabile alla mancanza di coraggio. Infatti, quando i nemici minacciarono di ricorrere alle armi chimiche, il Tuscio freddamente rispose: “Se mettete il gas nervino, berremo lambrusco!”. L’affermazione scoraggiò gli avversari che abbandonarono il loro proposito e così ad Olevano si continuò a bere l’amaro vino delle Cairelle.
In un’altra occasione il potere centrale minacciò di invadere i liberi territori facendo risalire il Tusciano nientemeno che da Nave Ardito. Sprezzante il Tuscio replicò: “Meglio Ar dito che ar culo”... ed il nemico ancora una volta dovette desistere.
Il governo, despota e ladro, intanto, taglieggiava e angariava troppo i cittadini con soprusi, nuove tasse, ingiustizie e prevaricazioni di ogni genere. La gente onesta si sentiva abbandonata ed in balia di prepotenti e malintenzionati, mentre ben tutelati erano i ladri e gli assassini, i furfanti di ogni risma, i lenoni, le prostitute, i drogati e chiunque campasse fuori della legalità. Non potendo eliminare le ingiustizie con le buone, al Tuscio rimase altro che passare alle cattive e riprendere l’opera lasciata interrotta da Frate Tommaso Campanella e costruire la Città del Sole che già i suoi seguaci sognavano Città del Tuscio. La reazione dei boiardi, che si vedevano sottratto l’osso, fu immediata e rabbiosa. Invece di capire i motivi della sommossa ed il malcontento della gente e porvi rimedio, furono impiegate ingenti forze nella repressione.
Gli storici, anche di parte avversa, hanno calcolato che nell’occasione contro la brava gente furono impiegati più uomini e mezzi che per reprimere le varie criminalità organizzate o meno che pure infestavano il paese. Il fatto, però, non deve destare meraviglia perché si sa che stiamo parlando di uno Stato forte con i deboli e … debole con i forti. La storia non racconta come finì la cosa, ma io sono riuscito a mettere insieme il resoconto drammatico dell’ultima battaglia, che in pochi giorni vide la fine del sogno tusciano e la scomparsa di quell’autentica spina nel fianco del potere che era il Tuscio.

La battaglia del Tuscio

Primo giorno:
Ore 04.11 - Mentre Tatillo organizza l’esercito, il Tuscio, accortosi che il nemico avanzava in ordine sparso, si lancia in un disperato attacco e respinge gli avversari fin dentro la palude dell’Irno.
La vittoria finale non è affatto una chimera.
Ore 07.23 - Rinforzato dalle truppe cammellate della reazione, l’esercito regolare sferra un poderoso contrattacco che respinge il Tuscio fin sulla sponda destra del fiume Tusciano. Periodo di smarrimento del Tuscio che rimane indeciso sul da farsi.
Ore 07.24 - Il Tuscio, consigliato dai suoi esperti militari, chiede ed ottiene una tregua.
Ore 08.05 - Il Tuscio si accampa sulla riva destra del Tusciano e, seduto sulla sponda del fiume, aspetta il cadavere del nemico che passi. Purtroppo gli avversari si sono attestati a valle e quindi l’attesa è inutile. Accortosi dell’errore geografico, il Tusciano mormorò: “Non passa lo straniero!”.
Ore 08.25 - Il Tuscio rompe unilateralmente la tregua e riprende le ostilità. Le vittorie precedenti ed il suo prestigio personale gli portano offerte di aiuto che egli respinge nel tentativo di arrivare da solo alla vittoria finale.
Ore 09.27 - Un generale avversario offre al Tuscio la resa con l’onore delle armi. Il Tuscio respinge sdegnosamente l’offerta e riprende i combattimenti. La spinta offensiva, però, sembra esaurirsi lentamente ed il Tuscio appare in chiara difficoltà.
Ore 10.10 - Tatillo invia un primo corpo di soccorso. Carlotta “a vacca” corre in aiuto del Tuscio che purtroppo non ne sfrutta a pieno le sue capacità.
Pesante sconfitta del Tuscio che sembra sul punto di crollare.
Ore 12.13 - Carlotta “a vacca” passa inopinatamente al nemico. Privo del suo supporto logistico più importante, il Tuscio passa di sconfitta in sconfitta: la sua stella sta per spegnersi definitivamente ed il suo bluff scoperto.
Secondo giorno:
Ore 01.07 - Carlotta “a vacca” inizia le trattative per un ritorno nelle file tusciane, mentre il Tuscio è ripetutamente battuto.
Ore 03.09 - Nuovo abboccamento con un emissario nemico che offre ancora la resa con l’onore delle armi. Sdegnoso rifiuto del Tuscio cui segue una sua nuova sconfitta. I nemici sono molto vicini alle spoglie opime del Tuscio che evita la cattura per miracolo.
Ore 04.10 - Riorganizzate le sue falangi, rabbioso contrattacco del Tuscio che travolge il nemico ed inanella una serie impressionante di successi che fanno ben sperare in una vittoria finale. Sospensione delle ostilità, mentre il Tuscio cerca nuovi alleati.
Ore 10.20 - Ancora rovesci del Tuscio. Tatillo invia un nuovo corpo di soccorso al comando di Peppinella “a recchia” (da non confondere con Peppinella “a racchia”, che militava nel campo avverso). Le cose sembravano mettersi finalmente bene per il capo dei Tusci.
Ore 11.20 - Tatillo mette a punto la sua strategia per la vittoria finale e prepara un nuovo blitz. Invia a sorpresa anche Carlotta “a vacca” per un combattimento all’ultimo sangue. Errata valutazione da parte del Tuscio che inizia il combattimento da solo, contro ben cinque corpi d’armata nemici ed è piegato. Carlotta al suo arrivo trova il Tuscio ormai privo di forze e nell’impossibilità di combattere.
Terzo giorno:
Dopo una serie di altalenanti vicende, il Tuscio travolge gli avversari che gli offrono non più la resa con l’onore delle armi, ma un incarico di prestigio nelle loro file. Il Tuscio incautamente rifiuta l’offerta per continuare la lotta al fine di creare la vagheggiata Città del Sole.
La pace è lontana da venire ed infatti ancora una volta gli avversari si trovano di fronte. La poderosa fanteria tuscia è schierata ed è pronta per respingere il nemico. A guidare l’attacco arriva addirittura Tatillo che cavalca il suo bianco cavallo …. poco lontano, in posizione più nascosta c’è il Tuscio che cavalca la bionda Silvana. Alla prima scarica avversaria, il cavallo e la bionda rimangono fulminati. Le truppe tuscie non si perdono d’animo: Tatillo prosegue a piede ed il Tuscio prosegue a mano.
Ormai, però, si sta arrivando ad una stagnante guerra di trincea; il Tuscio intuisce che la vittoria finale è ormai solo una vaga chimera e si prepara alla fuga.
Quarto giorno:
Ore 04.28 - Il Tuscio programma per le 05.31 l’ora della fuga. Un imprevisto lo costringerà a rinviarla. In questo tempo i nemici gli tenderanno l’imboscata che risulterà fatale.
Ore 06.13 - Il Tuscio cade nella trappola: disperato tentativo di resistenza, ma un veleno o una droga (le opinioni degli storici ancora una volta sono discordi) lo rendono inoffensivo.
Ore 06.14 - Il Tuscio in ogni caso non si da per vinto e cerca di mettersi in salvo fingendosi colpito da improvvisa saggezza. Lo stratagemma non riesce.<br /Ore 06.18 - Il Tuscio scompare misteriosamente.
Ore 06.19 - Tatillo scioglie il M.A.O. e si dirige a marce forzate verso la Serra per tentare l’ultima disperata resistenza.
Questo il resoconto finale ricavato dai vari messaggi che potei reperire. Per fortuna rinvenni anche lo stralcio del diario abbandonato da un inviato di guerra che, schifato di tutto, si era ritirato in una grotta a meditare, ed il bollettino finale che il Generale La Peste inviò a Tatillo per annunciare la sconfitta del Tuscio. Vediamo subito questo prezioso materiale.
Dal diario dell’inviato speciale in missione come osservatore e cronista dell’azione controrivoluzionaria dello Stato contro le truppe ribelli della Città del Tuscio:
“Li ho visti! Essi erano là, senza mezzi, senza speranze, solo con la certezza di essere nel giusto. Essi erano là, dinanzi alla loro gente delusa, ingannata, sfruttata, derisa, derubata, maltrattata. Il Tuscio visibilmente claudicante e Tatillo con le poche forze che ormai gli restavano data la veneranda età, si lanciarono all’attacco solo con la forza della disperazione. I loro uomini li seguono e la vittoria sembra vicina. Ecco … presa di contatto tra i contendenti … La zuffa è violenta, ma sono le truppe tuscie ad avere la peggio. Quando il polverone si dirada noto che i tusci sono diminuiti. Non scorgo, però, morti sul terreno ... la cosa è strana! Cosa può essere avvenuto? Mi sposto per vedere meglio cosa sta succedendo. Adesso mi trovo in posizione più favorevole e vedo interamente il campo di battaglia. Il Tuscio arringa la sua gente e lancia un nuovo, disperato attacco, ma ancora una volta le truppe dei Tusci sbandano paurosamente, le diserzioni sono tantissime ed è inutile il prodigarsi di Tatillo che come un ossesso incita, sprona, incoraggia e sorregge i suoi. Dalla mia posizione riesco a vedere anche le truppe cammellate della reazione: le loro armi sono terribili e fanno strage. Le falangi dei Tusci sono come ipnotizzate, sembrano drogate e passano in massa al nemico. Vedo le loro armi: sono titoli, onori, complimenti e lusinghe. A qualcuno viene offerto anche denaro, pochissimo però, a qualche altro solo una briciola; chi non s’arrende o non diserta è costretto alla fuga. Il Tuscio continua la lotta con i pochi fedeli che ancora rimangono, ma è colpito ripetutamente. Cade più volte ed altrettante volte si rialza. Sembra immortale … finché non si rialza più …..”
A questo punto il diario dell’inviato si interrompe improvvisamente … forse lo stesso cronista è stato colpito o forse ha capito che è inutile continuare il resoconto di un’avventura finita.
Ed ecco ora il bollettino del Generale La Peste, designato dal Tuscio a succedergli alla guida del Mao:
“Carissimo Tatillo,
l’esercito che con tanta sicumera al seguito del Tuscio aveva disceso le valli del Tusciano è stato irrimediabilmente sconfitto e quello che resta delle gloriose falangi tuscie risale malinconicamente le colline, inseguito dalle truppe avversarie che rendono servi i nostri uomini e si scopano le nostre donne. Tutto è perduto, anche l’onore. Il Tuscio è scomparso e voglia il cielo che non sia stato preso vivo. L’ultima volta che l’ho visto era vestito da ricco mercante, cercando in questo modo di passare inosservato tra i nostri nemici. Non so se sia riuscito a salvarsi. Anche io, appena possibile, tenterò la fuga se il cielo mi aiuta. Lascio a te, al tuo prestigio internazionale, l’incarico di trattare con il nemico di sempre una resa onorevole per quello che resta del nostro Mao.
Ti saluto con l’affetto di sempre”.
Generale La Peste

Reggenza di Tatillo e fine del MAO

Fu così che Tatillo assunse la reggenza del MAO al fine di liquidarne l’eredità. Le stesse fonti di parte avversa parlano di una luogotenenza improntata alla massima saggezza e giustizia. Si narra che la reggenza, a causa delle trattative laboriose per le condizioni di resa, sia durata a lungo, qualcuno parla addirittura di dodici ore, ma quasi sicuramente si tratta di esagerazioni. So, infatti, da fonti sicure che Tatillo governò per non più di sei ore, ma in quel periodo dovette affrontare e risolvere gravi tensioni e problemi sociali. Si narra, ad esempio, che un fedele tuscio si presentò a lui lamentando che uno sconosciuto l’avesse rapinato. Il poveraccio chiedeva di ricevere giustizia da chi aveva delegato a suo capo, alla persona cui pagava le tasse, a chi si era arrogato il diritto di governarlo. Tatillo, che era ancora il capo riconosciuto dei tusci e aveva a cuore la sorte della sua gente, senza farselo ripetere due volte, salì in groppa al suo asino ed inseguì il lestofante, lo raggiunse, gli sottrasse il bottino, lo riempì di randellate e ritornò dal suo suddito cui restituì i suoi averi. Forse era a causa di episodi come questi che i tusci amavano Tatillo e credevano in lui.
Il vecchio leone, però, non riuscì a compiere il miracolo, anche se sventò i tentativi avversari di nuocere a quello che restava del suo esercito. Per essere più vicino ai suoi, egli si era trasferito in una povera locanda denominata “Pensione Minima”. Al primo abboccamento, il nemico tentò anche con Tatillo la vecchia carta della truffa e della corruzione. E, infatti, subito cominciarono con il sostenere che non era giusto che un vecchio combattente come lui, che aveva lavorato tanti anni, pieno di acciacchi e con la salute malferma vivesse in questo modo. Doveva trasferirsi in un albergo lussuoso, lasciare la pensione e cambiare vita.
Tatillo, che non era un fesso, sentì subito puzza di bruciato e capì subito a cosa mirava l’avversario: la sua pensione era in pericolo. Così saltò improvvisamente sull’asino e si diede alla fuga. L’animale intuì il pericolo che correva il padrone e a galoppo sfrenato riuscì a raggiungere la Serra, pur inseguito dai nemici infuriati per essersi lasciati sfuggire quella che avevano creduto una facile preda. Tatillo si rinchiuse nella sua Serra e sopportò il lunghissimo assedio postogli dai nemici e dai malanni.
Con Tatillo ormai inoffensivo ed il Tuscio scomparso, il MAO aveva cessato di esistere. Senza più ostacoli, le truppe della reazione poterono dedicarsi con calma e tranquillità ai loro compiti ed attività preferite: ogni tipo di vessazione, ingiustizie, rapine, malgoverno, nepotismo, corruzione, ruberie, sprechi. La maggioranza della popolazione, imbelle e autolesionista, già abituata da tempo immemore a subire, pur brontolando non patì molto di quel ritorno al passato. I pochi altri che avevano militato nelle file dei Tusci ed avevano vissuto, sia pure per poco, un tempo d’oro, non sopportando la perdita della loro dignità, si diedero alla macchia (la Macchia è una frazione di Montecorvino Rovella, un comune vicino. Quindi è da ritenersi veritiera quella tradizione che tramanda che buona parte dei Tusci sia andata in esilio. N.d.A). Da allora attaccano il nemico di sempre con imboscate, scaramucce, attacchi improvvisi ed imprevisti, secondo la tattica del Temporeggiatore, nell’attesa di poter restaurare la Città del Tuscio.


thumb_Anonimus_Olibanuser_baby_cries_about_world_s_trouble.jpg Piccolo Anonimo Olevanese piange sui mali del mondo

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