Soliloquio

Da Pklab.

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Terremoto

Il terremoto … mi chiedevi di quella esperienza …
Accadeva esattamente 30 anni fa … era il 23 novembre del 1980. Come tutti gli eventi accaduti nell’ultimo mezzo secolo, però, anche questo mi ha colpito di carambola ... Bisogna pur dirlo … come sempre: Impavidum ferient ruinae … e stavolta è proprio il caso di dirlo.
Non ero al paese quando avvenne quell’immane tragedia … Angela, però, c’era e ricordo pure le sue parole quando la incontrai nella nostra gloriosa borgata due giorni dopo:
- Proprio adesso che cominciavo ad avere qualcosa … ora ho perso proprio tutto. Voglio morire!.
Il terremoto …
L’unica cosa che mi discosta dagli animali è proprio il fatto che io non avverto i terremoti. Pensa un po’ ... era il 1962. Ci fu una forte scossa di terremoto …. Tutti lasciano le case e corrono in strada … mia madre prende mio fratello piccolo e scende giù. In casa resto solo io e continuo a giocare con le figurine; pensandoci stavo solo contando quelle che avevo vinto giocando con gli amici. Poi, attratto e stupito dal clamore che viene dalla via, mi accorgo di essere solo e mi affaccio alla finestra … sulla loggetta di fronte c’è il bisnonno di Angela che, con fare stupito, chiede alla gente cosa facessero tutti giù sulla via.
23 novembre 1980 …
Sono di guardia nella caserma dopo sono giunto l’anno precedente. E’ quasi l’ora di cena: mando la mia scolta a mangiare; io cenerò più tardi. Stranamente il ragazzo tarda a tornare: come sono lazzaroni questi ragazzetti, penso … quando arriva lo redarguisco.
Il marinaio, però, non si tiene il rimprovero e si giustifica: - Sergé! C’è stato il terremoto!
Gli dico di smetterla di prendermi in giro: di scuse ne ho sentite tante, ma questa supera ogni limite, anche la decenza. Senza dargli il tempo di continuare, lo lascio al posto mio e vado a mangiare a mia volta.
C’è molta gente in piazzale, sembra quasi di assistere ad uno sciopero.
Mi fermo e chiedo perché c’è tutta quella gente; mi rispondono che c’è stato un terremoto, ma l’epicentro era stato in Campania e tutti mi suggeriscono di telefonare a casa: la situazione non è certo chiara, si hanno poco notizie e molto confuse. Allora provo a telefonare a casa … il telefono rimane muto … non mi risponde mai nessuno. Telefono alla mia fidanzata; mi risponde, mi conferma del terremoto, ma non sa darmi altre notizie. Mangio; torno a montare di guardia; vado a letto.
Il giorno dopo a noi della Campania non ci fanno uscire dalla caserma per andare a lavorare; sicuramente temono che la gente “vada in fuga”, che se ne vada a casa a controllare di persona cosa è successo. Restiamo in piazzale senza che nessuno ci dia notizie di alcun genere; comincia a circolare la voce che ci faranno andare a casa, ma non sappiamo ancora come.
Nel pomeriggio parte un pullman che ci porta fino a Napoli … gli accompagnatori hanno disposizione di lasciarci là … non si sa cosa c’è oltre …
A mano a mano i miei compagni di sventura mi lasciano; ognuno ha raggiunto il suo paese: resto solo. Ormai è calato il buio; con mezzi di fortuna, in autostop e a piedi raggiungo Battipaglia. Non ci sono autobus, è tutto buio. Ho ancora 8 km da percorrere. Sono solo e stanco …. Non mangio dalla sera precedente: in tasca ho una scatola di barrette di kinder cioccolato che ho comprato a Napoli e che avrei voluto regalare, come facevo sempre, ai bimbi appena giunto alla borgata.
Mi avvio a piedi: sento i cani abbaiare … forse sono cani pastore a guardia dei greggi, forse cani da guardia delle case, forse cani randagi. Non lo so!
Mi armo di un bastone e proseguo.
Dopo qualche chilometro vedo dei fari alle spalle … provo a fare autostop … Il mezzo si ferma quasi tagliandomi la strada, scende un carabiniere, mi punta la pistola contro e mi fa un sacco di domande.
Sicuramente i militari mi hanno scambiato per uno sciacallo; mi dicono, poi, che già ne hanno trovato qualcuno. Mi fanno salire a bordo, mi informano degli ultimi avvenimenti … c’è stata una vittima, mi fanno il nome e mi chiedono se la conosco: è una mia zia.
L’auto entra nel paese; i carabinieri mi accompagnano fino alla borgata e vanno via per mantenere il controllo del paese, per evitare casi di sciacallaggio, per portare un aiuto.
Come in un film dell’orrore mi muovo nella piazzetta, scruto le persone che stanno vicino ai fuochi accesi e che si preparano per trascorrere la seconda nottata all’addiaccio; cerco qualcuno della mia famiglia …. nella mia cinquecento dorme una bimba nata da qualche settimana.
Non c’è nessuno della mia famiglia. Qualcuno mi dice che forse hanno trovato rifugio da qualche amico. Mi ci reco … sono nell’aia della casa del nostro amico Alfredo, sono tutti intorno ad un fuoco.
Quando si accorge della mia presenza e mio riconosce, mia madre mi dice:
- Che sei venuto a fare? Qui si muore!
Guardo mio padre … i bagliori delle fiamme gli fanno assumere un aspetto terrificante; ha gli occhi di uno che ha pianto o vuole piangere; mi guarda, ma non mi dice nulla.
La sera dopo decido di andare a vedere la mia casa, la casa dove ho vissuto fin dalla nascita, che mi ha visto crescere ed andare via. Un cartello dice che è vietato entrare nella borgata: è pericoloso e c’è ancora rischio di crolli, ma nessuno mi trattiene. Angela viene con me; la sua casa è vicino alla mia e lei vuole prendere qualcosa dei suoi ricordi … il futuro è incerto … mi dice che vorrebbe morire.
Il mio fratello più piccolo divide il suo poco mangiare con il gatto; qualcuno lo prende in giro dicendo che lo sta ingrassando come si fa con i maiali, ma non era vero: noi amiamo i gatti.
Ancora un giorno ed arriva un camion di soccorsi da Terni; distribuiscono viveri, sapone, detersivo … qualcuno prova a fare incetta, ma i soccorritori non permettono abusi e sono molto severi ed efficaci.
Due giorni dopo ritorno a Roma; in caserma mi dicono che la Marina ci sta congedando; ci stanno mandando via … qualcuno già ha ricevuto il messaggio di congedo: è questione di giorni, poi verrà il turno mio.
Allora prendo la decisione: farò il vagabondo e me ne andrò in giro per le strade d’Italia, forse me ne andrò all’estero come i vecchi anarchici scacciati da ogni paese; in verità me ne vorrei andare nella legione straniera, ma non sono poi tanto sicuro che la legione straniera esista davvero o è solo una finzione cinematografica o letteraria.
Di una cosa, però, sono certo: non tornerò più al mio paese; la mia esperienza in quei posti è finita, finita per sempre … ormai lì sono solo uno straniero.
Poi il mio amico Poldo mi scrive una lettera e mi comunica che ha parlato con il suo datore di lavoro: nella fabbrica dove lavora lui ci sarebbe un posto per me … forse farò il ceramista in Germania, ancora una volta fuggirò, scacciato come un cane in chiesa.
Ma "Ducunt fata volentem, nolentem trahunt".

Lo scrisse Rasce




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