Teofrasto

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TEOFRASTO (370 a.C. – 285 a.C.)

La vita

Teofrasto nacque ad Ereso, nell’isola di Lesbo verso il 370 a.C. e fu allievo di Aristotele. Il suo vero nome era Tirtamo, ma, per la sua intelligenza e per la piacevolezza del suo stile, Aristotele lo aveva soprannominato Teofrasto (colui che parla divinamente). Per alcuni decenni fu l’allievo prediletto del maestro e lo seguì nelle sue peripezie: nel 347 a.C., infatti, il filosofo dovette abbandonare Atene per le sue simpatie filo-macedoni e fu ad Asso, ospite del tiranno, anch’esso filo-macedone, Ermia; si trasferì poi a Mitilene, nell’isola di Lesbo (344 a.C.); nel 343 a.C. lo troviamo in Macedonia, dove Aristotele lavorò presso la corte di Filippo come precettore del figlio e nel 335 a.C., infine, maturarono i tempi per un ritorno ad Atene. Alessandro, succeduto al padre Filippo, aveva infatti imposto definitivamente la sua egemonia sulla Grecia: ora per Aristotele e discepoli non c’erano più problemi di sorta. Avendo dovuto rinunciare alla guida dell’Accademia di Platone, il maestro fondò una nuova scuola, il Peripato, dove seguì un periodo di studi e di ricerche scientifiche, finanziate dal re macedone che contribuiva inviando anche relazioni sulla fauna, flora e antropologia delle terre conquistate. Teofrasto, in particolare, si interessava di botanica e promosse un’opera di classificazione e di eziologia delle piante di cui c’è giunta la traduzione latina (La “Historia plantarum” ed il “De causis plantarum”).
Alla morte di Aristotele, Teofrasto assunse la guida della scuola, riuscendo a farla funzionare in modo efficiente grazie agli appoggi politici che era riuscito a procurarsi. Uno dei suoi studenti, infatti, il filosofo e uomo politico Demetrio Falero, assunse il governo di Atene sotto il mandato di Cassandro, uno dei successori di Alessandro. Grazie a lui, Teofrasto, benché straniero ottenne di poter comprare il giardino e le case che da allora divennero la sede fissa della scuola.

Anche Teofrasto, però, dovette allontanarsi da Atene per due volte, messo in serio pericolo dai politici di parte avversa. La prima volta nel 317 a.C. per iniziativa del sicofante (cioè delatore di professione) Agnonide che lo accusò di empietà e la seconda nel 307 a.C. a causa del decreto di Sofocle che, pena la morte, vietava di aprire una scuola filosofica senza l’approvazione della boulè. In quest’ultima occasione lo scrittore rimase in esilio per un anno intero, fino a quando il decreto non fu dichiarato illegale. In entrambi i casi i suoi avversari furono multati. Questo significa che fu assolto quasi all’unanimità, poiché la normativa vigente dell’epoca prevedeva che chi accusava un cittadino in tribunale, doveva poi provare l’accusa. Se l’imputato era assolto con più dei quattro quinti dei voti, l’accusatore subiva la pena della multa o la perdita, parziale o totale, dei diritti civili (aitimia). C’è anche da dire che ormai la scuola peripatetica era così ben radicata nella cultura ateniese, al punto che Diogene Laerzio scrive che le lezioni di Teofrasto erano seguite da oltre duemila allievi e tra questi, oltre il già citato Demetrio Falereo, troviamo anche il giovane Menandro, che diventerà il massimo esponente della Commedia Nuova.
Forse si tratta di un’esagerazione, ma sicuramente erano tantissimi quelli che frequentavano la scuola. Teofrasto attirava le persone anche grazie alla piacevolezza del suo parlare ed a una certa vena gioiosa che serviva a rendere le sue lezioni piuttosto divertenti e mai noiose. A tal proposito, Ateneo riferisce che in un’occasione Teofrasto, davanti ai suoi discepoli, mimò con molta energia i gesti tipici del buongustaio … immaginate le risate.

Il successo, naturalmente gli procurò invidie e gelosie, tanto è vero che Zenone di Cizio, il fondatore della scuola stoica, commentò con molta acidità: “Il suo coro è più numeroso, ma il mio è più intonato”. In quel tempo, infatti, c’era molta rivalità tra le varie scuole perché per i membri l’appartenere all’una piuttosto che all’altra, oltre che per le idee, significava anche distinguersi per stile di vita. Ogni filosofo aveva un modo diverso di fare scuola, di vestirsi, comportarsi ed alcuni loro comportamenti ricordano alcuni caratteri dell’opera di Teofrasto. E probabilmente non siamo lontani dalla verità se diciamo che con la sua operetta, Teofrasto abbia voluto prendersi gioco proprio dello stile di vita e del comportamento di alcuni suoi colleghi e concorrenti.

LE OPERE

L’attività di Teofrasto fu vasta e varia e comprendeva studi di storia naturale, di politica, di etica, di psicologia, di teoria letteraria, di polemiche contro le scuole avversarie e via di seguito. La maggior parte delle sue opere erano pubblicazioni di carattere scientifico riguardanti soprattutto la botanica, la zoologia e la mineralogia. Quasi tutta la pubblicazione di Teofrasto, però, è andata perduta. Ci rimangono due studi di botanica: la “Historia plantarum” ed il “De causis plantarum”, ed un migliaio di frammenti di argomento doxografico e mineralogico.

I Caratteri

L’opera per la quale è conosciuto Teofrasto, però, è di argomento diverso, oltre che di difficile classificazione: “I Caratteri”. Essa consiste in una classificazione di tipi umani, ognuno segnato da un particolare difetto, non grave al punto da provocarne la messa al bando dal consorzio civile, ma bastante a rendere grottesca l’immagine. Non si tratta di una catalogazione rigorosa e razionale, anzi il tono scherzoso, quasi comico richiama più il teatro che la scienza, più il divertimento che il sapere. L’operetta forse era destinata agli allievi del corso di retorica, forse era solo una raccolta di appunti per un futuro studio di un’opera di etica o forse solo una serie di risposte argute a “quesiti conviviali” o a rappresentazioni stile moderno cabaret.

I Caratteri”, così come ci sono pervenuti, presentano guasti e manomissioni rispetto all’opera originaria. I guasti derivano dal fatto che il successore di Teofrasto, Neleo, prima di morire fece portare tutta la biblioteca del scuola Peripatetica nel suo luogo d’origine, a Scipsi nella Misia (in Asia Minore). Tale patrimonio culturale faceva gola ai sovrani ellenistici e la cosa non sfuggiva ai discendenti di Neleo che, forse per sottrarli alla loro cupidigia, forse per spuntare in futuro un prezzo migliore, sotterrarono i rotoli di papiro in un nascondiglio sotterraneo, dove rimasero dimenticati per più di un secolo. Quando furono riesumati, nel 2° secolo a.C., i vermi e l’umidità ne avevano fatto un grande scempio. Il grammatico Apellicone, che li aveva comprati, cercò di rimetterli in sesto, ma senza grandi risultati. I Caratteri, in età bizantina, furono oggetto di manomissione di uno sconosciuto moralista che tentò, senza riuscirci, di utilizzarli a fine etico, aggiungendo alcune frasi. Questo fatto ha comportato lavoro e ulteriori discussioni per i filologi moderni.

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