Accio

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LUCIO ACCIO (170 - 84 ca. a. C.).

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La vita

Lucio Accio, di umile origini, nacque a Pesaro nel 170 a.C. da genitori liberti, che forse facevano parte dei colonizzatori che nel 184 a.C., al seguito di Quinto Fulvio Nobiliore, avevano fondato la città.
In seguito Accio si trasferì a Roma dove per lo più visse e dove, nel 140 a.C., fece rappresentare la sua prima tragedia. Nella città capitolina, Accio non entrò a far parte del circolo culturale degli Scipioni, di cui, invece, faceva parte Pacuvio, il tragediografo che in quegli anni andava per le maggiori. Motivo di questa esclusione è senza dubbio la sua origine servile. Considerando, però, che di quel circolo facevano o avevano fatto parte personaggi come Livio Andronico, Terenzio (schiavi), Ennio e [Pacuvio] (cittadini osci); non è da trascurare l’ipotesi che a questa esclusione, in buona parte, contribuì il suo carattere fiero e ambizioso, ma anche tracotante e borioso: tutto contrastava con l’ambiente aristocratico e raffinato che era il circolo degli Scipioni. Non solo non ne fece parte, ma Accio fu in aperta ostilità con quel cenacolo, al punto da suscitare le ire di Lucilio, che nelle sue satire lo fece bersaglio di violente frecciate.
Molto probabilmente la verità sta nel fatto che Accio simpatizzava di più con gli esponenti della tradizione romana, con i conservatori. A Decimo Giunio Bruto, che vinse i Lusitani nel 138, egli dedicò il “Brutus” che rappresentava la cacciata di Tarquinio il superbo ad opera del suo famoso antenato.
Tra gli appartenenti del circolo degli Scipioni, probabilmente, Accio provava stima e simpatia solo per Pacuvio, del quale può essere considerato il successore. Di questo affetto, peraltro, troviamo testimonianza nelle “Notti Attiche” di Aulo Gellio. Da questi, infatti, sappiamo che Lucio Accio, dovendosi recare in Asia, passò per Taranto ed andò a far visita proprio a Pacuvio, ormai in età molto avanzata ed afflitto da una malattia cronica. L’anziano poeta, con molta cortesia, lo invitò a trattenersi alcuni giorni presso di lui e, durante la permanenza, Accio, dietro sua richiesta, gli lesse la tragedia Atreo. Pacuvio apprezzò l’opera del suo ospite anche se la giudicò un po’ acerba.
Lucio Accio ebbe una vita lunga tanto che poterono conoscerlo, ben addentro al primo secolo, Cicerone e Varrone.
Incerto è il luogo della sua morte che avvenne intorno all’anno 84 a.C..

Le opere

Per le sue numerosissime tragedie (fabulae cothurnate), scritte in 40 anni e di cui si conoscono 45 titoli (tra cui Achilles e Medea) e oltre 600 versi, Accio attinse, spesso, al ciclo epico troiano, a quello dei Pelopidi e ad altri non meno foschi e truci imitando soprattutto Euripide.
Due sole sono praetextae, ossia ispirate alla storia romana: il "Decius seu Aeneadae", sul sacrificio in battaglia dei tre Deci e in particolare di Publio a Sentino (295 a. C.) e il "Brutus" sulla caduta dei Tarquini per opera di Bruto. Anche di queste due opere ci è giunto poco, solo una quarantina di versi.
Sull'esempio di Ennio, Lucio Accio si dedicò anche ad altre produzioni: condusse studi eruditi, di ortografia e di retorica (Didascalica) e compose un poema epico-storico (Annales), poesie satiriche ed erotiche e sulle feste dell’anno.

Giudizio

Il teatro di Accio, che ebbe grande e duraturo successo, aveva effetti di violenta emozione, con personaggi grandiosi ed un uso ricercato della retorica.
Accio contese a Pacuvio la palma di miglior tragediografo latino; da alcuni studiosi è considerato addirittura il più grande.

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