Sapori antichi e nuovi

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Olevano sul Tusciano – Sapori antichi e nuovi
Cosa offre di buono, di particolare e di tipico Olevano sul Tusciano? Ci rendiamo conto che il visitatore che capita a Olevano, come quello che si reca in ogni altra località, sicuramente avrebbe piacere di gustare prodotti locali, genuini, sani... Cosa si può trovare dunque nella terra degli ulivi?
L’olio, ovviamente!

Table of contents

L’OLIO

A Olevano sul Tusciano è possibile, anzi è facile trovare olio di oliva di eccellente qualità da poter acquistare, nella quantità desiderata, ad un prezzo equo, anzi, si può dire, a volte addirittura basso … senza voler esagerare, però! Ricordiamo che nessuno da niente per niente e, in ogni caso, che “ccà nisciuno è fesso”, come si dice in gergo. Per comprare l’olio, oltre che ricorrere ad uno dei frantoi olevanesi, ci si può rivolgere direttamente ai contadini, proprietari di piccoli poderi, che vendono con piacere il prodotto della loro terra che eccede il proprio fabbisogno. Entrate in un bar, in una pizzeria o anche dal barbiere e chiedete … se anche nessuno dei presenti ha olio da vendere, sicuramente avrà un parente, un amico o un conoscente interessato alla trattativa. Si può stare tranquilli sulla bontà e genuinità del prodotto … è praticamente impossibile che un contadino olevanese adulteri il proprio olio: esso è sacro! Ovviamente se l’olio “vero” non lo conoscete per niente, se siete abituato all’olio dei supermercati (magari importato dall’estero e poi raffinato in Italia), se siete abituati alla qualità scadente, si diceva, di fronte a tanta bontà correte il rischio di rimanere “sconcertati” per il nuovo sapore. A tal proposito a Olevano si raccontano vari aneddoti … ogni volta che l’acquirente era convinto di essere stato frodato, alla fine doveva convenire che nella sua vita non aveva mai assaggiato il vero olio di oliva.

A Olevano sul Tusciano c’è una sorta di venerazione per l’olio d’oliva al punto che uno degli eventi considerati più forieri di disgrazie è la rottura di una bottiglia piena d’olio. Per un olevanese rompere un fiasco d’olio è la massima delle iatture, più della rottura di uno specchio (sette anni di guai in fondo passano presto), più di rovesciare il sale per terra, più di un gatto nero che ti attraversa la strada, più di passare sotto una scala… E come potrebbe essere diversamente? L’olio è vita per l’olevanese! Negli scorsi anni, in particolare, era essenziale in quanto serviva per illuminare le case (le lucerne a olio), come medicamento (ad esempio sulle ustioni), come medicina, come condimento e come companatico. A tal proposito è bene ricordare che fino a qualche decennio fa, spesse volte il povero contadino, per un pasto completo, si doveva contentare di una fetta di pane con un filo d’olio sopra …

Gia! Si mangiava “pane e olio” …

IL PANE

Il pane! Ecco un altro prodotto molto caro agli olevanesi ed al quale gli stessi dedicano il massimo impegno nel prepararlo e verso il quale esiste un vero e proprio sentimento d’amore. Non è esagerato affermare che l’olevanese “ama il pane”. A tal proposito qualche anziano potrebbe ancora ricordare quell’abitante della borgata Porta (il cui nome, se non ricordiamo male, era Giuseppe Capone, ma, all’epoca dei fatti, chi nasceva nella borgata Porta aveva ottime possibilità di essere un Capone e chiamarsi Giuseppe) il quale, dopo aver cenato o pranzato, si sedeva davanti alla porta di casa e si mangiava un bel pezzo di pane, senza alcun companatico o condimento: solo pane (“pane assoluto”, si diceva). A chi gli chiedeva lumi, rispondeva senza esitare: “Se non mi mangio un pezzo di pane, non mi sazio!” … E sempre della stessa borgata era un altro personaggio cui è legato un aneddoto che ora fa sorridere, ma che è emblematico di un periodo di vita povera, di tempi duri e momenti di fame … dunque … i meno giovani ricordano questo signore, allora bambino: mangiava solo pane e come companatico annusava soltanto un piccolo pezzo di formaggio. Nella borgata Valle, invece, abitava quel contadino che per pranzo si portava un grosso pezzo di pane e come companatico un solo seme di peperoncino sott’olio. Davvero tempi duri e questi fatti la dicono lunga sull’importanza del pane!


Il pane! Un tempo i genitori raccomandavano ai propri figli di non lasciare il coltello infilato nel pane per “non farlo soffrire” (e per non far soffrire Gesù), di non lasciare il pane “al contrario” perché era peccato … piccole attenzioni che denotavano l’importanza che il pane rivestiva (e riveste) per l’olevanese. Il fatto è che spesse volte, come si è detto, il pane con l’olio costituiva un pasto completo del contadino. Per questo il pane doveva essere obbligatoriamente buono, appetitoso. Con esso, poi, si confezionavano pietanze semplici, ma gustose, pietanze che oggi solo gi più anziani conoscono (e delle quali, in fondo, potete scommetterci, hanno nostalgia).

L’acqua sala

Con il pane, ad esempio, si faceva “l’acqua sala”. Come era fatta? Si prendeva un biscotto di pane (nù vascuòtt ‘r pàn), lo si faceva a pezzetti non molto piccoli, si spruzzavano sopra poche gocce d’acqua per renderlo un po’ più morbido, vi si metteva un filo d’olio, un pizzico di sale, magari uno spicchio d’aglio tagliato in pezzettini molto piccoli, d’estate si poteva anche aggiungere un po’ di pomodoro fresco … ecco l’”acqua sala”. Invece del pane biscottato (a Olevano si chiama “pàn tuòst”, altrove frìsole o fresèlle, ma a Olevano è ”pàn tuòst”) va bene anche una fetta di pane raffermo.

normal_PANE%7E0.JPG vascuòtt r' pàn tuòst fatto a Olevano - foto dell'Anonimo Olevanese

L’acqua sala era un piatto veloce che il contadino consumava quando aveva molta fretta e non c’era tempo per preparare qualcosa di elaborato o perché mancava di companatico (pane e olio, invece, in casa non mancava mai). Il pane (che era sacro) non si buttava mai … magari era usato per il pancotto.

Il pancotto

Altro piatto, povero, ma gustoso, e, perché no? anche nutriente, era il “pancotto” (ru ppàn cùott”). Pure il pancotto era uno dei pasti del povero contadino che, spesse volte, lo consumava al mattino presto, prima di recarsi al lavoro. Perché era consumato di mattina? Semplice! Il pancotto era preparato con gli avanzi della cena, soprattutto verdura e legumi (ma anche con la pasta, se ne era avanzata, compreso il sugo) cui si aggiungevano pezzi di pane (raffermo o biscottato): poi si faceva riscaldare il tutto in poca acqua. Se era il caso, si aggiungeva ovviamente l’olio d’oliva (poteva mai mancare l’olio?) ed un pizzico di sale … Ecco pronto il pancotto, anche in un’ottica di sana economia contadina dove non si sprecava niente.

In un’epoca di minestrine, di pastine, di pappine, di merendine e di brioscine, sicuramente ci si chiederà come si poteva mangiare il pancotto all’alba, appena svegli. Oggi può sembrare strano e forse nessuno riuscirebbe più ad imitare il rude contadino di qualche decennio addietro … allora, però, l’agricoltore era atteso da una giornata di duro lavoro in cui avrebbe zappato, potato, arato, concimato, tagliato la legna, sotto il sole o con il freddo …. E prima aveva dato da mangiare ai suoi animali, pulito la stalla e fatto qualche lavoretto nel suo orticello. Il pancotto, sicuramente, era un toccasana.

Allora il pane era fatto “in casa”: quasi tutte le famiglie avevano, infatti, il loro forno e le massaie un paio di volte al mese “facevano il pane” (con il relativo “pàn tuòst”, qualche pizza e, già che ci si trovava si infornava qualche nocciola o, se era tempo, anche i fichi secchi)… Oggi, che i tempi sono purtroppo cambiati, in ogni modo, chi volesse gustare l’ottimo pane olevanese, prodotto artigianalmente e con l’amore di un tempo, non ha problemi: a Olevano sul Tusciano ci sono due panifici che sfornano entrambi pane di eccellente qualità e bontà. Entrate pure in un qualsiasi negozio di generi alimentari e chiedete il pane di Olevano, sia fresco sia quello biscottato (vi ricordo “’ru ppàn tuòst”): compratelo di entrambi i panifici per assistere ad un derby culinario (che finirà in pareggio). Non rimarrete delusi e, tornati a casa, vi potete preparare un’ottima “acqua sala” come gli olevanesi di qualche decennio fa. In ogni modo, siatene certi, il pane olevanese vi renderà più gradevole qualsiasi companatico (e non viceversa).

Per evitare confusione sui piatti, è bene precisare che il pancotto non va confuso con l’altrettanto gustosa “ciambotta”, anche, data l’assonanza, se il nome potrebbe dare adito a malintesi

LA CIAMBOTTA

La ciambotta (altrove detta peperonata, ma conosciuta anche con il nome di cianfotta) non ha niente a che vedere con il pane. Suoi ingredienti sono, infatti, le patate, le melanzane, i peperoni ed i pomodori. Da piatto povero, negli ultimi anni la ciambotta è stata nobilitata ed ha raggiunto gli onori della ribalta … a Olevano negli ultimi tempi, d’estate, si svolge la “Sagra della ciambotta”. Durante questa sagra vi potete togliere qualche sfizio ed assaggiare qualche specialità olevanese. Durante la sagra, infatti, ad un prezzo davvero eccezionale, vi è offerto un abbondante assaggio di ciambotta, una fetta di pane olevanese ed un bicchiere di vino locale. E già! L’olevanese mangiava la sua “acqua sala”, il suo pancotto o la ciambotta innaffiandolo con ottimo vino, soprattutto rosso.

Il VINO

Purtroppo per il visitatore, l’olevanese produce il vino in quantità appena sufficiente per sé e per la sua famiglia e la produzione di uva non è paragonabile, per quanto concerne la quantità, a quella delle ulive. Il vino olevanese in ogni caso è ottimo, corposo e da tutto pasto. Tra i più rinomati ci sono quelli di Maiano, della Chiusa e delle Gairelle, ma anche i vigneti di altre zone producono eccellente uva da vino. Quello che difetta è, come si diceva, la quantità ed anche il fatto che, non essendovi una cantina sociale, il vino locale si può trovare solo dai privati. Con un po’ di fortuna e qualche amicizia, un paio di litri potreste anche spuntarli.

Certo non a tutti è concessa la sorte dell’olevanese doc: a fronte di un duro lavoro, una cantina piena di bontà!

L’olevanese è, per antica tradizione, persona molto previdente ed ha innato il concetto di “scorta” … deve farsi “la provvista”.

LA PROVVISTA

Esiste un detto contadino di Olevano, conosciuto sicuramente dai meno giovani, che recita “Marònna mia, fa sta bbuòno a mmè, a mmùglièr’ma e ‘ò puòrco” (Madonna mia fai stare bene me, mia moglie e il maiale). Il maiale era molto importante per l’olevanese. Fino a poco tempo fa, ogni famiglia “si cresceva” il proprio e poi, durante il periodo delle feste natalizie, lo si ammazzava: quel giorno era, per la famiglia intera, una piccola festa. Dal maiale si ricavava gran parte della famosa “provvista” e non per niente esiste il detto che “del porco non si butta niente”.

La provvista, nella definizione più appropriata, era costituita da alcuni “quarantini” di olio di oliva, qualche damigiana di vino, un discreto numero di “bottiglie di pomodoro”, farina, legumi secchi, prosciutto, salsiccia, capocollo, soppressata (che si iniziava rigorosamente a Pasqua, cominciando da quella che il prete “aveva benedetto” qualche giorno prima) ed un pezzo di lardo; … e poi noci, nocciole, eventualmente mele, fichi secchi. Con questa provvista la famiglia olevanese era pronta per affrontare serenamente l’immediato futuro. Non mancava, tuttavia, una “pezza” di formaggio.

Anche il formaggio è un prodotto della tradizione olevanese, gustoso e genuino che si raccomanda vivamente di gustare.

IL FORMAGGIO

Probabilmente è difficile comprare insaccati di maiale dai contadini perché chi “si cresce” il maiale lo fa per sé e non certo per venderlo. In ogni modo nelle macellerie, e nei negozi dotati di reparto macelleria, si può trovare salsiccia, pancetta e cotechini confezionati ancora con l’antica perizia olevanese. Sicuramente, d’altra parte, è più facile trovare ottimo formaggio pecorino ed una eccellente ricotta (sempre di pecora, naturalmente, ed a “prova di allergia”). È bene ricordare, infatti, che fino a qualche lustro fa la pastorizia era un’attività molto fiorente in Olevano sul Tusciano e, di conseguenza, i prodotti caseari, genuini come non mai, erano facilmente reperibili. C’erano tanti pastori ... Tra questi, gli olevanesi di una certa età ricorderanno ancora quel “mitico” pastore che aveva circa mille pecore ed un cruccio: non riuscire mai a superare quel numero fatidico. Probabilmente è una leggenda e sicuramente il pastore riuscì a superare anche “quota mille”. Ora egli ha lasciato la terra, ma il suo patrimonio di esperienza non è andato perso ed altri hanno preso il suo posto assicurando la produzione di un formaggio pecorino che niente ha da invidiare a quelli più conosciuti di altre regioni d’Italia. Anche questo prodotto, che si suggerisce calorosamente di assaporare, è abbastanza facile da reperire …. Volendo, potrete trovarlo anche al mercato di Battipaglia dove c’è un venditore di ricotta e formaggio olevanesi. Egli porta i suoi prodotti ogni mattina …. se riuscite ad individuarlo (meglio se chiedete a qualcuno che lo conosce) oltre al formaggio ed alla ricotta appena fatta, provate a domandargli anche un po’ di “ricotta secca” ….


È un prodotto da raffinato intenditore (e neppure tanto facile da avere). Oltre a mangiarla anche solo con il pane, è squisitissima sulla pasta … quella fatta in casa, però.

LA PASTA

L’olevanese, ovviamente, appena poteva, si godeva i frutti del proprio lavoro: la domenica ed i giorni di festa, la sua tavola era imbandita con ogni ben di Dio. La pasta, che non mancava mai nella sua dieta, era fatta in casa la mattina stessa dalla moglie o dalle figlie.

I cavati

C’erano i “cavati”, piccoli gnocchi incavati con le dita, molto somiglianti agli attuali gnocchetti sardi o orecchiette pugliese. La massaia impastava la farina, faceva poi cilindri di pasta che tagliava in tocchetti … compito dei bambini più piccoli era di incavarli con le loro piccole dita (da questo il nome olevanese di “cavati”).

I fusilli

C’erano, poi, i “fusilli” che attualmente varie industrie producono su scala industriale. I fusilli olevanesi, però, non avevano la forma dei fusilli che attualmente si trovano nei supermercati di tutta l’Italia… erano, invece, piccoli cilindri di pasta bucati con un cilindro di ferro di qualche millimetro di diametro, detto appunto “fusillo”, a volte costituito da un ferro di ombrello. A volte, erano incavati con quattro dita. In questo caso il compito spettava ai bambini che provvedevano anche a sistemarli sul tavolo in attesa che l’acqua nella pentola bollisse. Il fusillo ha avuto fortuna, cosicché oggi chi volesse mangiare un buon piatto di “fusilli” non ha che da recarsi ad Olevano sul Tusciano, a Salitto, dove annualmente, in estate, si tiene una “Sagra del fusillo” che riecheggia il tempo passato.

Le lagane

Quelle che, invece, inspiegabilmente sembrano siano state dimenticate sono le “lagane”. Queste erano una specie di tagliatelle (ovviamente essendo fatte a mano si notava subito la forma diseguale) che il più delle volte erano cucinate con i legumi, soprattutto con i fagioli. Le “lagane e fagioli” rappresentano davvero un tuffo nel passato, sia prossimo sia remoto. A nostro giudizio, sono proprio le lagane che meglio rappresentano la tradizione olevanese in fatto di pasta … esse, ci piace rammentarlo, appartengono alla grande cucina dei nostri antichi progenitori, i mitici etruschi. Si! Le lagane, che i meno giovani hanno di certo mangiato tante volte, preparate dalle mamme o dalle mogli, erano presenti già sulle tavole degli antichi lucumoni, arricchivano le mense della gente etrusca che, è noto a tutti, era amante anche e soprattutto della buona cucina. E si trovavano anche sulla tavola degli antichi greci (anch’essi abitanti del nostro paese) … il termine olevanese “lagana”, infatti, deriva direttamente dal greco “laganon”. Ed è su questa pasta che va grattugiata la “ricotta secca” … come si sul dire è “la morte sua”.

Le lagane meriterebbero di essere rivalutate, ma non come piatto da essere prodotto su scala industriale (i nostri padri griderebbero vendetta), bensì come prodotto tipico locale o, perché no? come pietanza da inserire nei menù per ghiottoni da parte degli operatori del settore della ristorazione.

In ogni modo l’olevanese è amante della pasta che rende oltremodo gustosa grazie agli ingredienti genuini con i quali prepara sughi e condimenti vari.

Ovviamente, memori della tradizione culinaria tirrenica, sulle tavole degli olevanesi non mancano i dolci.

I DOLCI

Essendo un centro piccolo e troppo vicino alle grandi città, Olevano sul Tusciano non ha un dolce tradizionale locale; se pure ci fosse, non è mai uscito dalla realtà locale. Cosa potremmo in ogni modo far assurgere a gloria olevanese? Le pasticelle … e come sbagliare?

Le pasticelle

La “pasticella” è una specie di grosso raviolo il cui ripieno è costituito da una crema dove l’ingrediente principale è la farina di castagna. Ecco, se vogliamo consigliare un dolce a chi passa per Olevano, diciamo senza ombra di dubbio: la pasticella. Essa, precisiamo, è uno dei dolci della tradizione natalizia olevanese e, pertanto, è preparata solo nel periodo natalizio, quindi dicembre-gennaio. Ancora oggi nelle case degli olevanesi si preparano le pasticelle e, è giusto ricordarlo, ogni “cuoca” ha il suo piccolo segreto, il suo tocco di classe.

Non vogliamo, ovviamente, mandarvi ad elemosinare le pasticelle “casa per casa” … andate in pasticceria. A Olevano sul Tusciano, nella frazione di Monticelli, c’è un’ottima pasticceria che prepara dolci artigianalmente e con ingredienti genuini .. fidatevi.

Ricordate, però, …. le pasticelle le trovate solo nel periodo di Natale.

Le zeppole

Per le feste natalizie si preparavano anche le “zeppole”. Di queste possiamo ricordarne vari come, ad esempio, quelle americane o con le patate. Ci piace ricordare, però, un ipo che probabilmente conoscerà o ricorderà solo qualche anziano: le “zeppole cresciute”. Esse non erano affatto dolci … erano confezionate con pasta lievitata, la stessa che serviva per fare il pane … quindi “pasta cresciuta” cui si aggiungeva pepe in polvere e cannella … poi erano fritte. Possiamo definirle un dolce povero e … poco dolce.

Gli struffoli

Piccole palline di pasta dolce ricoperte di miele.

Il sanguinaccio

Durante le feste natalizie, si prepara anche il “sanguinaccio. Questo, però, non è abbinato al Santo Natale ed infatti si prepara anche dopo le feste …. dipende da quando si decide di ammazzare il maiale.

Il sanguinaccio era preparato con il sangue del maiale appena ucciso, cui si aggiungevano vari ingredienti come il cacao, liquore e aromi vari. Anche per il sanguinaccio ogni massaia aveva il proprio personale tocco di classe. In ogni modo c’erano due correnti quasi opposte: l’una voleva il sanguinaccio molto dolce, una vera crema che poco si distingueva dalla crema di cioccolata; l’altra che prevedeva un sanguinaccio meno dolce, rustico, potremmo dire.

Dolci pasquali

A Pasqua, invece, si prepara il panettone, la torta di pan di spagna con la crema e la glassa (detta “naspro”) ed infine la famosa pastiera, tuttora in voga.

Molti ricorderanno con nostalgia il “panariello”, Questo era il dolce che le mamme preparavano per i bambini …. Era fatto con pasta dolce sopra cui si metteva un uovo tenuto fermo con strisce di pasta e poi … infornato. Anche questo dolce si mangiava il giorno di Pasqua.

Ovviamente il tutto era confezionato in casa con ingredienti genuini, dalle uova al latte. Per concludere con i dolci, possiamo ricordare i famosi “taralli”, ricoperti anch’essi con il “naspro” ed i morzelletti, specie di cantuccini o tozzetti nostrani.

Varie

Sulle tavole degli olevanese, non mancava mai la frutta secca, come noci e nocciole e fichi secchi. Negli ultimi tempi, grazie all’incremento dell’apicultura, a Olevano è possibile trovare e comprare ottimo miele locale.


normal_Frutta%20e%20verdura1.JPG Frutta e verdura olevanese (foto dell'Anonimo Olevanese)

L’OLIO

IL PANE . L’acqua sala . il pancotto

LA CIAMBOTTA

IL VINO

LA PROVVISTA

IL FORMAGGIO

LA PASTA . i fusilli . i cavati . le lagane

I DOLCI . le pasticelle . le zeppole . il sanguinaccio . dolci pasquali

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