Pacuvio
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Revisione 13:44, 15 Mag 2006
MARCO PACUVIO (220 a. C. - ca. 130 a. C.)
Vita
Marco Pacuvio, di origine osca, nacque a Brindisi nel 220 a.C.. Sua madre era sorella del grande Ennio che quindi era suo zio. Verso il 200 venne a Roma dove iniziò la sua attività di poeta e di pittore. Qui fu in rapporto di amicizia con Scipione Emiliano, Emilio Paolo e Lelio e quindi venne a far parte del circolo letterario degli Scipioni. Verso il 140 si ritirò, per vecchiaia e per cattiva salute, a Taranto, dove, secondo la tradizione, lo visitò il nuovo astro della scena romana, Accio, di passaggio verso l’Asia. Nella città ionica morì verso il 130 a.C..
Opere
Pacuvio fu pittore e musico, scrisse satire, ma fu soprattutto un tragediografo, autore di fabulae cothurnate, sia pure in numero relativamente non elevato. I titoli sicuri delle sue opere sono 13, di cui oltre metà relativi alla guerra di Troia (Armorum iudicium, Teucer, Chryses, Hermiona, Dulorestes, Orestes, Niptra, Iliona), due al mito tebano (Antiopa, Pentheus), e poi Atalanta, Medus, Periboea. Scrisse anche una fabula pretesta, intitolata Paulus, con la quale celebrò le gesta del suo amico Emilio Paolo, il vincitore della decisiva battaglia di Pidna del 168 a.C. e conquistatore della Macedonia. Delle sue opere ci restano circa 400 versi, per la maggior parte conservatisi nelle opere di Cicerone che di Pacuvio era un grande ammiratore.
Giudizio
Pacuvio non seguì, come Ennio, un modello prevalente. Per quanto si può giudicare dal poco che è pervenuto, la sua ispirazione fu varia e l'elaborazione del mito originale. In genere Pacuvio dovette essere molto accurato nella sua produzione; le trame sono spesso complicate e abbondano le scene patetiche.
Secondo il giudizio degli antichi, le migliori tragedie di Pacuvio furono l’Iliona, la figlia di Priamo re di Troia che, nel tentativo di salvare Polidoro, anch’egli figlio di Priamo e quindi suo fratello, è causa della morte del proprio figlio; il Teucer, cioè la storia di Teucro che, ritornato dalla guerra di Troia senza il fratello Aiace, è accolta dalla maledizione del padre; la Niptra, che narra la tragica fine di Ulisse per opera dell’inconsapevole figlio Telegono.
Pacuvio doveva piacere anche per le sentenze, con le quali condiva le sue tragedie, delle quali ci è rimasta ancora qualcuna, come questa riportata nelle “Notti Attiche” di Aulo Gellio: Odio gli uomini che sono filosofi a parole e codardi nei fatti. Pacuvio fu indicato dalla tradizione posteriore come maestro dallo stile elevato e poeta dotto; Varrone lo giudicò il miglior tragediografo di Roma; Cicerone, forse anche a causa della generale povertà della tragedia latina, nel “De oratore” lo lodò moltissimo per l’accuratezza dello stile … ed il giudizio dell’Arpinate è sempre importante. In ogni modo alcune sue tragedie godettero di grande fama.