Il carattere sociale

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Revisione 09:33, 29 Mag 2006

Il carattere sociale

Nella sua millenaria storia, Olevano sul Tusciano non è mai venuto alla ribalta per vicende clamorose (storiche o mitologiche, non importa), per azioni leggendarie o che hanno influito sui destini dell’uomo (anche se solo entro certi limiti) o per situazioni che hanno attirato l’attenzione del resto del mondo (o almeno di una parte).

A Olevano ci sono ancora alcune casate che sono olevanesi da tempi immemori: Capone (cui appartenne l’avvocato Tullio Capone, podestà dal 1936-1940); Carucci (con gli studiosi Giacinto, Carlo e Arturo); Cicatelli (cui appartiene Crescenzo, l’autore del libro “Olevano sul Tusciano”), Denza (che governarono Olevano nel Seicento); Ferrara (di antica nobiltà, a Olevano fin dal XII secolo); Forte (cui appartenne Michele Forte, primo sindaco insediato nel comune di Olevano dai Francesi di Napoleone nel 1806); Tasso (che alcuni biografi ritengono imparentati con l’autore della “Gerusalemme Liberata”) e tante altre ancora. Tra i rampolli di queste famiglie ci furono sicuramente elementi di indiscusso valore nei più svariati settori e meritevoli di grandi fortune, ma, come già detto, che restano, in ogni modo, confinati nella realtà olevanese, quasi a voler confermare il carattere individualistico e privo di volontà di potenza dell’olevanese.

Si, l’olevanese è individualista! Questo, forse, è il suo limite e la sua grandezza. Olevano, ad esempio, è una fucina di campioni di sport individuali come lo Judo (con la ottima palestra A.S. Victoria), ma non lo è nello sport collettivo per eccellenza, cioè il calcio. Per ironia della sorte, purtroppo, Olevano sul Tusciano, è stato o troppo vicino o troppo lontano dai luoghi dove si è scritto la Storia, dai centri di potere. Quando la penisola italica era ancora sotto il dominio del glorioso popolo etrusco, Olevano era troppo lontano dalle grandi metropoli tirrene per poter dire la sua; quando iniziò l’ascesa romana, era troppo lontano per poter contribuire a contrastarne l’avanzata; poi fu troppo vicino a Salerno per poter ambire a glorie autonome. Questa emarginazione, probabilmente, ha contribuito a forgiare il carattere sociale dell’Olevanese di oggi: chiuso nel suo mondo, i suoi sforzi li profonde per il miglioramento della sua vita e di quelli che lo circondano. L’Olevanese non è mai stato cosmopolita, ma ha sempre vissuto le vicende storiche e politiche in forma quasi anonima e con molta dignità: ha fornito armi e soldati quando necessario, ha partecipato al Risorgimento, ha dato il suo contributo di sangue nelle guerre mondiali, ha avuto i suoi lutti nello spaventoso sisma del 1980 … eppure nessun libro ne parla. Anche nella vita quotidiana, Olevano sul Tusciano non ha mai interessato i libri di storia, la grande stampa, i telegiornali. A Olevano non si hanno avute rivolte contadine; non ci sono stati blocchi del traffico di nessun tipo, non ci sono stati bimbi ammazzati appena nati … quasi un’esistenza grigia, mai ritenuta degna degli onori della cronaca.

Negli ultimi tempi i giornali e la televisione si sono interessati a Olevano sul Tusciano per il “caso De Rosa”. Anche in questa occasione, però, di Olevano sul Tusciano si parlò poco e per poco tempo; forse solo perché il ministro della Giustizia, Roberto Castelli, aveva reso giustizia all’unico ergastolano che davvero stava scontando la sua pena per intero. Poi il buon Vito De Rosa ritornò nell’ombra, nell’anonimato, per vivere in pace gli ultimi anni che il buon dio ancora gli vorrà dare, nella libertà che il ministro gli ha restituito … e con De Rosa tutta Olevano ritornò nel dimenticatoio. Probabilmente in altre realtà avrebbero tirato il povero Vito “per la giacca” per vivere ancora sotto le luci dei riflettori dei telegiornali, magari per avere sussidi e finanziamenti per costruire case di riposo per ergastolani graziati. In altre realtà, ma non a Olevano che è troppo dignitoso e poco fumoso … forse anche questo è un limite ed un male.

Olevano salì agli onori della cronaca in un’altra occasione: verso la fine degli anni sessanta, quando ci fu un altro omicidio, quasi una riedizione di quello commesso da Vito De Rosa venti anni prima. Anche in quella occasione fu usata un’ascia per completare il delitto. E questo particolare (spinto all’assurdo) ci fa capire ancora di più quanto, usando le parole di D.H. Lawrence, l’olevanese, come gli antenati etruschi, sia:

“Sensibile, diffidente, sempre alla ricerca di simboli e misteri, capace di godere intensamente di piccole cose, violento nelle collere …..".

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