Dovevo morire
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Revisione 19:43, 24 Ago 2008
DOVEVO MORIRE
Rasnal spur 15.10.2001
Questa notte ho sognato che dovevo morire. Non so perché. Non ero vecchio, non ero malato, non ero depresso, non avevo subito condanne capitali, eppure era giunto il momento di lasciare la vita, come si lascia lo stadio dopo che la partita è terminata. A ben pensarci la scena era l’esatto contrario: sembrava di dover entrare in un cinema o in un teatro all’aperto ed io, come davanti ad un botteghino che vende i biglietti, ero in fila con gli altri, non molti per la verità, ed aspettavo il mio turno. Il luogo dove si doveva morire era accanto ad un cimitero, ma fuori del recinto, sotto una specie di ponte di un raccordo stradale. Nessuno parlava con gli altri, quasi a dimostrare, ancora una volta, che quando si muore si muore soli, neppure cercando un minimo di conforto in quel momento fatale. Non c’era un Caronte o una Lasa ad aspettare … quando giungeva il proprio turno, che ognuno intuiva, l’interessato, con estrema indifferenza, quasi l’avvenimento non lo riguardasse, si staccava dagli altri in silenzio, senza un ultimo saluto, e si avviava verso la penombra, come verso la strada che, nella mitologia classica, porta agli inferi. Non si vedeva oltre, ma si capiva che c’era l’ignoto … il nulla. Si sedeva su di una seggiola che stava là … e moriva. Si moriva soli e la morte era la vita che ti lasciava, era la fine di tutto e non c’erano Radamanto o San Pietro, non c’erano Inferni né Paradisi, né condanne o assoluzioni. Non si trattava di esecuzioni e non c’erano strepiti o pianti, non c’erano sofferenze o consolazioni, non c’era dolore …. C’era solo tanta tristezza, una tristezza che nessuno lasciava trasparire, ma che ciascuno aveva nell’animo perché doveva abbandonare le gioie della terra delle quali in fondo ognuno aveva goduto, pur se in minima parte.
Appena uno era morto, un altro si avviava silenzioso, senza che nessuno lo chiamasse, senza fare resistenza, rassegnato. Avevo già visto qualcuno morire e scomparire nel nulla: implacabilmente si stava avvicinando il mio turno. Ormai solo tre o quattro persone mi separavano dalla morte. Io non avrei voluto morire, ma il destino, ineluttabile, mi aspettava ed io non mi opponevo, non avendo, d’altra parte, né la forza né la determinazione per farlo: la mia volontà era nulla. Non volevo morire! … e pensavo con angoscia all’istante in cui la vita avrebbe abbandonato il mio corpo decretando la fine di tutto.
Ormai solo un paio di persone erano davanti a me e poi sarebbe giunto il mio turno … qualcosa, però, si era inceppato in quel meccanismo inflessibile e perfetto, rallentando il cammino verso la morte che, in ogni caso, era implacabile. Già mi ero tolto le scarpe (unico compito ed incombenza per noi morituri) e pensavo a come sarebbe stato il momento del salto nel nulla. Avrei provato dolore? Mi sarebbe scoppiato il cuore? Sarei stato capace di aspettare quell’attimo sapendo che sarebbe stato l’ultimo momento prima del nulla eterno?
Mi venne allora in mente una certezza: qualche istante prima di morire, o forse appena mi fossi seduto sulla seggiola, avrei perso la ragione; si, sarei impazzito perché mi sembrava impossibile che il momento della mia morte mi potesse trovare ancora in senno.
Poi una vaga speranza cominciò a fare capolino, la speranza che non avrebbe voluto arrendersi neppure davanti alla morte: … forse succederà qualcosa ed io non morirò … idea assurda. Non si sfugge alla morte!
Poi, mentre già mi incamminavo per sedermi sulla sedia e morire, mi venne un dubbio … forse non tutto sarebbe finito ed un Dio buono avrebbe accolto presso di sé le anime dei morti. Forse la morte non era la fine di tutto, forse non sarei morto del tutto. Forse quel Dio, ignorato da tutti, che nessuno invocava e in cui nessuno credeva, mi stava concedendo il tempo per ravvedermi, per chiedergli aiuto … e cominciai a pregare.
Mi sono svegliato.
È di Rasce
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