Le origini degli Etruschi

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In questo modo possiamo finalmente vedere il fondo di verità nel racconto di Erodoto che, come avviene nelle tradizioni degli antichi, non contrastano con le possibili ricostruzioni moderne. Nello stesso tempo è possibile anche confermare la teoria di Dionigi sull’autoctonia parlando di una civiltà etrusca sorta e sviluppata in Italia e degli Etruschi come di un popolo italico. In questo modo possiamo finalmente vedere il fondo di verità nel racconto di Erodoto che, come avviene nelle tradizioni degli antichi, non contrastano con le possibili ricostruzioni moderne. Nello stesso tempo è possibile anche confermare la teoria di Dionigi sull’autoctonia parlando di una civiltà etrusca sorta e sviluppata in Italia e degli Etruschi come di un popolo italico.
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Revisione 20:31, 11 Lug 2008

LE ORIGINI DEGLI ETRUSCHI


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LA QUESTIONE

"I Lidi hanno costumi simili a quelli dei Greci, ad eccezione del fatto che le figlie si danno alla prostituzione. Primi fra gli uomini di cui noi abbiamo conoscenza coniarono monete d'oro e d'argento e se ne servirono, e per primi esercitarono il commercio al minuto. I Lidi poi sostengono che anche i giochi ora usati da loro e dai Greci sono di loro invenzione. Affermano che contemporaneamente furono da loro inventati questi giochi e fu colonizzata la Tirrenia, dando questa versione dei fatti: al tempo di Atys figlio del Re Mane ci fu in tutta la Lidia una tremenda carestia, e i Lidi per qualche tempo continuavano a vivere sopportandola, ma poi, poiché non cessava, cercarono rimedi, e chi ne inventava uno chi un altro. Allora furono inventati i giochi dei dadi e degli astragali e della palla e ogni altra specie di giochi, tranne quello degli scacchi; l'invenzione di questo infatti i Lidi non se la attribuiscono. E, inventatili, agivano contro la fame nel modo seguente: un giorno giocavano per tutta la giornata, in modo da non cercare cibo, e l'altro mangiavano cessando i giochi. In tal modo trascorsero 18 anni. Ma, poiché la carestia non dimi­nuiva, anzi infuriava ancor di più, il re, divisi in due gruppi tutti i Lidi, ne sorteggiò uno per rimanere, l'altro per emigrare dal paese e a quello dei gruppi cui toccava di restare lì si mise a capo lui stesso come re, all'altro che se ne andava pose a capo suo figlio, che aveva nome Tirreno. Quelli di loro che ebbero in sorte di partire dal paese scesero a Smirne e costruirono navi e, posti su di esse tutti gli oggetti che erano loro utili, si misero in mare alla ricerca di mezzi di sostentamento e di terra, finché, oltrepassati molti popoli, giunsero al paese degli Umbri, ove costruirono città e abitano tuttora. Ma in luogo di Lidi mutarono il nome prendendolo da quello del figlio del re che li guidava, e si chiamarono Tirreni (Erodoto - Le Storie - I,94).

"... io sono convinto della diversità etnica esistente tra Tirreni e Pelasgi e non penso neppure che i Tirreni siano coloni dei Lidi: non presentano infatti lo stesso linguaggio, né si può dire che, pur non essendo più di lingua affine, conservino almeno qualche ricordo della madre patria. Non venerano neppure le medesime divinità dei Lidi, né osservano leggi e costumanze simili, sono anzi questi gli aspetti per i quali i Tirreni differiscono maggiormente dai Lidi che non dai Pelasgi. Sono forse più vicini alla verità quelli che sostengono che i Tirreni non sono emigrati da nessun luogo, ma sono invece un popolo indigeno, poiché in ogni sua manifestazione presenta molti caratteri di arcaicità; sia per linguaggio che per modo di vivere non lo si ritrova affine ad alcun altro popolo".(Dionigi di Alicarnasso - Storia di Roma arcaica - I 30,1 e 2).

"Essi in realtà danno a se stessi una propria denominazione, derivata da un certo Rasenna, che era stato uno dei loro capi" (Dionigi di Alicarnasso - Storia di Roma arcaica - I 30,3).

"La stessa origine hanno indubbiamente anche le popolazioni alpine, soprattutto i Reti, i quali dai luoghi stessi furono imbarbariti al punto che nulla hanno conservato dei loro antichi costumi all'infuori della pronunzia, e neppure questa inalterata (Tito Livio - Ab Urbe Condita - V,33).

Nasceva così, duemila anni fa, il problema delle origini del popolo etrusco, una questione che dopo venti secoli è ben lungi dall'essere risolta, anzi continua ad essere più discussa ed animata che mai.

Come siamo messi oggi? Come sempre! Possiamo tranquillamente affermare che non c’è niente di nuovo sotto il sole: ognuno ha una sua opinione; gli studiosi dissentono e discutono; la gente comune è convinta di tutto e del contrario di tutto ... ed il mistero rimane!

Tutte le volte che mi è capitato di discutere sui miei cari Etruschi, l’interlocutore che avevo di fronte prima o poi poneva la fatidica domanda alla quale egli stesso cercava egli stesso di rispondere: “Secondo te da dove provenivano gli Etruschi? Io sono del parere che ….”. Ed ognuno riteneva verosimile una delle teorie più accreditate, salvo poi il dubbio (ed una malcelata soddisfazione) di aver egli stesso risolto l’arcano; non poche volte mi erano presentate le proprie opinioni, a volte interessanti, spesso bizzarre, infondate, addirittura puerili ed ingenue … il mistero degli Etruschi non ha confini. Ricordo una volta che un mio amico, dopo aver escluso tutte le varie ipotesi conosciute, quasi rassegnato affermò: “ Secondo me erano extraterrestri! Che ne dici?”. Sorrisi … ipotesi affascinante, ma, al momento, priva di supporti reali e realistici. E allora? Non credo che la questione delle origini etrusche presenti una soluzione ed abbia una risposta secca e precisa: non può essere altrimenti. Lo stesso problema si presenta per ogni altro popolo e per ogni altra nazione, antica e moderna e la risposta non è mai univoca. C'è stato sempre nei secoli addietro (e in modo diverso tuttora) un grande movimento di popoli, e quello “invasore” ha portato alcune cose, altre le ha prese dall'indigeno, in pratica si tratta sempre, in questi casi, di innesti di una cultura nuova, più o meno progredita, su di un'altra. Solo nel caso di sterminio di interi popoli (è il caso, moderno, dei pellerossa americani) si può avere una risposta ben definita. Nell'antichità, e soprattutto agli albori della civiltà, non si è assistito a genocidi di popoli autoctoni da parte di invasori, se non in rare occasioni. Si può parlare di genocidi culturali (è il caso dei greci nell'Italia meridionale) o anche fisici (è il caso di qualche tribù barbara da parte dei Romani), ma nessun popolo ha mai soppiantato un altro eliminandolo totalmente: sempre c'è stata una fusione. Oggi ci potremmo chiedere da chi discendano gli Italiani o i Francesi o i Tedeschi ed avremmo risposte sfumate ed imprecise: lo stesso impero romano è frutto di una fusione di gente e culture diverse, alla quale non sono estranei gli stessi Etruschi,.

Per questo motivo sarebbe meglio tralasciare il problema delle origini degli Etruschi ed impegnarci a studiarli come si presentano a noi, nella loro complessità, nel loro splendore. Il problema, però, è troppo dibattuto, troppo sentito, troppo affascinante per poterlo ignorare … e lo affronteremo.

Le ipotesi più accreditate fin dall'antichità, come abbiamo visto, sono tre, tutte derivate da autorevolissimi esponenti della storiografia antica: provenienti dall’Asia Minore (Erodoto), autoctoni (Dionigi di Alicarnasso), provenienti dalle regioni danubiane (Tito Livio) ... esaminiamole e proviamo a farci una opinione nostra.

PROVENIENTI DALL’ASIA MINORE

L’ipotesi più antica, e anche la più diffusa fino ai nostri giorni, in sintonia con la teoria della "migrazione dei popoli", vuole gli Etruschi provenienti dall'Asia Minore, più precisamente dalla Lidia. Già gli antichi parlavano di una migrazione di Lidi che, via mare, dopo una lunga peregrinazione, erano giunti in Italia e talmente si era sicuri di questo fatto che si usavano indifferentemente i termini "Etrusco", "Tirreno" e "Lidio". L'illustrazione più chiara di questo episodio, come abbiamo visto, lo riporta Erodoto.

Anche altri storici greci, infatti, ci parlano della migrazione di un popolo che, partendo dall’Oriente, giunse in Italia dando origine al glorioso popolo tirreno. Ellanico, vissuto ed attivo nel V secolo a.C., lo fa discendere dai mitici Pelasgi; Anticlide, che scriveva verso la fine del IV secolo a.C. riferisce di una migrazione di Pelasgi che, sotto la guida di Tirreno, figlio di Ati, partendo dalle isole di Imbro e di Lemno, giunsero in Italia.

L’epoca in cui questi storici scrivevano consentiva loro di avere notiz<ie dirette ed essi erano d’altra parte, certamente in grado di discernere il mito dalla realtà. Di conseguenza, anche se narrassero di un mito, si tratterebbe pur sempre di un fatto leggendario, ma con solide radici nella storia … e queste radici dobbiamo trovare. L’autorevolezza di questi storici, poi, non è certo in discussione. Essa, però, se non basta a farci accettare supinamente questa teoria, neppure ci consente di scartarla a cuor leggero. Ripudiare completamente la tesi erodotea, in ogni caso, significa mettere in discussione l'autorità di uno storico ritenuto (a ragione) il padre della storia ed una fonte impossibile da ignorare e quindi ammettere che la storia antica che ci insegnano e che ci hanno insegnato è ancora tutta da verificare e da riscrivere. Non è facile contestare la tesi di Erodoto, storico che sicuramente sapeva il fatto suo, anche perché vari e validi elementi giocano a favore della sua tesi.

Supponendo che per un momento che questo storico abbia scritto solo una bella favola, poniamo l'attenzione su quanto dice Anticlide: “… essi per primi colonizzarono Lemno ed Imbro e che alcuni di loro si unirono a Tirreno, figlio di Ati e presero parte con lui alla spedizione in Italia” (Strabone, Geografia d'Italia - V,2,4 parlando dei Pelasgi).

La notizia in sé ci dice poco perché potrebbe essere annoverata tra le leggende popolari. Si dà il caso, però, che sia stato trovato un documento linguistico unico al mondo, scritto in una lingua che se non è quella etrusca, con essa presenta evidenti somiglianze: la famosa "STELE DI LEMNO", chiamata così dall'isola in cui è stata ritrovata. Si tratta di una iscrizione di trentatré parole e centoventotto lettere incise su una lastra funeraria di pietra, databile al VI secolo a.C.. Tale iscrizione è redatta in un alfabeto di tipo greco occidentale, foneticamente adattato con un sistema simile a quello etrusco, ma la lingua è quella parlata nell'isola prima che gli Ateniesi vi diffondessero il greco verso il 500 a.C.. Tale lingua presenta notevoli affinità con l'etrusco sia nel campo lessicale sia in quello morfologico: da ciò si può dedurre una comune origine diventata poi quasi irriconoscibile dal processo di evoluzione seguito nel tempo dalle due lingue. Questa affinità di linguaggio darebbe ragione proprio alla tesi di Anticlide.

Anche nei testi sacri egiziani troviamo spunti per sostenere la tesi della provenienza orientale: tra il 1230 ed il 1170 a.C. ci fu un tentativo di invasione dell'Egitto da parte di gente definita come i "Popoli del Mare". Alcuni di questi sono stati identificati quasi certamente con gli Achei, i Lici, i Filistei ed i Sardi. Di questo elenco, manco a farlo apposta, solo un popolo è rimasto sconosciuto: i Turuscia o Teresh (dalla radice Trs.w). Che fossero proprio i nostri Etruschi? L'incerta vocalizzazione dei testi non ha permesso agli studiosi di identificare con certezza i Turuscia con i Tirreni (Trs.w = Tyrsenoi), ma la tesi è abbastanza affascinante.


Le prove (o almeno le presunte tali) dell'origine orientale continuano. Lo stesso Erodoto ci presenta strette somiglianze tra alcune abitudini sociali dei Lidi e quelle degli Etruschi: in particolare osservava che i Lidi stabilivano la loro discendenza sia in linea paterna che materna (come gli Etruschi), mentre Romani e Greci nelle loro genealogie usavano solo antenati maschi. A differenza dei maschi che di nomi ne avevano tre, ai quali aggiungevano uno o più soprannomi, le donne romane, sia detto per inciso, non avevano diritto neppure al nome individuale o prenome, ma solo a quello della loro "gens". Esse, infatti, si chiamavano tutte allo stesso modo: Tullia (appartenente alla gens Tullia), Antonia (gens Antonia), Livia (gens Livia), Cornelia (gens Cornelia) e via di seguito.

Le donne della Lidia, inoltre, avevano molta libertà ed importanza nella vita sociale alla pari di quelle etrusche, mentre in Atene e in Roma le appartenenti al gentil sesso conducevano una vita molto ritirata.

E poi: l'arte etrusca di predire il futuro interpretando i segni del fegato degli animali era una usanza orientale in quanto praticata anche dagli antichi Babilonesi; gli Etruschi, poi, unico popolo italico e forse mediterraneo, conoscevano la birra (bevanda nota in Babilonia) che usavano sia come bevanda sia come cosmetico (tintura dei capelli). E che dire degli oggetti di lusso trovati nelle tombe dei ricchi etruschi del VII secolo a.C. e decorati con motivi orientaleggianti come leoni, sfingi, grifoni e altro? Non è certo che esistessero prima del 700 a.C. ed il fatto che poi compaiono all'improvviso in tutta l'Etruria sembra voler dimostrare che, oltre ai rapporti puramente commerciali, tra questi popoli ci fossero vincoli più profondi, vincoli di sangue, certamente.

Forti diversità fisiche e di carattere li contrappongono, d'altra parte, ai villanoviani che i sostenitori della tesi autoctona vogliono proto-etruschi. Dal modo in cui essi stessi si sono raffigurati nei bronzi e sui vasi di terracotta, gli Etruschi dovevano avere il corpo più tracagnotto ed il cranio più massiccio dei villanoviani ed i loro lineamenti erano di tipo orientale. Non va dimenticata, infine, la grande passione etrusca per il mare e la riconosciuta ed indubbia abilità marinara (e piratesca) dei Tirreni, passione non certo riscontrabile presso i campagnoli villanoviani.

Ancora una prova la troviamo nella somiglianza tra le tombe etrusche e quelle dell'Asia Minore:

"L'idea della tomba a camera potrebbe essere stata importata a Tarquinia da immigrati dell'Asia Minore. L'importante cimitero di tumuli di Bin Tepe in Anatolia contiene la "Tomba di Aliatte", ancor oggi alta 69 metri e con un diametro di 355, vale a dire molto maggiore del diametro della Silbury Hill nel Wiltshire. Questi tumuli sono circondati da un muro di sostegno; vi si accede tramite un dromos; essi possiedono caratteristiche simili alle tombe etrusche, compresa la mobilia interna riprodotta in pietra; probabilmente risalgono al VII secolo a.C." ("Piramidi, Necropoli e Mondi sepolti" di Leslie V. Grinsell).

Cosa si può dire in merito? Siamo di fronte a prove o a semplici indizi. E se di indizi si tratta, bastano a convincerci che gli Etruschi sono giunti dall’Oriente? Cosa dicono gli altri?


Non tutti, ovviamente, sono convinti della bontà e della esattezza di questa tesi. Molti, d’altra parte, sono i punti deboli ed oscuri a cui aggrapparsi per contestare la teoria orientalistica. Gli oppositori di questa, ad esempio, fanno notare che Erodoto, tra l’altro, farebbe risalire la “migrazione” dei Lidi al tempo della guerra di Troia (fine XIII sec. – inizi XII sec. a.C.); lo stesso storico, di conseguenza, farebbe cadere la possibilità di mettere detta migrazione in relazione con la fioritura in Etruria della civiltà di tipo orientale di cui si è parlato prima e che ben conosciamo (VIII – VII sec. a.C.). E neppure, sostengono, si può spostare la data di arrivo dei Lidi in Italia al IX - VIII secolo a.C. in quanto si arriverebbe ad un periodo per il quale si è molto ben informati dal punto di vista archeologico e ci sarebbe da stupirsi del fatto di non avere notizie dirette dell'avvenimento. È strano, si fa notare poi, che un evento di "portata mondiale", come l'esodo di quasi un intero popolo da un paese ed il suo arrivo in un’altra regione, dove in seguito avrebbe imposto la propria egemonia, sia rimasto pressoché inosservato e non abbia invece ispirato poeti e scrittori che pure sapevano tutto di un fatto, la guerra di Troia, che in fondo era di interesse locale. Le osservazioni sembrano giuste, non c'è che dire. Bisogna, però, considerare l'odio secolare, per motivi quasi simili, come in seguito vedremo, di chi ha scritto la storia. Gli storici ed i poeti tendono a magnificare i loro eroi, la propria nazione, cercano di giustificare gli errori ed i crimini commessi dai loro politici e militari e, nel contempo, a denigrare i meriti altrui. I greci ed i romani non avevano alcun interesse a esaltare e magnificare tale avvenimento, se pure fosse un giorno avvenuto. Questa considerazione, però, non risolve il problema e non serve più di tanto a sbrogliare l’intricata matassa.

La questione non avrebbe avuto ragione di essere se fosse giunta fino a noi almeno una parte della quasi certa enorme quantità letteraria prodotta dagli Etruschi. Se potessimo leggere la loro storia, scritta dai loro annalisti e studiata nelle loro scuole, sicuramente avremmo sciolto molti dubbi e saremmo un po' più vicini alla verità. Sarebbe bastata, probabilmente, anche l’opera dell’imperatore Claudio che, avendo avuto una moglie etrusca, sicuramente aveva potuto consultare gli archivi di una antica famiglia tirrenica; poteva bastare anche qualche “capitolo” perduto, o promesso e mai scritto da storici dell’epoca ... Purtroppo ci troviamo di fronte perdite e distrazioni che hanno prodotto lacune per il momento impossibili da colmare.

Per contestare la teoria della migrazione, naturalmente, si portano a supporto anche altre argomentazioni: non è stato ravvisato quel passaggio improvviso tra due civiltà (come nel caso della civiltà greca in Italia) che uno "sbarco in massa" avrebbe comportato e nei luoghi di presunta origine degli Etruschi non si è trovata traccia archeologica che possa far parlare o pensare agli stessi. Insomma gli Etruschi e la loro civiltà hanno (o sembrano avere) peculiarità riscontrabili solo in Italia e nei territori da loro occupati durante l'espansione del loro periodo aureo. A queste ultime “contestazioni” è difficile per gli “orientalisti” dare una risposta. Da ciò dovrebbe derivare, se non l'infondatezza della tesi migratoria, almeno un certo scetticismo nei suoi confronti e, di conseguenza, l'obbligo di percorrere nuove strade verso la ricerca della verità.

sostenitori della tesi “orientalista” possono consolarsi pensando che (anche se indubbiamente influenzati dall'enorme prestigio di cui godeva la teoria erodotea o, probabilmente, per altre conoscenze che noi non abbiamo) quasi tutti gli scrittori classici ponevano la patria degli Etruschi in Asia Minore. Seneca, per esempio, affermava (e sicuramente ne era convinto) che "l'Asia rivendica gli Etruschi come suoi figli"; mentre grandi autori come Strabone, Virgilio, Orazio, Plutarco e Cicerone usavano indifferentemente i termini "etrusco" e "lidio".

Intanto noi cerchiamo di raggiungere la nostra meta esaminando la seconda teoria, che, come abbiamo detto, sostiene che gli Etruschi erano una popolazione indigena, l’evoluzione naturale della civiltà villanoviana.

AUTOCTONI

La provenienza degli Etruschi non sarebbe diventata "questione" se già nell'antichità non fosse sorto qualcuno a respingere la tesi della migrazione.

Tutti d'accordo, anche se con sfumature diverse, sull’origine orientale degli Etruschi, unica voce discorde dell'antichità, sia pur autorevole, fu quella di Dionigi di Alicarnasso, scrittore greco vissuto al tempo di Augusto (tra il 60 e il 7 a.C.). Il famoso retore, respingendo ogni identificazione degli Etruschi con Lidi, Pelasgi o Lemni, affermò, nella sua opera storica "Antichità Romane", di aver saputo dagli stessi Etruschi che essi erano di origine "italica" e rivendica per essi il nome "nazionale" di Rasenna.

Dionigi viveva in un periodo in cui storici e letterati si dedicavano alla celebrazione della gloria di Roma; era il tempo in cui ci si guadagnava il pane anche facendo risalire la stirpe romana ad Enea (e quindi direttamente agli dei); stava per cominciare l'epoca degli imperatori pronipoti dei vari padreterni che affollavano in modo impressionante il paradiso dell'epoca e padreterni essi stessi. Questo storico, dal suo canto, voleva dimostrare che tutto ciò che (di buono) era in Roma era greco o, perlomeno, traeva origine dalla Grecia.

Quando si imbatté nel "fenomeno" etrusco, in quella cultura così diversa da ogni altra sia nella lingua sia negli usi e costumi, cominciò ad avere non pochi problemi. Come spiegare la sua presenza in Italia e la sua diversità? Qual’era la sua origine? Per Dionigi essi non provenivano da nessuna parte, erano indigeni dell'Italia, cioè barbari (termine già usato nel significato di essere inferiore, oltre che di non greco).

Dionigi di Alicarnasso, sia chiaro, era uno storico onesto, erudito e diligente e quindi abbastanza documentato. Egli sapeva bene che la sua tesi contrastava con quanto aveva affermato lo storico più autorevole dell'antichità e cercò di puntellare la sua nuova teoria con alcune sue considerazioni personali, per altro abbastanza scontate e non immuni da una certa dose di ingenuità. Per prima cosa egli fece un raffronto tra gli Etruschi e i Lidi del suo tempo e osservò che “gli Etruschi non parlano la stessa lingua dei Lidi, non adorano gli stessi dei, non hanno le stesse leggi” e concluse che gli Etruschi “sono un popolo indigeno poiché in ogni sua manifestazione presenta caratteri di arcaicità”.


La tesi non è affatto peregrina e bisogna dire che Dionigi di Alicarnasso non era certo uno sprovveduto. Gli Etruschi, infatti, per molti versi sembrano il naturale sviluppo dei villanoviani dei quali ne occuperanno il territorio. L’isolamento della lingua etrusca nel contesto delle altre lingue dell’Italia antica è sembrata un’altra prova a sostegno dell’autoctonia, mentre il nome riportato da Dionigi per gli Etruschi (Rasenna) è confermato da alcune iscrizioni ritrovate (Rasnal tular = i confini dell’Etruria).

Se però gli Etruschi erano un popolo autoctono, resti di una unica entità mediterranea o anche italica, sorge legittima una domanda: come mai occupavano un territorio tanto fertile ed appetito in tutte le epoche? E' risaputo, infatti, che ogni conquistatore occupa le terre migliori, le più fertili, le più rigogliose, confinando gli indigeni in zone aspre, montuose o meno feconde. La storia è piena di questi casi: nell'antichità i Baschi ed i Liguri (per fare qualche esempio) non furono ricacciati in zone inospitali? e, continuando, i pellerossa non furono costretti a vivere nelle riserve (dopo essere stati praticamente sterminati)? Sarebbe davvero strano che (unico caso nella storia) gli Etruschi fossero riusciti a mantenere i territori migliori, mentre sarebbero stati cacciati via da quelli inospitali.

E poi … gli etruschi non avevano gli stessi costumi, divinità e leggi dei Lidi perché ormai erano trascorsi tanti secoli dal presunto esodo ed entrambi i popoli avevano vissuto una propria vita autonoma. È ovvio che dopo quasi mille anni non avessero più niente in comune …

E allora? Dobbiamo dedurne che neanche questa teoria convince in pieno ed il fatto ci spinge verso la terza teoria.

PROVENIENTI DALLE REGIONI DANUBIANE

Per risolvere il contrasto tra le due teorie appena esaminate, ne è stata escogitata una terza che, alla resa dei conti, si è rivelata del tutto inconsistente. Questa nuova ipotesi vuole gli Etruschi provenienti dalle regioni danubiane e giunti in Italia attraverso le Alpi. A supporto di questa tesi sono portate due argomentazioni: una si basa su alcune affinità tra le culture dell’Etruria e della regione danubiana agli inizi del 1° millenni a.C. e l’altro su un passo, per altro abbastanza controverso, di Tito Livio secondo il quale i Reti, stanziati tra la Valle dell’Adige ed il Tirolo, sarebbero discendenti degli Etruschi (cioè un relitto imbarbarito di quelli scesi verso il Tirreno e … persi per strada.). Per convalidare questo rapporto, si invoca l’analogia tra il nome “Reti” e quel “Rasenna” che, come già abbiamo visto, Dionigi attribuiva agli Etruschi.

Dopo aver esaminato in linea generale le tre grandi teorie sulla provenienza degli Etruschi e visto come i fautori di ognuna hanno cercato di puntellare la propria tesi con argomentazioni più o meno solide, appigliandosi a tutto, non trascurando neppure le cose che potrebbero sembrare più banali, si deve convenire che la questione delle origini degli Etruschi è ancora “questione”: gli studiosi non hanno fatto altro che riprendere, sviluppare e ampliare una delle due tesi senza, in verità, arrivare mai ad una soluzione in un senso o in un altro, rimanendo in perenne conflitto non potendo fare altro che scegliere tra autoctonia ed immigrazione. Più che sostenere la propria teoria, spesse volte si è portato soltanto elementi tesi a contestare quella avversa.

Nessuna, comunque, è riuscita a prevalere definitivamente sulle altre, non riuscendo a sostenere del tutto gli attacchi sferrati dagli avversari. Attualmente ha ceduto la tesi della provenienza danubiana, mentre si presenta con solide argomentazioni una quarta teoria che potremmo definire neo-orientalista.


La civiltà e la cultura etrusca sono riscontrabili solo nella penisola italica!

Cosa possiamo dire? Colui che si avvicina al problema rimane ancora una volta sconcertato da tanta confusione ed ai suoi occhi ogni tesi presenta elementi suggestivi e probanti, ma anche tanti punti più o meno oscuri, dei lati deboli difficili da sostenere.

Forse le ipotesi prima accennate non sono che altrettante facce di una sola verità ed è probabile, come spesso accade in ogni conflitto, che tutti abbiano la loro parte di ragione e come sempre la verità va cercata nel giusto mezzo, conciliando, cioè gli opposti estremismi. I fatti dovrebbero essere andati così.

Verso il XIII-XII secolo prima di Cristo, forse a causa di una carestia che aveva colpito quelle terre, forse solo sotto la spinta delle sete di avventura o di guadagno, gruppi più o meno numerosi di Lidi (o Pelasgi o Lemni o tutti insieme) abbandonano le coste orientali del mediterraneo diretti verso nuove terre da conquistare o da depredare o forse che li potesse accogliere e nutrire. Sicuramente non avevano una meta precisa o forse erano solo pirati, i famigerati Tirreni di cui la letteratura e la mitologia greca antica parlano con tanto terrore.

Quindi, gente spinta dalla carestia o pirati, i Tirreni tentano verso il 1230-1170 a.C. di sbarcare in Egitto, ma sono respinti. Così il loro girovagare (o la loro pirateria) continua, finché un gruppo (o vari gruppi in ondate successive) giunge sulle coste del mare che da essi prenderà il nome di Tirreno: comincia l'avventura etrusca in Italia.

Potrebbe essere stato proprio quel gruppo di navigatori a portare il nucleo della futura lingua etrusca che rimane innegabilmente collegata alla lingua “egea” documentata nell’isola di Lemno dalla famosa stele; lo stesso gruppo avrebbe innestato le proprie esperienze culturali, sociali e religiose su quelle della popolazione indigena dando vita ad una nuova civiltà che se non era “italica”, non era neppure “orientale”.

In questo modo possiamo finalmente vedere il fondo di verità nel racconto di Erodoto che, come avviene nelle tradizioni degli antichi, non contrastano con le possibili ricostruzioni moderne. Nello stesso tempo è possibile anche confermare la teoria di Dionigi sull’autoctonia parlando di una civiltà etrusca sorta e sviluppata in Italia e degli Etruschi come di un popolo italico.

(Fine?)


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