La lingua etrusca
Da Pklab.
Revisione 13:31, 26 Mag 2006 Anonimo olevanese (Discussione | contributi) ← Go to previous diff |
Revisione 14:02, 19 Lug 2006 Anonimo olevanese (Discussione | contributi) Go to next diff → |
||
Riga 33: | Riga 33: | ||
E questo sull'origine della lingua può bastare. | E questo sull'origine della lingua può bastare. | ||
- | |||
- | |||
- | '''(continua)''' |
Revisione 14:02, 19 Lug 2006
Torna a anonimo olevanese - Torna a etruschi
LA LINGUA ETRUSCA
Parliamo ora del "mistero dei misteri", di quello che è diventato, nell’immaginario collettivo, il luogo comune dell'ignoto, dell'arcano per antonomasia: la lingua etrusca. Ogni ragionamento, ogni dissertazione, ogni argomento sconosciuto, ogni difficile da capire, ogni problema che presenta dubbi interpretativi diventa, nelle parole della gente, “più indecifrabile della lingua etrusca”; al confronto di questa, la sfinge è di una chiarezza palese, di una linearità infantile.
Appena il discorso tocca gli Etruschi, subito ci si domanda se sia stata "decifrata", se finalmente si capisca la lingua di quel popolo tanto misterioso.
Diciamo subito, a scanso di equivoci, che non esiste, come lo era stato, ad esempio, per i geroglifici egiziani, un problema di decifrazione in quanto oggi si è perfettamente in grado di leggere la scrittura etrusca. Negli ultimi anni, gli studiosi hanno fatto davvero passi da gigante, ma, ad onor del vero, bisogna anche dire che già gli eruditi dell’Ottocento erano in grado di tradurre alcune parole meno difficili. L'alfabeto etrusco, infatti, era di tipo greco-occidentale, adattato foneticamente alla lingua etrusca con l'eliminazione di alcune lettere non necessarie e l'inserimento di altre. Non esiste, quindi, il problema di "interpretare" o di leggere le parole, bensì quello di capirle e di tradurle… e qui le difficoltà diventano davvero notevoli.
Le complicazioni derivano soprattutto dalla “povertà” dei testi e degli scritti che ci sono pervenuti e dall'isolamento, pressoché totale, della lingua etrusca nel contesto delle lingue mediterranee, anzi, possiamo dire, mondiali (se si eccettua la lingua della "Stele di Lemno"). Povertà di testi, però, non significa carenza o scarsità degli stessi. La produzione letteraria etrusca giunta fino ai nostri giorni, infatti, è notevole (circa tredicimila iscrizioni), anzi è addirittura la maggiore di tutte le lingue dell'Italia antica, fatte salve ovviamente quella greca e quella latina. Non ci sono giunte, purtroppo, opere letterarie, storiche o filosofiche, intere o frammentarie, bensì solamente dediche ed incisioni su lastre votive, su statue e su oggetti funerari o di culto. Si tratta, pertanto, di frasi standard, frasi fatte, stereotipe, monotonamente ripetute e che non permettono di far luce sul “mistero della lingua”. È la stessa difficoltà, è stato giustamente detto, che incontrerebbe qualsiasi persona che un giorno decidesse di studiare una lingua straniera leggendo gli annunci funebri di un giornale.
Gli studiosi, dal canto loro, hanno affrontato il problema con decisione, hanno tentato e sperimentato vari metodi di studio con il risultato, certo non disprezzabile, di tradurre circa duecento parole. Molte altre, purtroppo, sono ancora prive di significato. E se anche si riuscisse a tradurre tutte le parole note, la lingua etrusca rimarrebbe ancora ben lontana dall'essere conosciuta: resterebbero, infatti, escluse dalla nostra conoscenza quasi tutte le parole di uso quotidiano, i nomi di cose, il linguaggio familiare.
Ad una buona conoscenza della lingua si potrebbe pervenire solo rinvenendo un testo molto più lungo di quelli in nostro possesso finora e soprattutto che sia al di fuori del campo funerario/votivo (magari con relativa traduzione in una lingua conosciuta). Allo stato attuale, però, l’evenienza è alquanto improbabile.
Gli studiosi continuano tenacemente la loro opera. È lecito ritenere, però, che solo la scoperta della tomba di un lucumone potrebbe contenere testi atti a risolvere il problema che, altrimenti, rimarrebbe senza soluzione. Clamorose scoperte sono state annunciate in passato, molti hanno creduto di aver trovato la "chiave" dell'etrusco, ma tutto si è rivelato falso. L'unica bilingue in nostro possesso, scoperta nel 1964 sul luogo di Pyrgi (attuale Santa Severa) consiste in tre lamine d'oro ed una di bronzo, databili agli inizi del V secolo a.C., riportanti testi in etrusco e fenicio a solenne ricordo di un impianto sacro con simulacro divino. Con esse si credette di aver “risolto il problema”, ma fu una caduta di illusioni: non solo il testo fenicio presentava problemi di traduzione, ma gli scritti non erano affatto “paralleli”. Neanche la “mummia di Zagabria” e la “tegola di Capua”, i due testi più lunghi in nostro possesso, hanno permesso di “capire l'etrusco” in quanto non ancora tradotti del tutto. Bisogna purtroppo anche dire che in ogni caso non serviranno allo scopo perché anche essi rientrano nella “sfera sacra”: si tratta, infatti, di testi indicanti attività religiose, festività, sacrifici da fare e maledizioni da mandare.
La strada è ancora tutta da percorrere … eppure sono ormai quasi sei secoli che gli studiosi stanno affrontando il problema: ci provò per primo, nel 1400, frate Annio da Viterbo; le sue traduzioni, però, si rivelarono ben presto un autentico bluff. Il merito di quell'eccentrico frate, però, fu enorme: aveva svegliato nella gente l'interesse per gli Etruschi ed in particolare per la loro lingua.
Da allora tutte le strade sono state tentate: dapprima si credette che la lingua etrusca derivasse dall'ebraico, in omaggio alla credenza che voleva tale lingua primogenita di tutte, poi fu accostata a tutte le lingue coeve, da quelle italiche a quelle danubiane, da quelle mediterranee a quelle medio-orientali; furono trovati e provati vari metodi di studio … l'etrusco, però, è apparso sempre più simili ad una sfinge, misteriosa ed impenetrabile, refrattaria ad ogni tentativo di chiarezza.
Certo qualche apprezzabile risultato lo si è ottenuto, come detto, e circa 200 parole sono conosciute con esattezza, alcune perché citate dagli autori latini e greci (le cosiddette glosse), altre perché inserite in frasi simili a quelle latine o italiche; di alcune si conosce solo il concetto, mentre purtroppo, come già detto, sono rimaste escluse le parole di uso corrente.
A complicare il già difficile problema c’è anche la difficoltà di individuare esattamente le parole che si trovano nei testi: gli etruschi, infatti, scrivevano da destra verso sinistra; in alcuni casi alternavano l’inizio delle righe cosicché troviamo un rigo scritto partendo appunto da destra verso sinistra ed il successivo da sinistra verso destra e così continuando (scrittura bustofredica o “del bue che ara”). Inoltre le parole non erano divise tra di loro, ma, almeno nel periodo più antico, erano scritte tutte unite. E' facile intuire quale sia la difficoltà dello studioso sapendo che il problema si presenta anche se si scrive in italiano (es.: melavidise... che si può intendere: me la vidi se..., oppure: me lavi di se..., oppure: mela vidi se...).
Dopo aver parlato molto brevemente delle difficoltà che presenta l'etrusco, passiamo a vedere l'origine dell'alfabeto e della lingua.
L'alfabeto, come si è detto, è di tipo greco occidentale, foneticamente adattato alla lingua etrusca. La tradizione (o meglio la leggenda) vuole che esso fosse introdotto in Etruria da Demarato (il padre di Tarquinio Prisco) esule da Corinto che si sarebbe stabilito in Tarquinia. verso il 670 a.C.. Gli storici propendono per una versione più realistica e cioè che esso sia stato acquisito dai greci di Cuma, città con la quale gli Etruschi ebbero i più svariati rapporti (commerciali, politici e ... militari). Non è da escludere, però, un'altra teoria (che fa capolino tra gli studiosi e che a molti sembra la più accreditabile) che vuole l'alfabeto patrimonio degli Etruschi già prima del loro arrivo in Italia, acquisito durante la loro odissea e senza alcuna mediazione greca.
Probabilmente (andando per un attimo al problema delle origini e prendendo per buona la tesi orientalistica) gli Etruschi nella loro lunga odissea vennero a contatto con gente già in possesso di tale tipo di alfabeto e l'adottarono. Anticlide, come abbiamo visto, ci fa sapere che i Tirreni sostarono sulle isole di Lemno e di Imbro e che un folto gruppo di Pelasgi si unì a loro. Ora sappiamo anche che sull'isola di Lemno si parlava (prima della colonizzazione da parte degli Ateniesi nel V secolo) una lingua che presenta alcune affinità con l'etrusco. Infatti su questa isola è stata trovata una stele, databile al VI secolo a.C., scritta in una lingua affine all'etrusca con la quale sembra avere un'origine comune. Si tratta di un documento unico; al di fuori di questo, l'etrusco non trova riscontro in nessuna altra lingua di nessuna epoca e luogo. Questa iscrizione non può dimostrare con certezza che gli Etruschi fossero in possesso dell'alfabeto prima dei contatti con i greci (contatti che, ricordiamo, risalgono all'ottavo secolo a.C.) e neppure le origini orientali degli stessi. Essa, in ogni modo, è molto importante quando si parla delle origini e serve quanto meno agli orientalisti per respingere l’obiezione degli “autoctonisti” sulla mancanza di una scrittura importata dai luoghi di presunta origine.
E questo sull'origine della lingua può bastare.