Asclepiade di Samo

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ASCLEPIADE di Samo (IV - III secolo a.C.)

La vita e le opere

Asclepiade nacque a Samo prima del 310 a. C.. Egli è sicuramente più anziano di Teocrito, che lo stimò molto e lo considerò suo maestro. Ad Alessandria Asclepiade rapporti con Callimaco.
Di lui, a consacrarlo tra i maggiori poeti del suo tempo, sono giunti (nell'Antologia palatina) una quarantina di epigrammi, per la maggior parte erotici. Ad Asclepiade sembrano risalire le prime poesiole che s'immaginavano recitate dall'innamorato innanzi alla porta chiusa dell'innamorata, ma non mancano brevi carmi conviviali, iscrizioni funebri e dediche varie o brevi miti. Tutti questi generi ebbero immensa fortuna nella successiva poesia tanto greca quanto latina, ma in Asclepiade si presentano con la freschezza, l'essenzialità dell'ispirazione popolaresca e con una limpida forma letteraria.
Asclepiade scrisse anche canti melici dei quali ci resta qualche frammento insignificante; è certo che si sia applicati a questi ultimi con passione: infatti, dalla tradizione grammaticale sono noti sotto il nome di "asclepiadei" (maggiore e minore) versi che in realtà erano stati forgiati o, almeno, divulgati per prima da Alceo di Mitilene. Asclepiade niente altro fece che riadattare quegli schemi alle misure ritmiche che a mano a mano si erano venute affermando.

Giudizio

Dai suoi epigrammi (amorosi, come già detto) si può vedere quanto Asclepiade si dimostri "uomo di mondo", con la testa sulle spalle; ed anche se a volte sembra un innamorato perduto, capace di stare, durante una notte d'inverno, zuppo di pioggia, alla porta dell'amante a supplicare, molte più volte si comporta da vero epicureo e vuole dalla vita l'amore ed il vino. In lui non si vede più l'amore puro, ma l'amore ed il banchetto si fondono fino a divenire un'orgia. Eppure proprio queste due cose diventano motivi di malinconia; una volta terminati, ti rimane in bocca un sapore amaro e negli occhi la visione della morte. Allora si accorge che la vita lo ha stancato, si annoia ed il suo canto si fa più triste e più reale: la morte non la cerca comunque perché sa bene che la morte di un essere umano non conta niente ed è sicuro che una volta morto lui, indifferenti i suoi amori continuerebbero a giocare.
A volte Asclepiade sembra molto simile a Catullo quando invita la dolce Ipsililla o quando, stanco della vita, cerca la morte; ma in entrambi i casi il poeta veronese sembra superiore: nel primo il linguaggio mi appare più forte e virulento e nel secondo ove la sua mestizia carezza l'orecchio come un inno di pace eterna.

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