Al professor Arcangelo

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AL PROFESSOR ARCANGELO ANNUNZIATA

Città del Sole, 31.1.2003

Carissimo professore,

ogni volta che penso a te (e ti penso spesso, credimi), mi assale un grande senso di tristezza, sto male! Mi viene in mente che un giorno, un brutto giorno, nigro signando lapillo, ti ho tradito, anche se contro la mia volontà, anche se non avrei voluto mai. È il mio cruccio antico e non me ne do pace. Campassi mille anni, non me lo perdonerò mai. Sono trascorsi più di trent’anni, ormai: una foto ingiallita dal tempo; il tuo sguardo fermo, ma sereno; i tuoi capelli ben curati … nel mio cuore e nella mia mente sei rimasto sempre lo stesso! Io, invece, sono cambiato molto … e nel cambio ci ho rimesso più di quanto tu possa immaginare.

Ricordi? L’Italia vedeva la fine degli anni del boom economico e si avviava verso una stagione di scontri sociali. Dentro, nell’Istituto, si viveva al riparo ed all’oscuro di tutto o, forse, più probabilmente, noi bambini eravamo troppo piccoli per capire i fermenti di un mondo in evoluzione. La nostra esistenza era estranea al mondo esterno che vedevamo attraverso un filtro che ci aveva fatto, in ogni caso, vivere anni sereni, senza pensieri.

… Era la primavera di quasi sette lustri fa, ma mi sembra fosse ieri. La fiducia incondizionata che avevi in quel bambino prodigio, che indubbiamente vedevi piccolo e buono, ti spinse ad ammetterlo agli esami da privatista di seconda media con un voto che nessuno immaginava: “OTTO”. Tutti erano contrari; qualcuno per convinzione, altri solo per invidia. Tu, però, difendesti la tua scelta: non avevi paura di “bruciarmi”; non eri preoccupato dall’ipotesi che gli esaminatori avrebbero preteso “troppo” da me. Tu eri uno scienziato e non stavi a fare filosofia: eri sicuro del tuo giudizio; non avevi dubbi. Eri certo che avrei fatto onore a quel voto e che non c’erano prove, test, quiz, domande o esami che potessero impensierirmi. Tu credevi in me come nessuno mai nel passato e nessuno più nel futuro …

I risultati, purtroppo, furono diversi dalle nostre aspettative: all’esame di scienze ebbi un semplice “SETTE”, mentre migliori punteggi li conseguii in altre materie. Quando controllai i voti finali, nonostante fossi risultato di gran lunga il migliore della classe, rimasi deluso: non ero riuscito ad essere degno di te, della tua fiducia. Diventai “quello che prende otto agli esami”, ma non ero contento: ti avevo tradito! Mi vergognavo, avevo paura di incontrarti, credevo che tu fossi arrabbiato con me … povero bimbo che già rimaneva preda di errori, dei suoi errori di valutazione …. Tu avresti capito, ma io non lo sapevo.

Ricordo che tu ci insegnavi gratuitamente; era un altro tuo modo di essere generoso, di essere buono, di amare il prossimo. L’anno successivo, però, i tuoi impegni privati ti impedirono di insegnare ancora nella mia classe … ti confesso che in un primo momento ne fui quasi contento perché ero certo che non avrei sopportato il tuo sguardo accusatore, convinto che tu fossi arrabbiato con me, che non avresti mai perdonato il mio “insuccesso” … dopo i primi giorni di scuola, però, non pensai più a te e mi lasciai risucchiare dagli eventi … Non ti rividi per tantissimo tempo … le scuole medie … il ginnasio … i primi anni di liceo … poi lasciai il capoluogo e continuai la scuola in provincia. Il tempo, intanto, cancellava tante cose dalla mia mente, ma il tuo ricordo no.

Più di un lustro era trascorso, forse sei, forse sette anni … Sono sicuro di averti visto un giorno, mentre andavo all’università: stavi scherzando con un tuo amico. Non eri cambiato più di tanto: sempre allegro, giovale, sembravi un ragazzino che, appena uscito dalla scuola, gioca con il suo compagno di banco. Fu questione di pochi secondi: prima ancora che potessi riflettere, tu scomparisti di nuovo, questa volta per sempre, inghiottito dalla città, dagli impegni, dal tempo.

Questo è il secondo cruccio della mia vita: non esserti venuto vicino, essermi presentato, fatto riconoscere. Forse già da tempo tu non pensavi più a quel bimbo cui pure un giorno volevi tanto bene; forse neppure mi avresti riconosciuto sotto i miei lunghi capelli e dietro il fumo di mille sigarette … non lo so e non importa. Vero è che, come un novello Giuda, ti tradii per la seconda volta, ti tradii per sempre.

Caro professore,

mi piacerebbe incontrarti! Sono certo che questo sarebbe motivo di gioia per entrambi. Ricordare quei giorni lontani quando tu eri più giovane ed io un piccolo genio, quando tu eri il mio maestro ed io il tuo allievo preferito, ci allieterebbe un poco la vita. Poi, però, sarei di nuovo la tua delusione. Non ho mantenuto nessuna promessa: cacciato via e in malo modo dall’istituto, espulso da tutti i seminari d’Italia, non sono non sono riuscito ad emergere in nessun campo, anzi sono stato il peggiore di tutti i tuoi vecchi alunni. Quello è più bravo, quell’altro è più bello; l’uno è più forte, l’altro è più buono. Non sono il più coraggioso, non sono il più intelligente, non sono il più furbo. Non so cantare, non so ballare … ho paura della vita e delle sue avversità. Sono una frana! Sempre più spesso mi rendo conto dell’inutilità della mia esistenza, della mia inutilità. Un tempo, tu lo ricordi, ero tenace, un lottatore che non si arrendeva mai, orgoglioso come nessuno. Non conoscevo ostacoli a scuola ed in tutte le altre attività; tutti vedevano davanti a me un radioso futuro ed invece … un dio cattivo mi ha voluto punire per colpe che non so o che non ricordo ed ora ho perso tutte le antiche virtù, non mi è rimasto proprio niente, neppure un briciolo di dignità.

Ho sonno, caro professore, e vorrei dormire; vorrei addormentarmi e non svegliarmi mai. Vorrei dormire per non vedere più questo mondo che non è il mio, che non è quello che conoscevo e neppure quello che volevo costruire. Tu sai qual’è il mio Universo, la mia vita, la mia gioia vera: quando avevo queste cose le disprezzavo perché non le capivo; poi le ho perse e ora le rivorrei. È la storia infinita che si ripete! L’inesperienza e la presunzione ti avvelenano la vita e tu te ne accorgi solo quando è troppo tardi.

Vorrei chiudere gli occhi e addormentarmi per sempre, dormire e sognare, rivedere il mio mondo, quel mondo dove splendeva sempre il sole, dove tutto era bello. Allora non avevo bisogno di dormire per sognare e poteva succedere che una domenica mattina tu venivi nell’istituto e mi interrogavi come se fossimo ancora a scuola. Tu eri un professore severo, ma io ero bravo, il più bravo di tutti e rispondevo sicuro e preciso ad ogni domanda e meritavo quell’otto sul registro. Poi tu smettevi i panni del duro insegnante e riprendevi quelli che ti erano più consoni, quelli dell’amico, del buon padre di famiglia, e mi portavi con te per fare un giro in macchina nella grande città; ti fermavi davanti ad una pasticceria … i momenti più belli della mia vita, il dolce più buono mai gustato. Quello era il mondo dove era bello vivere, dove era sempre primavera, dove il sole mi riscaldava ed io non avevo mai freddo. Ora, invece, il sole non mi scalda più e non bastano maglioni e stufe a difendermi dal freddo che mi penetra fin dentro le ossa; ora il cielo è sempre cupo come in un eterno inverno ed il sole della mia esistenza lo devo cercare dentro l’anima mia.

Caro professore,

mi piacerebbe davvero incontrarti di nuovo. Io ti ho voluto bene più di tutti, al punto da voler bene a tutti quelli che si chiamano come te, che portano i capelli come li portavi tu, a tutti quelli che vestono come vestivi tu, a tutti quelli che insegnano la materia che insegnavi tu. Quanto mi piacerebbe rivederti.

Io, però, non verrò a cercarti! Morirei dal dolore se mi dicessero che tu non sei più di questo mondo, morirei di dolore se tu non ti ricordassi di me. Per questo, a meno di un miracolo, la speranza di incontrarti è affidata solo alla fede in un altro mondo o ad una vita futura. In ogni modo mi piace pensare che oggi tu forse passeggi nella tua città, giochi con i tuoi nipotini e probabilmente in loro rivedi i tuoi antichi allievi. Sarei felice se in uno di essi tu rivedessi il volto del piccolo Tuscio … Addio!

Lo scrisse il Tuscio anonimo_olevanese.jpg

Anonimo Olevanese da piccolo osserva il mondo

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