Un curioso paradosso

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'''Alla base della rivoluzione americana vi è un curioso paradosso: l’Inghilterra che nega un diritto per il quale ha lottato aspramente.''' '''Alla base della rivoluzione americana vi è un curioso paradosso: l’Inghilterra che nega un diritto per il quale ha lottato aspramente.'''
-Ritengo opportuno, prima di addentrarci nella discussione, fare un piccolo quadro riassuntivo della situazione delle tredici colonie americane nel periodo in questione. Originatesi al principio del seicento dall’emigrazione nel nuovo mondo delle minoranze politiche e religiose, nonché dalla spinta delle compagnie commerciali, ai tempi della rivoluzione occupavano tutta la fascia costiera atlantica. Sia per le colonie del nord, economicamente fondate sull’attività commerciale e l’industria cantieristica, sia per il sud, che basava la propria economia sul lavoro degli schiavi nelle piantagioni, la dipendenza economica dalla madrepatria era molto forte. D’altra parte avevano una notevole autonomia politica; non vi erano quindi i presupposti per far nascere nei coloni un sentimento d’identità nazionale. Il contrasto da cui ebbe origine la lotta per l’indipendenza fu, come è ben noto, l’imposizione di una serie di dazi doganali: l’intento era di ridurre il deficit finanziario creatosi dopo la guerra dei sette anni. Giungiamo quindi al cuore del problema: perché ciò è un paradosso? La risposta va ricercata negli avvenimenti del secolo precedente, e mi sto riferendo alla guerra civile inglese e alla gloriosa rivoluzione del 1688/89. I coloni si appellavano al principio del NO TAXATION WITHOUT REPRESENTATION, un concetto tutt’altro che nuovo: la contestazione sull’estensione della ship money a tutte le città non era forse dovuta alla mancata convocazione del parlamento da parte di Carlo I? E non fu proprio uno dei risultati conseguiti dalla rivolta la necessità dell’approvazione parlamentare riguardo l’imposizione di nuove tasse? Cito a tal proposito il Bill of Right del 1689, articolo 4:”la raccolta di denaro, ad uso della corona, sotto pretesto di prerogativa, senza la concessione del parlamento, per un periodo più lungo o in modi diversi da quelli da esso fissati, è illegale”; e l’articolo 6:”mantenere un esercito permanente nel regno in tempo di pace, senza il consenso del parlamento, è illegale”. Ho scelto questi due articoli poiché riguardavano l’ambito economico, e hanno quindi maggior attinenza con il problema delle colonie, ma in tutti gli articoli riscontriamo la presenza di un’idea di fondo, che sarebbe la limitazione dei poteri del sovrano ad opera del parlamento, il quale è il rappresentante del popolo. I coloni, però, non erano rappresentati da nessuno e pertanto nasce il paradosso al quale mi riferisco. L’Inghilterra, che aveva lottato per l’affermazione di questo diritto, che aveva basato sulle teorie politiche di John Locke il proprio stato( il filosofo, nella Epistola sulla tolleranza del 1689 così si esprime: ”lo stato è un’associazione di uomini costituito solo in vista del mantenimento e del progresso dei loro interessi civili”), negava tutto questo alle proprie colonie. Se fossimo i personaggi del Don Chisciotte di Cervantes, sicuramente sentiremmo il buon Sancho Panza dire uno dei suoi amati proverbi: ”certo, questi Inglesi … predicano bene e razzolano male”… E il paradosso può essere spinto ancora oltre, poiché il nostro John Locke sancì anche il diritto alla resistenza e alla ribellione in caso di arbitrio del sovrano nei confronti del cittadino: come conseguenza di ciò, la rivoluzione americana trova una piena e autorevole legittimazione sul piano politico – filosofico proprio grazie alla madrepatria inglese. Si può dire che lo stato inglese è stato alquanto incoerente con i propri principi. A conclusione del discorso, vorrei attirare l’attenzione su quel che un acuto osservatore sicuramente avrà già intuito: come sovente accade quando si parla della storia dell’uomo,+Ritengo opportuno, prima di addentrarci nella discussione, fare un piccolo quadro riassuntivo della situazione delle tredici colonie americane nel periodo in questione. Originatesi al principio del seicento dall’emigrazione nel nuovo mondo delle minoranze politiche e religiose, nonché dalla spinta delle compagnie commerciali, ai tempi della rivoluzione occupavano tutta la fascia costiera atlantica. Sia per le colonie del nord, economicamente fondate sull’attività commerciale e l’industria cantieristica, sia per il sud, che basava la propria economia sul lavoro degli schiavi nelle piantagioni, la dipendenza economica dalla madrepatria era molto forte. D’altra parte avevano una notevole autonomia politica; non vi erano quindi i presupposti per far nascere nei coloni un sentimento d’identità nazionale. Il contrasto da cui ebbe origine la lotta per l’indipendenza fu, come è ben noto, l’imposizione di una serie di dazi doganali: l’intento era di ridurre il deficit finanziario creatosi dopo la guerra dei sette anni. Giungiamo quindi al cuore del problema: perché ciò è un paradosso? La risposta va ricercata negli avvenimenti del secolo precedente, e mi sto riferendo alla guerra civile inglese e alla gloriosa rivoluzione del 1688/89. I coloni si appellavano al principio del NO TAXATION WITHOUT REPRESENTATION, un concetto tutt’altro che nuovo: la contestazione sull’estensione della ship money a tutte le città non era forse dovuta alla mancata convocazione del parlamento da parte di Carlo I? E non fu proprio uno dei risultati conseguiti dalla rivolta la necessità dell’approvazione parlamentare riguardo l’imposizione di nuove tasse? Cito a tal proposito il Bill of Right del 1689, articolo 4:”la raccolta di denaro, ad uso della corona, sotto pretesto di prerogativa, senza la concessione del parlamento, per un periodo più lungo o in modi diversi da quelli da esso fissati, è illegale”; e l’articolo 6:”mantenere un esercito permanente nel regno in tempo di pace, senza il consenso del parlamento, è illegale”. Ho scelto questi due articoli poiché riguardavano l’ambito economico, e hanno quindi maggior attinenza con il problema delle colonie, ma in tutti gli articoli riscontriamo la presenza di un’idea di fondo, che sarebbe la limitazione dei poteri del sovrano ad opera del parlamento, il quale è il rappresentante del popolo. I coloni, però, non erano rappresentati da nessuno e pertanto nasce il paradosso al quale mi riferisco. L’Inghilterra, che aveva lottato per l’affermazione di questo diritto, che aveva basato sulle teorie politiche di John Locke il proprio stato( il filosofo, nella Epistola sulla tolleranza del 1689 così si esprime: ”lo stato è un’associazione di uomini costituito solo in vista del mantenimento e del progresso dei loro interessi civili”), negava tutto questo alle proprie colonie. Se fossimo i personaggi del Don Chisciotte di Cervantes, sicuramente sentiremmo il buon Sancho Panza dire uno dei suoi amati proverbi: ”certo, questi Inglesi … predicano bene e razzolano male”… E il paradosso può essere spinto ancora oltre, poiché il nostro John Locke sancì anche il diritto alla resistenza e alla ribellione in caso di arbitrio del sovrano nei confronti del cittadino: come conseguenza di ciò, la rivoluzione americana trova una piena e autorevole legittimazione sul piano politico – filosofico proprio grazie alla madrepatria inglese. Si può dire che lo stato inglese è stato alquanto incoerente con i propri principi. A conclusione del discorso, vorrei attirare l’attenzione su quel che un acuto osservatore sicuramente avrà già intuito: come sovente accade quando si parla della storia dell’uomo,<br />
'''NIHIL SUB SOLE NOVUM (Ecclesiaste, cap. I, 10)'''. '''NIHIL SUB SOLE NOVUM (Ecclesiaste, cap. I, 10)'''.
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''Finito di scrivere il 27 febbraio 2003 alle ore 21.55'' ''Finito di scrivere il 27 febbraio 2003 alle ore 21.55''
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'''“TANTAE MOLIS ERAT HISTORICUM CONDERE SCRIPTUM”''' '''“TANTAE MOLIS ERAT HISTORICUM CONDERE SCRIPTUM”'''

Revisione 20:11, 7 Set 2006

UN CURIOSO PARADOSSO
di
Marco

Alla base della rivoluzione americana vi è un curioso paradosso: l’Inghilterra che nega un diritto per il quale ha lottato aspramente.

Ritengo opportuno, prima di addentrarci nella discussione, fare un piccolo quadro riassuntivo della situazione delle tredici colonie americane nel periodo in questione. Originatesi al principio del seicento dall’emigrazione nel nuovo mondo delle minoranze politiche e religiose, nonché dalla spinta delle compagnie commerciali, ai tempi della rivoluzione occupavano tutta la fascia costiera atlantica. Sia per le colonie del nord, economicamente fondate sull’attività commerciale e l’industria cantieristica, sia per il sud, che basava la propria economia sul lavoro degli schiavi nelle piantagioni, la dipendenza economica dalla madrepatria era molto forte. D’altra parte avevano una notevole autonomia politica; non vi erano quindi i presupposti per far nascere nei coloni un sentimento d’identità nazionale. Il contrasto da cui ebbe origine la lotta per l’indipendenza fu, come è ben noto, l’imposizione di una serie di dazi doganali: l’intento era di ridurre il deficit finanziario creatosi dopo la guerra dei sette anni. Giungiamo quindi al cuore del problema: perché ciò è un paradosso? La risposta va ricercata negli avvenimenti del secolo precedente, e mi sto riferendo alla guerra civile inglese e alla gloriosa rivoluzione del 1688/89. I coloni si appellavano al principio del NO TAXATION WITHOUT REPRESENTATION, un concetto tutt’altro che nuovo: la contestazione sull’estensione della ship money a tutte le città non era forse dovuta alla mancata convocazione del parlamento da parte di Carlo I? E non fu proprio uno dei risultati conseguiti dalla rivolta la necessità dell’approvazione parlamentare riguardo l’imposizione di nuove tasse? Cito a tal proposito il Bill of Right del 1689, articolo 4:”la raccolta di denaro, ad uso della corona, sotto pretesto di prerogativa, senza la concessione del parlamento, per un periodo più lungo o in modi diversi da quelli da esso fissati, è illegale”; e l’articolo 6:”mantenere un esercito permanente nel regno in tempo di pace, senza il consenso del parlamento, è illegale”. Ho scelto questi due articoli poiché riguardavano l’ambito economico, e hanno quindi maggior attinenza con il problema delle colonie, ma in tutti gli articoli riscontriamo la presenza di un’idea di fondo, che sarebbe la limitazione dei poteri del sovrano ad opera del parlamento, il quale è il rappresentante del popolo. I coloni, però, non erano rappresentati da nessuno e pertanto nasce il paradosso al quale mi riferisco. L’Inghilterra, che aveva lottato per l’affermazione di questo diritto, che aveva basato sulle teorie politiche di John Locke il proprio stato( il filosofo, nella Epistola sulla tolleranza del 1689 così si esprime: ”lo stato è un’associazione di uomini costituito solo in vista del mantenimento e del progresso dei loro interessi civili”), negava tutto questo alle proprie colonie. Se fossimo i personaggi del Don Chisciotte di Cervantes, sicuramente sentiremmo il buon Sancho Panza dire uno dei suoi amati proverbi: ”certo, questi Inglesi … predicano bene e razzolano male”… E il paradosso può essere spinto ancora oltre, poiché il nostro John Locke sancì anche il diritto alla resistenza e alla ribellione in caso di arbitrio del sovrano nei confronti del cittadino: come conseguenza di ciò, la rivoluzione americana trova una piena e autorevole legittimazione sul piano politico – filosofico proprio grazie alla madrepatria inglese. Si può dire che lo stato inglese è stato alquanto incoerente con i propri principi. A conclusione del discorso, vorrei attirare l’attenzione su quel che un acuto osservatore sicuramente avrà già intuito: come sovente accade quando si parla della storia dell’uomo,
NIHIL SUB SOLE NOVUM (Ecclesiaste, cap. I, 10).

Finito di scrivere il 27 febbraio 2003 alle ore 21.55

“TANTAE MOLIS ERAT HISTORICUM CONDERE SCRIPTUM”

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