Teocrito

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TEOCRITO (310 – 250/240 a.C.)

Sulla vita di Teocrito abbiamo poche e confuse notizie: sappiamo con sicurezza di un certo periodo trascorso nell'isoletta di Cos, di un altro nella città natale di Siracusa e di un altro ancora in Alessandria.

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Vita

Teocrito nacque a Siracusa verso il 310 a.C.; forse i primi anni e le prime esperienze poetiche le visse a Cos che, oltre ad essere centro di una famosa scuola medica, fu sede anche di un cenacolo letterario fra i cui membri vi fu appunto il giovane Teocrito e l’epigrammista Asclepiade di Samo. Dopo questo periodo probabilmente tornò in patria e verso il 275 a.C. indirizzò a Gerone, signore della città, un carme intitolato "Le Cariti" e cioè le Grazie. Questo non è proprio un vile encomio, ma ha lo scopo di ingraziarsi il sovrano; non sembra tuttavia che la cosa riuscì. Qualche anno dopo, infatti, il poeta, stabilitosi in Alessandria e fatta amicizia con Callimaco di cui aveva sposato gli ideali letterari, indirizzò un analogo carme a Tolomeo. Questo lavoro fu bassamente encomiastico e si intitolava "Encomio a Tolomeo". Il poeta frequentò l'ambiente di corte grazie a questo carme o grazie all'amicizia di Callimaco.
Nulla di sicuro sulla sua morte avvenuta ad Alessandria o a Cos tra il 250-240 a.C..

Opere

Anche Teocrito, come i poeti del suo tempo, scrisse composizioni dagli argomenti più svariati; a noi ci è giunta solo una raccolta di una parte di queste composizioni: i cosiddetti "Idilli". Alcuni spiegano questo termine come un poemetto genericamente agreste; altri, più correttamente, tenendo presente che "eidullìon" è il diminutivo di "ejdos" che significa anche componimento poetico, hanno pensato che idillio significhi breve componimento poetico senza alcun riferimento all'argomento.

Di Teocrito abbiamo gli Idilli (30) ed una ventina di epigrammi (25) che però non sono all'altezza dei primi. Dei 30 idilli se ne contestano ben 8 e si è propensi ad attribuirne la paternità certa solo a 21 che, per comodità, possiamo così suddividere:

- 8 carmi bucolici:

essi, come sappiamo, influenzarono anche Virgilio. La parola deriva da bùcolos = pastore: si tratta di scenette di vita agreste. Teocrito in questi idilli si ispira a composizioni tipiche della Sicilia e la tradizione vuole, infatti, che anche Stesicoro abbia composto carmi bucolici e se ne faceva risalire l'origine a Dafni, mitico pastore siciliano.

- 3 mimi:

la parola mimo deriva da mimeomai (imitare) e perciò il mimo deve essere imitazione della vita quotidiana. I tre mimi sono: L'amore di Cinisca, Le Siracusane, Le incantatrici.

- 4 epilli:

poemetti dalla cornice epica; ma in essi si nota che a mettersi in luce, in fin dei conti, è un piccolo mondo borghese.

- 4 carmi lirici:

scritti in dialetto eolico invece del dialetto dorico degli idilli.

- 2 carmi encomiastici:

"Le Cariti" (a Gerone) ed "Encomio a Tolomeo".

CARMI E MIMI

Non esamineremo questi ultimi tre tipi di idilli perché non sono né i migliori, né i più rappresentativi. Incominciamo con i carmi bucolici ed esaminiamo i più noti:

"I mietitori"

La scena avviene in un campo di grano dove due contadini stanno mietendo. Ad un certo punto uno di essi, Milone, s'accorge che il compagno Buceo lavora fiaccamente. Quest'ultimo gli dice che è innamorato di Bambica e Milone lo prende in giro: così al canto d'amore di Buceo si contrappone quello del lavoro di Milone. Il carme è perfetto; l'amore, tema preferito di Teocrito, è presentato con smaliziata ironia ed il lavoro si presta pur esso al gioco. Nulla di teso nei due amori ed entrambi fanno riserve sull'oggetto della loro passione.

"Il Ciclope"

C'è poi "Il Ciclope", carme diretto ad un suo amico conosciuto a Cos, Nicia afflitto dall'amore. Teocrito cerca di aiutarlo e gli dice che solo il canto può sanare le ferite amorose. E gli fa l'esempio di Polifemo, innamorato e respinto da Galatea, che con il canto mitigò le sofferenze amorose.

Carmi figurativi

Di Teocrito abbiamo anche i carmi figurativi nei quali i versi erano disposti in modo da rappresentare l'oggetto descritto (ad esempio "La siringa", che era un oggetto musicale).

"L'amore di Cinisca"

Passiamo a "L'amore di Cinisca", un mimo. Due sono i personaggi principali: Dionico incontra Eschine e trovandolo abbattuto fisicamente e moralmente, gli chiede cosa sia successo. Presto detto: tempo prima, Eschine, la sua amata Cinisca ed alcuni amici avevano pranzato insieme. Al momento del brindisi, quando si doveva dire il nome della persona per cui si brindava, Cinisca era stata zitta. Questo aveva destato stupore in quanto tutti avevano pensato che la ragazza avrebbe pronunziato il nome di Eschine. Alcuni che sapevano il motivo, avevano cominciato a fare battute a doppio senso, dicendo: "Ma hai visto il lupo?". Il doppio senso consisteva nel fatto che era credenza che chi avesse visto un lupo restasse muto, ma Lupo era anche il nome del ragazzo di cui si era innamorata Cinisca. Eschine non capisce, mentre la ragazza arrossisce sempre di più. Alla fine un commensale suo amico chiarisce la cosa ad Eschine che schiaffeggia violentemente la ragazza che fugge via senza farsi più rivedere, anzi va a vivere con il giovane che ama. Ecco spiegato il dolore di Eschine; anzi quest'ultimo ha deciso di fare il mercenario.
Qui si innesta un leggero motivo adulatorio in quanto Dionico consiglia all'amico di arruolarsi nell'esercito di Tolomeo, il sovrano più grande e più buono che esista.

"Le Siracusane"

Il mimo "Le Siracusane" è tra le più rappresentative ed importanti composizioni di Teocrito: ci sono addirittura tre scene diverse. L'argomento è questo: ci sono due amiche siracusane, Prassinoe e Gorgone, che abitano ad Alessandria; quest'ultima si reca a casa di Prassinoe per accompagnarsi con lei alla festa di Adone. La prima scena avviene in casa di Prassinoe: le due donne chiacchierano di varie cose e criticano i propri mariti perché hanno comprato le proprie case tanto distanti. Alla fine escono ed inizia la seconda scena che si svolge in strada, durante il tragitto per giungere alla reggia di Tolomeo. Anche qui il realismo è caratteristico dell'opera teocritea ed infatti viene descritta la grande folla, e le difficoltà che le donne incontrano nel procedere, gli spintoni che ricevono ed ai quali rispondono con sonori rimproveri. La terza scena si svolge nel palazzo di Tolomeo dove le due donne non fanno altro che apprezzare le numerose bellezze. Hanno anche un diverbio con un forestiero seccato dal loro continuo ciarlare: Prassinoe gli risponde per le rime. Incomincia poi la festa ed una cantante intona il canto di Adone. La festa riesce in pieno e Gorgone va in visibilio, ma poi si ricorda che il marito è rimasto a stomaco vuoto e corre a casa a preparargli la cena.

Nelle prime due scene emergono elementi realistici, frutto di abile osservazione psicologica e di rappresentazioni ben intonate all'ambiente di quelle borghesucce siracusane. Nell'ultima scena il contrasto fra l'ambiente di corte e la meschinità di quell'umanità comune è fonte di comicità, ma lo splendore della reggia e il canto annientano questo contrasto attraendo le due donne in un mondo di sogno. Non appena l'incanto finisce, le necessità più elementari della vita impongono ad esse un brusco risveglio e il mimo finisce, dopo questa parentesi di piacevole estasi, con la ripresa del motivo fondamentale.


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