Sofocle

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SOFOCLE (Colono 497 o 496-Atene 406 a. C.)

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La vita

Di ricca famiglia, Sofocle poté avere un'educazione accuratissima in ogni campo; per la musica ebbe come maestro il celebre Lampro. La tradizione vuole che nel 480 a.C. fosse scelto per la sua bellezza e per la sua bravura a capeggiare il coro dei giovani che cantarono il peana per la vittoria di Salamina. Vinse il primo concorso tragico nel 468, battendo Eschilo, poeta più volte vittorioso e non certo alla fine della carriera. Da allora Sofocle ottenne sempre molto successo pur dovendo fronteggiare ancora Eschilo.

Dalla prima moglie, Nicostrata, ebbe due figli e un altro dalla seconda. Prese parte alla vita politica di Atene, che allora stava costituendo il suo impero marittimo e conosceva lo splendore di tutte le arti. Nel 443-442 fu tesoriere della confederazione attica, e per due volte fu eletto stratego: nel 440, con Pericle, partecipando alla soppressione della rivolta di Samo, e nel 427 con Nicia; nel 413 fu uno dei probuli incaricati di preparare, dopo l'esito disastroso della spedizione contro Siracusa, una nuova costituzione oligarchica. Spirito profondamente religioso, attese in particolare al culto di Asclepio, per il quale scrisse un peana. Durante la peste del 430-427 a.C., accolse in casa sua la statua di questa divinità, in attesa che fosse collocata nel tempio: per questo motivo, dopo la morte venne a sua volta venerato dagli Ateniesi come un eroe, col titolo di Dessione (Ospite).

Sofocle godette dell’amicizia di eminenti personalità del suo tempo come Pericle, Erodono e il filosofo Archelao. Il poeta è descritto come un uomo retto e fortunato anche nella morte, che lo raggiunse novantenne, nel 406 a.C., risparmiandolo dalle sventure conseguenti alla sconfitta di Atene nella guerra peloponnesiaca.

Molti aneddoti infiorarono la sua biografia. Tra questi, famoso è quello del processo intentatogli dal figlio Iofonte. Costui citò in giudizio il vecchio padre, accusandolo di incapacità senile e quindi di non saper amministrare i beni di famiglia. Sofocle per difendersi si limitò a recitare, senza nessuna incertezza, un coro dell’Edipo a Colono, la tragedia che proprio in quei giorni stava componendo. La richiesta del figlio fu respinta.

La morte

Anche sulla di Sofocle morte fiorirono leggende. Secondo una di queste, il poeta morì soffocato da un acino d'uva che egli aveva lanciato in aria e riacchiappato in bocca. Altri ritengono che soffocasse per lo sforzo compiuto declamando un lungo brano dell'Antigone o per la gioia di una vittoria teatrale.

In ogni modo certo è che morì ad Atene nel 406 a.C..

Le opere

La tradizione gli attribuisce la composizione di 123 drammi e la conquista di 24 vittorie nei concorsi teatrali, il che porta a 96 le sue opere vittoriose (24 tetralogie). Ancora nel secolo IV la sua memoria era viva presso gli Ateniesi, che su iniziativa dell'oratore Licurgo posero una sua statua nel teatro di Dioniso.

Si possiedono di lui 7 tragedie, come per Eschilo, conservate in un'antologia composta durante l'età bizantina: Antigone, Aiace, Edipo Re, Elettra, Trachinie, Filottete, Edipo a Colono. Un papiro egiziano pubblicato nel 1912 ha consentito, inoltre, la lettura di una metà di un dramma satiresco, gli Ichneutai (i Cercatori di orme o i Segugi). Si hanno poi, per tradizione indiretta o per la scoperta di papiri, parecchi frammenti di un centinaio di altri drammi. Gli antichi conoscevano di lui anche poesie liriche e un'opera in prosa, Sul coro, di argomento teatrale. Le principali innovazioni apportate da Sofocle nella forma della tragedia furono la rottura della trilogia in tre tragedie di soggetto anche disparato, con diminuzione delle parti corali e un ritmo di sviluppo più rapido; l'aumento del numero dei componenti del coro da 12 a 15 e l'introduzione di un terzo attore. Anche quest'ultimo fatto si spiega con l'interesse di Sofocle per lo svolgimento dell'azione, anziché darne un commento esplicito o enunciare sentenze religiose e morali, come avviene più spesso in Eschilo. Eppure l'accentuazione della drammaticità scenica non nocque alla solennità religiosa dell'intervento del coro e tanto meno al valore delle parti corali, che in alcuni casi, come nell'ode a Colono dell'Edipo a Colono, raggiungono una straordinaria bellezza. Naturalmente tutte queste innovazioni fecero progredire la tecnica dialogica, che si giovò anche dello sviluppo della retorica, caratteristico degli anni di maggior attività del poeta. Anche con l'aiuto di questi elementi di sviluppo nella tecnica teatrale è possibile determinare abbastanza sicuramente la successione delle 7 tragedie superstiti di Sofocle. L'Aiace è la più antica, con la follia di Aiace Telamonio per essere stato defraudato del premio delle armi di Achille, e il suo suicidio quando si ravvede. Nel 468 rappresentò il Trittolemo (opera perduta).

Segue l'Antigone, da collocare probabilmente nel 441, poiché si vuole che la nomina di Sofocle a stratego nel 440 fosse frutto del successo di quest'opera: vi è rappresentata la sepoltura, nonostante il divieto di Creonte, del cadavere di Polinice, per ubbidienza alle superiori leggi della pietà umana, da parte della sorella e la condanna a morte di questa. In un anno poco anteriore al 430 va probabilmente collocato l'Edipo re, forse la tragedia più famosa di tutta l'antichità, giudicata perfetta da Aristotele. Questa tragedia narra il mito di Edipo, che, dopo aver inconsciamente ucciso il padre, sposa la madre e, avuti da lei alcuni figli (Eteocle, Polinice, Antigone, Ismene), scopre lentamente la sua vera identità e per orrore si acceca.

Segue, forse, le Trachinie, dramma dapprima di Deianira, moglie di Eracle, che per riportarlo a se ne provoca la morte, e quindi si uccide; poi di Eracle stesso, che muore fra i tormenti. Il titolo deriva “dalle donne di Trachis”, compagne di Deianira, che costituiscono il coro. Nel penultimo decennio del secolo è da porre l'Elettra, che riprende le Coefore di Eschilo, col mito della figlia di Agamennone che accoglie il fratello Oreste e lo sostiene nell'uccisione della madre Clitennestra e di Egisto. Del Filottete si sa che fu rappresentato nel 409. Questa tragedia svolge la vicenda di Filottete, l’eroe greco prima abbandonato dai Greci nel viaggio a Troia e poi da loro ricercato e lusingato in quanto possessore delle frecce di Eracle, uniche armi capaci di far crollare la città nemica. Abbiamo, infine, l'Edipo a Colono, rappresentato dopo la morte del poeta, nel 401, a cura del nipote Sofocle, con la fine della storia di Edipo: l'eroe, ormai vecchio, giunge in compagnia di Antigone a Colono e là scompare in un bosco sacro. In queste opere (Aiace, Antigone, Trachinie) la struttura si articola talora in due parti distinte, con il compimento prima del destino del protagonista e poi le sue conseguenze; talora, invece, è più unitaria, con l'esposizione continua del fato dell'eroe. Nell'un caso come nell'altro la storia si svolge però con la maggiore concentrazione e senza elementi non necessari.

Giudizio

Sofocle si appunta sul personaggio e sulla sua vicenda, seguendone soprattutto gli aspetti umani e le implicazioni ideali; discute problemi vivi nel suo tempo (il valore delle leggi, il destino, la giustizia divina, il rapporto colpa-pena, la responsabilità umana), senza però concedere esplicitamente nulla a fatti contemporanei; il suo interesse si volge soprattutto alla rappresentazione di caratteri nobili, posti di fronte a situazioni e a sofferenze terribili. Le pene che essi subiscono, per qualche loro fallo non a esse proporzionato o per qualche implicazione fatale, mettono in evidenza la loro magnanimità. L'elemento religioso è presente nelle vicende; divinità, oracoli, fato vi intervengono, ma non col peso e la suggestione che essi hanno in Eschilo.

Pessimista nel vedere il male come parte integrante della vita e non sempre del tutto meritato, Sofocle esalta anche la grandezza dell'uomo che lo supera e afferma il proprio valore. L'impressione della tragedia sofoclea è dunque quella di una grande dignità, di un dramma sconvolgente, ma mai meschino o turpe e, alla fine, pacificato. Un alone di compostezza e serenità, specie a confronto con gli altri tragici, si stende sulle sue opere, anche le più terribili, come l'Aiace e l'Edipo re. Vi concorre un'espressione chiara, elegante senza eccessive ricercatezze; una lingua letteraria ma non astrusa, molto dignitosa e proporzionata alla statura dei personaggi. Anche nella lingua si rivela la sua ispirazione omerica, come ad Omero Sofocle può essere paragonato nella caratterizzazione dei personaggi. Per tutto ciò egli fu sempre considerato il sommo tragico greco, ormai lontano dall'arcaicità e passionalità sconvolgente di Eschilo, come dall'eccessiva complicazione romanzesca e umanizzazione di Euripide; meno vario, però, e meno ricco del primo, più rigido nelle sue idealizzazioni del secondo.

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