Seneca

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LUCIO ANNEO SENECA (4 a.C. – Roma 65 d.C.)

Table of contents

La vita

Lucio Anneo Seneca nacque a Cordoba in Spagna nel 4 a.C. da Lucio Anneo Seneca il Retore e da Elvia. Secondo di tre figli, fu educato a Roma alla scuola del padre. Manifestò interesse sia per la poesia e l'eloquenza sia per la filosofia e le scienze e ricevette un’accurata educazione grammaticale e di retorica. Ebbe modo di conoscere e frequentare personaggi allora molto famosi come il retore Papirio Fabiano ed i filosofi Attalo, della scuola stoica, Demetrio dei cinici ed il pitagorico Sozione. Affascinato dalle pratiche ascetiche, il giovane Seneca si ammalò e fu costretto ad interrompere gli studi.
Verso il 16 d.C. (o forse nel 19) Seneca si recò in Egitto presso una zia materna, ma la sua malattia si aggravò al punto da costringerlo a trascurare gli studi. Verso il 31 tornò a Roma ed iniziò la carriera oratoria e quella politica, ottenendo la questura ed entrando nel Senato. Quando nel 37 diventò imperatore Caligola, Seneca rischiò di essere messo a morte. Si tramanda, infatti, che l’imperatore, avendolo udito mentre parlava nel Senato, geloso ed invidioso della sua eloquenza, avesse deciso di eliminarlo. Sembra, però, che una cortigiana convinse Caligola a lasciare in vita Seneca poiché, a causa della sua pessima saluta, quello non sarebbe rimasto a lungo in vita. In questo periodo probabilmente scrisse la “Consolatio ad Marciam”.
Anche sotto Claudio, Lucio Anneo Seneca cadde immediatamente in disgrazia. Nel 41, lo stesso anno in cui Claudio fu proclamato imperatore, il filosofo fu implicato in uno scandalo di corte: accusato dall’imperatrice Messalina, fu coinvolto in un processo di adulterio contro Giulia Livilla, sorella di Caligola, e relegato in Corsica. Seneca mal sopportò l'esilio, che durò fino al 49. Egli aveva già perso un figlioletto appena nato e la prima moglie. Si diede così a scritti filosofici, riprendendo la forma della “consolatio” che aveva impiegato qualche anno prima rivolgendosi a Marcia, figlia di Cremuzio Cordo, cui era morto un figlio. Indirizzò una “Consolatio ad Helviam matrem”, scrisse alcuni trattati e brevi poesie e poi la “Consolatio ad Polybium”, potente liberto di Claudio, per consolarlo della perdita del fratello, ma anche per chiedere la sua intercessione presso l'imperatore. Il ritorno a Roma avvenne nel 49, scomparsa ormai Messalina, e per intervento di Agrippina Minore, seconda moglie di Claudio, che si appoggiò a Seneca per favorire la successione al trono del proprio figlio Nerone, a danno di Britannico, figlio di Claudio e Messalina. Nerone, dodicenne, fu affidato alle cure del filosofo cosicché quando nel 54 Claudio fu assassinato, Seneca si trovò a essere il consigliere del giovane sovrano, insieme ad Afranio Burro, altro insigne personaggio del momento. In quegli anni indirizzò a Nerone alcuni dei suoi maggiori trattati, propugnando una monarchia illuminata e conciliatrice dei vari organi e ceti dello Stato; altri ne scrisse su diversi temi etici. Ben presto, però, la situazione si aggravò. Nerone compì una serie di delitti, fra cui l'uccisione di Britannico e della madre, che coinvolsero in vario modo anche Seneca. Più tardi avvenne il ripudio e poi l'uccisione di sua moglie Ottavia. Seneca fu messo in cattiva luce presso l'imperatore: fu accusato di ammassare ricchezze e la sua influenza diminuì rapidamente, anche in seguito alla scomparsa di Burro, sostituito con Tigellino. All'incirca in quell'anno (62) il filosofo si ritirò a vita privata e attese ad altri suoi scritti.
Seneca morì a Roma nel 65.
Essendo stato sospettato di avere preso parte alla congiura antineroniana dei Pisoni, fu accomunato nella loro condanna e ricevette l'ingiunzione di uccidersi. Seneca ottemperò fermamente all’ingiunzione dando ordine che gli fossero recise le vene e bevendo infine la cicuta. Anche la seconda moglie, Pompea Paolina, cercò di imitarlo, ma fu salvata.

Le opere

Le opere di Seneca giunte fino a noi (parecchie andarono perdute) sono il gruppo dei cosiddetti "Dialoghi", che comprende le tre Consolazioni e i trattati filosofici e morali: "De providentia", dedicato a Lucilio, col concetto che la sofferenza del giusto è provvidenziale e solo apparente; "De constantia sapientis", riguardante l'impassibilità di chi aderisce alla saggezza stoica; "De ira", dedicato al fratello Novato, sulla natura, vanità e cura dell'ira; De vita beata, esposizione della teoria stoica della felicità, anch'essa dedicata al fratello; De otio, che spiega e giustifica il ritiro dello stoico dalla vita pubblica; “De tranquillitate animi”, che disputa sulle inquietudini dell'uomo in preda al vizio; De brevitate vitae, invito a impiegare intensamente il tempo della vita, che così sarà abbastanza lunga per ognuno di noi. Al di fuori dei Dialoghi stanno il "De clementia", diretto probabilmente a Nerone all'inizio del suo regno, sull'opportunità per il governante di essere misericordioso; il "De beneficiis", discorso non sistematico sulla generosità e sul bene da fare agli altri; le “Naturales quaestiones”, grosso trattato in 7 libri, scritto negli ultimi anni e dedicato a Lucilio, sulla geografia, astronomia e meteorologia. Abbiamo, infine, 124 lettere (Epistulae morales ad Lucilium), in cui Seneca indirizza all'amico Lucilio svariati consigli di vita pratica e di atteggiamenti interiori, come un direttore di coscienza che si rivolge al proprio discepolo. Queste epistole sono lo scritto più vivo e interessante di Seneca, sia per la varietà dei temi sia per l'immediatezza del discorso.
Vivace la sua produzione poetica: oltre agli epigrammi, scrisse un “Ludus de morte Claudii”, o "Apocolocynthosis", satira dell'imperatore scritta dopo la sua morte in versi e prosa, che narra parodisticamente la "zucchificazione" (apocolocynthosis) anziché la divinizzazione (apothessis) del defunto imperatore; e 9 tragedie: “Hercules furens”, “Thyestes”, “Phoenissae”, “Phaedra”, “Oedipus”, “Troades”, “Medea”, “Agamennon”, “Hercules Oetaeus”. Queste ultime sono le uniche tragedie di tutta la letteratura latina a noi giunte per intero e vennero scritte soprattutto nella seconda metà della vita del loro autore. Trattano di preferenza i miti più foschi e cruenti del teatro greco, cui si ispirano, accentuandone ancora gli aspetti orridi, per cui andarono famose e vennero recitate o solo lette. È attribuita a Seneca anche una decima tragedia, "Octavia", di incerto autore, che narra la fine della moglie di Nerone e presenta in scena, come personaggio, lo stesso Seneca.

Giudizio

Il giudizio sul personaggio di Seneca non è facile. Si riscontra da un lato l'entusiastica ammirazione per le sue qualità intellettuali, per la vasta umanità, per il suo atteggiamento verso la vita e l'uomo; d'altra parte si sottolinea la sua condotta tollerante, quando non addirittura ossequiente verso un tiranno sanguinario, l'avidità di ricchezze e di onori e insomma una discordanza profonda tra la sua predicazione morale e la sua condotta. Certo Seneca è tra le figure più interessanti dell'antichità. Appartenente alla "nuova stoà", di cui era stato fondatore Panezio, Seneca ha portato nella speculazione stoica il segno distintivo del suo carattere, sempre ondeggiante fra un pessimismo radicale e l'esigenza (mai realizzata) di mettersi come autentico saggio stoico al di sopra di ottimismo e pessimismo per dominare gli eventi: di qui l'inconciliabilità fra due tendenze opposte, l'una che lo vorrebbe portare all'umanitarismo e l'altra che lo farebbe volgere all'aristocraticismo. Della stessa natura fu in lui l'incertezza fra un razionalismo, che chiudeva all'uomo ogni via mistica, e un irrazionalismo, che all'ascetismo tendeva con tormentato slancio. Le sue dure parole contro il corpo e la vita corporea come "peso e condanna dell'animo" sono una prova dell'ascetismo presente in lui come aspirazione e tale d'attribuire parvenza di vero alla favola della sua conversione al cristianesimo e addirittura a un suo carteggio con l'apostolo Paolo. Questo è almeno inverosimile perché la morale cristiana cerca la salvezza dell'anima, mentre quella stoica vuole raggiungere la serenità dello spirito. È però vero che nella ricerca etica di Seneca esiste un elemento nuovo, sconosciuto allo stoicismo anteriore: una religiosità che vorrebbe permeare di si il razionalismo e che non potendo trovare un comune ubi consistam, s'avvolge in contraddizioni tipiche a ogni filosofia in crisi. E in crisi era infatti non solo Seneca, ma tutto lo stoicismo romano. Seneca fu certo uno dei testimoni del turbamento delle coscienze e dell'evoluzione interiore della società nel periodo cruciale della crisi neroniana e uno degli anticipatori più precoci della grande crisi politica e morale che investì a poco a poco, a partire dal secolo seguente, tutto il mondo antico. Il suo stile è pure una novità nell'ampio e armonioso periodare latino: secondo un nuovo tipo di retorica e seguendo i diversi moti dell'animo, il suo discorso si svolge mobile, rapido, a brevi frasi illuminanti con frequenti sentenze e varietà di costrutti.

Fortuna

L'importanza di Seneca nella letteratura latina imperiale è enorme, per il nuovo indirizzo stilistico, per l'ampliamento delle indagini psicologiche da lui operato, e per l'apertura sociale. La sua fama fu ancora più grande nel Medioevo, ma soprattutto il barocco lo ammirò come maestro di stile.

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