Polibio

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POLIBIO (201 - 120 a.C.)

Table of contents

La vita

Polibio era un aristocratico di Megalopoli dove nacque nel 201 a.C.. Suo padre Licorta era stratega della lega achea (di fazione anti-romana, in quel tempo più forte) la quale raggiunse una discreta potenza e cercò di resistere alla Macedonia. Dal genitore Polibio ereditò la passione per la vita politica: fu ambasciatore in Egitto nel 181-180 a.C. e nel 169-168 divenne il comandante della cavalleria achea. Nel 168 a.C. ci fu la battaglia di Pidna tra Perseo ed i Romani; la lega achea si mantenne neutrale, ma mostrò una certa benevolenza verso il primo. Sconfitto Perseo, all'interno della lega la fazione filo-romana prese il sopravvento, ma i Romani, per maggiore sicurezza, chiesero ostaggi ai Greci e così più di mille esponenti degli oppositori dei Romani furono portati in Italia: tra questi c’era proprio il nostro storico.
Gli ostaggi, ovviamente, non furono tenuti in carcere, ma trattati come personalità di riguardo ed ospitati nelle case di eminenti cittadini. Polibio capitò in casa del console Emilio Paolo con il quale contrasse amicizia (come con molti altri uomini insigni del tempo). In seguito, lo storico abbandonò la sua originaria posizione politica, divenne filo-romano e fece parte del circolo degli Scipioni cui appartennero anche Terenzio e Lucilio. Divenuto amico di Scipione Emiliano, sotto i suoi auspici Polibio iniziò la composizione della sua opera storica. Verso il 150 a.C. il Senato diede il permesso agli ostaggi di ritornare in patria ed anche Polibio vi fece ritorno. Il suo cuore rimase a Roma. Volle assistere di persona alle imprese salienti del suo amico, infatti fu presente alla distruzione di Cartagine, a quella di Corinto ed alla presa di Numanzia: vide, dunque, quello che aveva previsto e cioè l'ascesa di Roma. Morì a 81 anni, nel 120 a.C., per una caduta dal cavallo.

Le opere

Al di là di alcune operette minori, tutte perdute, Polibio scrisse la “Storia Universale”, in 40 libri di cui ce ne rimangono 5 completi e pochi frammenti; egli vuole continuare l'opera di Timeo, parte dal 248 a.C. ed arriva al 144 a.C.: tutta l'ascesa dei Romani. Nei primi due libri da un riassunto dei fatti precedenti e precisamente: nel 1° parla brevemente degli avvenimenti anteriori al 248 per poi trattare la 1ª Guerra Punica. Nel 2° parla dei rapporti romani con i Paesi confinanti all'Italia; nel 3°, 4° e 5° libro narra la 2ª Guerra Punica. Gli altri continuavano il racconto, ma alcuni costituiscono ampie digressioni, come il 6° sulla costituzione romana, il 12° che è una critica a Timeo ed il 34° che parla dei paesi del Mediterraneo conquistati dai Romani.

Stile

Polibio è il principale seguace della tendenza filologica. Egli pensa giustamente che il vero storico non deve “perdersi in chiacchiere” e, soprattutto, non deve badare esclusivamente al diletto dei suoi lettori. Per questo motivo sono banditi i discorsi e gli altri abbellimenti retorici al punto che l'opera è delle più spoglie e incolori letterariamente, con stile impacciato e pesante. In Polibio anche la freschezza della scrittura greca è tramontata per sempre, ma è nato un nuovo, moderno modo di fare la storia come scienza.
Secondo Polibio lo storico deve presentare i fatti criticamente ed esattamente, in modo che il politico, guardando il passato, può capire e cercare di vedere nel futuro. Per lui è sciocco fare della storia particolare; questa deve essere universale, cioè deve essere la trattazione dei fatti nel loro sviluppo e nel quadro completo dei sentimenti, degli ordinamenti e della mentalità politica di un popolo. Così egli fa la storia universale di tutti i popoli civili e come filo conduttore sceglie Roma.

Giudizio

Polibio è il primo che riesce ad inquadrare un avvenimento nei precedenti che lo hanno determinato e che vede in ogni fatto tutte le cause. Di ogni avvenimento egli dà più cause: una causa remota (o aitìa), una causa apparente (o pròfasis) ed il pretesto (o archè). Questo storico concepisce, poi, la cosiddetta Anaciclosi, cioè il passaggio fisso da una forma di governo all'altra. Dice che la grandezza o la decadenza di uno stato dipende dalla costituzione, dalla forma di governo. Così prende in esame le varie forme di governo fin dall'origine e ne scopre tre: monarchica, aristocratica e democratica, ma nessuna di queste è perfetta. In origine, infatti, c'era la monarchia che, in sé, non avrebbe nulla di male se il re fosse sempre assennato; il grave difetto di questa è costituito dal fatto che essa è ereditaria e non sempre il figlio è degno del padre. Quindi, salendo sul trono un re indegno, si finisce che i “migliori” detronizzano il sovrano ed instaurano un loro governo. Così facendo, però, avviene lo stesso che per la monarchia ed allora il popolo, ribellatosi, abbatte il governo ed ne instaura uno di tipo democratico. Si corre, ora, il rischio di giungere all'anarchia ed al caos ed un uomo ne approfitterà per assumere il potere e diventare re … ed il ciclo riprende.
In seguito questa teoria verrà ripresa dal Machiavelli.
Secondo Polibio nessuna di tali forme di governo, è, dunque, perfetta, né sopravvivrà a lungo: unica salvezza per uno stato è quella mista che, fino a quel momento, si erano avute, anche se in forma imperfetta, a Sparta ed a Cartagine. Perfetta è solo quella romana: i consoli sono come i re, ma essi devono ascoltare il senato che rappresenta l'aristocrazia ed il senato è soggetto al popolo rappresentato dai tribuni della plebe.
Secondo alcuni storici ci sarebbe una grossa imperfezione nel ragionamento dello storico: Polibio riconosce che tutto ciò che è dell'uomo è destinato a cadere; d'altra parte, però, se la costituzione mista è perfetta, essa dovrebbe assicurare potere perenne. Ci troviamo di fronte ad un inghippo logico: come risolverlo? Bisogna, al riguardo, ricordare che Polibio è pur sempre un aristocratico ed egli stesso dice che, col popolo al potere, anche Roma cadrà ... La città eterna, però, è doveroso ricordarlo, non cadrà con il popolo al potere, ma con gli imperatori.
Riguardo a questo grande storico ci viene da chiedere: "Egli crede in qualcosa? Ha un senso morale?". Polibio è molto pessimista ed afferma che il politico deve avere una morale diversa dalla persona normale: è bene tutto ciò che torna utile al proprio popolo (concezione che ritroveremo ancora una volta in Machiavelli). A proposito della religione, egli afferma che essa è uno strumento nelle mani del potere per tenere a freno il popolo e, quindi, egli non crede agli dei, ma era seguace dell'evemerismo, cioè di quella dottrina che vuole gli dei niente altro che uomini antichissimi benemeriti. Oggi, comunque, si crede piuttosto il contrario e si ritiene che gli eroi erano delle divinità scadute agli occhi del popolo sotto l'incalzare di nuovi dei.
Oggi quasi tutti gli storici lo riconoscono come grande storico, almeno per le affermazioni che ha fatto a quei tempi.

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