Ortensio Ortalo

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Quinto Ortensio Ortalo nacque nel 114 a.C.. Prese parte alla vita pubblica percorrendo tutto il “cursum honorum” raggiungendo il consolato nel 69 a.C.. Egli, però, è conosciuto soprattutto perché fu spesso rivale forense di Cicerone, di cui era anche ottimo amico. Campione dell’eloquenza asiana, fastosa ed esuberante, Ortensio esercitò l’avvocatura per oltre 40 anni; quando Cicerone iniziò l’attività forense, infatti, egli era già all’apice della propria. I due si trovarono di fronte per la prima volta nell’81 a.C. in un processo per una questione patrimoniale tra uno sconosciuto Publio Quinzio (difeso da Cicerone) ed un potente Nevio (difeso da Ortensio Ortalo), ma soprattutto si scontrarono nel ben più famoso processo di Verre (70 a.C.), dove Ortensio assunse la difesa dell’imputato e Cicerone sostenne l’accusa. Nel 63, invece, i due assunsero la difesa di Gaio Rabirio accusato di perduellione da Labieno. Nell’occasione Ortensio svolse la difesa in linea di fatto, dimostrando l’assoluta estraneità di Rabirio al reato, mentre Cicerone si preoccupò di affrontare il problema in linea di diritto. Per la cronaca, Rabirio uscì salvo dal processo. Quinto Ortensio Ortalo nacque nel 114 a.C.. Prese parte alla vita pubblica percorrendo tutto il “cursum honorum” raggiungendo il consolato nel 69 a.C.. Egli, però, è conosciuto soprattutto perché fu spesso rivale forense di Cicerone, di cui era anche ottimo amico. Campione dell’eloquenza asiana, fastosa ed esuberante, Ortensio esercitò l’avvocatura per oltre 40 anni; quando Cicerone iniziò l’attività forense, infatti, egli era già all’apice della propria. I due si trovarono di fronte per la prima volta nell’81 a.C. in un processo per una questione patrimoniale tra uno sconosciuto Publio Quinzio (difeso da Cicerone) ed un potente Nevio (difeso da Ortensio Ortalo), ma soprattutto si scontrarono nel ben più famoso processo di Verre (70 a.C.), dove Ortensio assunse la difesa dell’imputato e Cicerone sostenne l’accusa. Nel 63, invece, i due assunsero la difesa di Gaio Rabirio accusato di perduellione da Labieno. Nell’occasione Ortensio svolse la difesa in linea di fatto, dimostrando l’assoluta estraneità di Rabirio al reato, mentre Cicerone si preoccupò di affrontare il problema in linea di diritto. Per la cronaca, Rabirio uscì salvo dal processo.
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Sempre nel 63 a.C., troviamo Ortensio Ortalo ancora insieme a Cicerone nello stesso collegio di difensori (di cui faceva parte anche M. Licinio Crasso) per scagionare dall’accusa di brogli elettorali L. Licinio Murena. L’accusa, sia detto per inciso, era sostenuta anche da Marcio Porcio Catone (l’Uticense, discendente del famoso “Censore”) la cui autorità morale era sufficiente da sola a condizionare il verdetto di un tribunale. Murena fu assolto. A dimostrazione del valore di Ortensio Ortalo, però, e di quanto lo stesso cicerone ne temesse il confronto, Plutarco ci tramanda che l’idea di dover parlare dopo Ortensio tolse all’Arpinate il sonno per tutta la notte. Sempre nel 63 a.C., troviamo Ortensio Ortalo ancora insieme a Cicerone nello stesso collegio di difensori (di cui faceva parte anche M. Licinio Crasso) per scagionare dall’accusa di brogli elettorali L. Licinio Murena. L’accusa, sia detto per inciso, era sostenuta anche da Marcio Porcio Catone (l’Uticense, discendente del famoso “Censore”) la cui autorità morale era sufficiente da sola a condizionare il verdetto di un tribunale. Murena fu assolto. A dimostrazione del valore di Ortensio Ortalo, però, e di quanto lo stesso cicerone ne temesse il confronto, Plutarco ci tramanda che l’idea di dover parlare dopo Ortensio tolse all’Arpinate il sonno per tutta la notte.
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Al di là della rivalità professionale, tra i due grandi campioni dell’oratoria romana ci fu senza dubbio rispetto e stima al punto che Cicerone, che in fondo lo ammirava, prendendo spunto dalla sua morte avvenuta nel 50, gli dedicò l’Hortensius (oggi perduto), un’opera dove l’Arpinate fa un’esortazione alla filosofia, e nel Brutus fa spesso grandi elogi della sua eloquenza, ritenuta inimitabile, che definiva “elegante nello splendore delle parole”, cioè capace di mostrare nella sua ricchezza espressiva, una grande eleganza e signorilità. Al di là della rivalità professionale, tra i due grandi campioni dell’oratoria romana ci fu senza dubbio rispetto e stima al punto che Cicerone, che in fondo lo ammirava, prendendo spunto dalla sua morte avvenuta nel 50, gli dedicò l’Hortensius (oggi perduto), un’opera dove l’Arpinate fa un’esortazione alla filosofia, e nel Brutus fa spesso grandi elogi della sua eloquenza, ritenuta inimitabile, che definiva “elegante nello splendore delle parole”, cioè capace di mostrare nella sua ricchezza espressiva, una grande eleganza e signorilità.
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Ortensio Ortalo fu anche amico di Catullo che gli dedicò la celeberrima traduzione della “Chioma di Berenice”. L’oratore, probabilmente, fece parte della schiera dei poeti, anche se di lui nulla ci è pervenuto. Neppure delle sue orazioni ci è giunto nulla, forse per il fatto che le stesse, una volta scritte, perdevano tutto il loro vigore. Ortensio Ortalo fu anche amico di Catullo che gli dedicò la celeberrima traduzione della “Chioma di Berenice”. L’oratore, probabilmente, fece parte della schiera dei poeti, anche se di lui nulla ci è pervenuto. Neppure delle sue orazioni ci è giunto nulla, forse per il fatto che le stesse, una volta scritte, perdevano tutto il loro vigore.
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Quinto Ortensio Ortalo morì a Roma nel 50 a.c.. Quinto Ortensio Ortalo morì a Roma nel 50 a.c..

Revisione 13:38, 4 Gen 2006

Quinto Ortensio Ortalo nacque nel 114 a.C.. Prese parte alla vita pubblica percorrendo tutto il “cursum honorum” raggiungendo il consolato nel 69 a.C.. Egli, però, è conosciuto soprattutto perché fu spesso rivale forense di Cicerone, di cui era anche ottimo amico. Campione dell’eloquenza asiana, fastosa ed esuberante, Ortensio esercitò l’avvocatura per oltre 40 anni; quando Cicerone iniziò l’attività forense, infatti, egli era già all’apice della propria. I due si trovarono di fronte per la prima volta nell’81 a.C. in un processo per una questione patrimoniale tra uno sconosciuto Publio Quinzio (difeso da Cicerone) ed un potente Nevio (difeso da Ortensio Ortalo), ma soprattutto si scontrarono nel ben più famoso processo di Verre (70 a.C.), dove Ortensio assunse la difesa dell’imputato e Cicerone sostenne l’accusa. Nel 63, invece, i due assunsero la difesa di Gaio Rabirio accusato di perduellione da Labieno. Nell’occasione Ortensio svolse la difesa in linea di fatto, dimostrando l’assoluta estraneità di Rabirio al reato, mentre Cicerone si preoccupò di affrontare il problema in linea di diritto. Per la cronaca, Rabirio uscì salvo dal processo.

Sempre nel 63 a.C., troviamo Ortensio Ortalo ancora insieme a Cicerone nello stesso collegio di difensori (di cui faceva parte anche M. Licinio Crasso) per scagionare dall’accusa di brogli elettorali L. Licinio Murena. L’accusa, sia detto per inciso, era sostenuta anche da Marcio Porcio Catone (l’Uticense, discendente del famoso “Censore”) la cui autorità morale era sufficiente da sola a condizionare il verdetto di un tribunale. Murena fu assolto. A dimostrazione del valore di Ortensio Ortalo, però, e di quanto lo stesso cicerone ne temesse il confronto, Plutarco ci tramanda che l’idea di dover parlare dopo Ortensio tolse all’Arpinate il sonno per tutta la notte.

Al di là della rivalità professionale, tra i due grandi campioni dell’oratoria romana ci fu senza dubbio rispetto e stima al punto che Cicerone, che in fondo lo ammirava, prendendo spunto dalla sua morte avvenuta nel 50, gli dedicò l’Hortensius (oggi perduto), un’opera dove l’Arpinate fa un’esortazione alla filosofia, e nel Brutus fa spesso grandi elogi della sua eloquenza, ritenuta inimitabile, che definiva “elegante nello splendore delle parole”, cioè capace di mostrare nella sua ricchezza espressiva, una grande eleganza e signorilità.

Ortensio Ortalo fu anche amico di Catullo che gli dedicò la celeberrima traduzione della “Chioma di Berenice”. L’oratore, probabilmente, fece parte della schiera dei poeti, anche se di lui nulla ci è pervenuto. Neppure delle sue orazioni ci è giunto nulla, forse per il fatto che le stesse, una volta scritte, perdevano tutto il loro vigore.

Quinto Ortensio Ortalo morì a Roma nel 50 a.c..

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