Oratoria

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L’ORATORIA

Come già in Grecia, anche in Roma l’Oratoria fiorisce nel periodo di libertà, per poi decadere quando quella libertà finisce, soffocata dalla dittatura. E ci piace far coincidere la fine della libertà repubblicana con la fine dell’oratoria, anzi con la morte del suo più grande esponente, quel Cicerone che può andare a braccetto con l’altro grande dell’oratoria, il greco Demostene, la cui morte segna anche la fine della libertà greca.

L’eloquenza latina si perde nel tempo … oratore era senza dubbio quel Menenio Agrippa che con il suo apologo riuscì a convincere i plebei a recedere dai loro propositi secessionisti, ma, passando ad un’epoca sulla quale siamo molto meglio informati, valenti oratori furono senz’altro Scipione Emiliano, Lelio il Saggio, Metello Numido e altri ancora. È ovvio, in ogni modo, che tutti i personaggi politici e militari di un certo calibro dovevano essere abili nel parlare soprattutto perché dovevano convincere la gente a votarli.

Il primo vero oratore latino, però, è ritenuto Marco Porcio Catone il Censore. Vigorosissimo, di sobria ed incisiva eloquenza, senza fronzoli stilistici, per il Censore quello che contava era la sostanza e l’argomento; il suo motto, infatti, era ”rem tene, verba sequentur” (sii padrone del concetto, le parole verranno da sole). In pratica Catone il Censore era l’opposto di Cicerone: senza peli sulla lingua, la sua parola era rude, corposa, aspra e mordace, avendo però, il sostegno di una vita integra e onesta.

Un ricordo speciale nell’eloquenza pre-ciceroniana spetta anche ai fratelli Gracchi. Da quanto c’è giunto attraverso Plutarco, sappiamo che l’eloquenza di Tiberio Gracco era infiammante e le sue parole taglienti come la spada. Ancora più importante è il fratello Caio Gracco, uomo di profonda rettitudine morale, onesto ed integro da poter competere con gli antichi padri di Roma. Di lui Cicerone disse: “Non so se egli abbia avuto qualcuno pari nell’eloquenza”.

Tra gli oratori precedenti l’Arpinate, troviamo anche un Marco Antonio, nato a Roma nel 143 a.C. ed avo del più conosciuto triumviro Marco Antonio. Nelle “Tuscolane” Cicerone lo reputò il più eloquente tra gli oratori che aveva udito e lo citò spesso nelle sue opere retoriche. Marco Antonio fu un conservatore ed ebbe anche una buona carriera politica culminante nel consolato del 99 a.C.. Egli fu soprattutto un oratore giudiziario e compare come interlocutore nel "De Oratore" di Cicerone, dove sostiene l’inutilità della cultura e l’importanza dell’inventiva. Di lui circolava un trattato di retorica, il "De ratione dicendi". Marco Antonio fu fatto uccidere a Roma nel 87 a.C. da Caio Mario.

Altro grande oratore fu Licinio Crasso, morto nel 91 a.C. e quindi da non confondere con il triumviro Marco Licinio Crasso morto nel 53 a.C.. Cicerone lo stimò moltissimo e, probabilmente, invidiava anche alcune qualità che quello possedeva. Secondo l’Arpinate, Crasso era il più perfetto oratore dell’età precedente la sua e lo giudicò “al tempo stesso ornato e conciso”. Si tratta davvero di una lode grandissima: l’ornamento e la semplicità sono difficili da trovare insieme e lo stesso Cicerone era sempre ornatissimo, ma non sempre conciso.

Con Quinto Ortensio Ortalo, di cui parleremo a parte, siamo giunti al tempo di Cicerone.

Al periodo in cui fiorì Cicerone appartiene un’opera retorica dal titolo “Retorica ad Herennium”. Essa, attribuita dai manoscritti a Cicerone, per la diversità di stile e di pensiero con l’Arpinate, è, dai critici, assegnata ad altri autori del tempo come, ad esempio, il retore Cornificio.

L’opera è giunta fino a noi; si tratta di un manuale, in 4 libri, per l’apprendimento dell’eloquenza. Essa sviluppa i 5 punti fondamentali dell’oratoria:

- l’INVENTIO (come trovare gli argomenti adatti);

- la DISPOSITIO (come disporre il discorso);

- l’ELOCUTIO (lo stile);

- la MEMORIA (il ricordare gli argomenti);

- la PRONUNCIATIO (il modo di esporre, atteggiamento, voce, volto, gesti).

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