Nevio

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GNEO NEVIO (ca. 275 - ca. 200 a. C.).

Livio Andronico, pur degno della massima considerazione, non fece altro che traduzioni in latino di opere greche o, al massimo, rifacimenti di originali greci: di conseguenza tranquillamente possiamo affermare che la sua opera fa parte della letteratura greca anche se scritta in latino. Non è sbagliato, a questo punto, sostenere che il vero iniziatore della letteratura latina, con un soggetto nazionale, non fu Livio Andronico, bensì Gneo Nevio, un personaggio che, per la sua opera, assume un’importanza davvero notevole nella storia della letteratura di Roma antica.

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La vita

Gneo Nevio nacque verso il 275 a.C. in Campania, forse a Capua, da famiglia plebea. Ottenne, in seguito, la cittadinanza romana e, come cittadino romano, partecipò alla prima guerra punica (264 – 241 a.C.). Nel 235 a.C. fece rappresentare la sua prima opera drammatica. Non potendo partecipare alla vita politica attiva come avrebbe voluto, Nevio cercò di influenzare l’opinione pubblica utilizzando le sue commedie, seguendo l’esempio della commedia attica antica che aveva uno spirito vivamente “politico”.
Nell’agone politico dell’epoca, Nevio si schierò idealmente con il partito conservatore di cui facevano parte personaggi del calibro di Fabio Massimo e Catone il Censore. Causa uno spirito libero e mordace, Nevio si scontrò spesso con la classe dominante ed in particolare ebbe contrasti con le potenti famiglie patrizie degli Scipioni e dei Metelli. Tali contrasti non si limitarono, purtroppo, al puro scontro dialettico, ma ebbero conseguenze gravissime tanto è vero che i Metelli fecero imprigionare il poeta. Nevio, in seguito, fu liberato grazie all’intervento dei tribuni della plebe, ma ormai a Roma non si sentiva più sicuro e quindi andò in esilio a Utica.
Nevio non fece più ritorno in patria e ad Utica morì verso il 200 a.C..

Le opere

Gneo Nevio fu uno scrittore versatile ed eclettico. Egli portò sulle scene latine “fabulae cothurnate”, come Aesiona, Danae, Equos Troianus, Hector proficiscens, Iphigenia e Lycurgus, tutte, ovviamente, di argomento greco. Nevio, però, mostrò subito la sua forte personalità e l’indipendenza dalla cultura greca introducendo a Roma la “fabula praetexta” portando, cioè, sulla scena tragedie di argomento nazionale. Nevio, infatti, rappresentò drammi come il "Romulus", che aveva come argomento il mitico fondatore di Roma, ed il "Clastidium", nel quale celebrava la grande vittoria riportata dai Romani sui Galli nel 222 a.C. a Casteggio, presso Pavia.
È questo il grande merito di Nevio: aver affermato la validità del teatro di ispirazione nazionale nei confronti di quello di ispirazione greca.

La popolarità di Nevio come autore di teatro fu, in ogni modo, affidata soprattutto alle commedie. Anche in questo campo il poeta dimostrò il suo valore e, soprattutto, la sua grande inventiva. Fu Gneo Nevio, infatti, che inventò la “fabula togata”, cioè la commedia ispirata dalla vita e dall’ambiente latino, e, soprattutto, introdusse per primo il procedimento detto “contaminatio”, ossia la fusione di due o più testi teatrali per farne uno nuovo. Fabulae togatae prodotte da Nevio furono, tra le altre, Tarentilla (La ragazza di Taranto), Apella (La donna di Puglia) e Corollaria (La Fioraia). Questo autore, però, non disdegnò la fabula palliata, di argomento greco.
Di tutta la produzione teatrale di Nevio ci sono giunti, purtroppo, solo titoli e frammenti che, in verità, bastano per darci un’idea della bravura e della freschezza del poeta. Nell'ultima parte della sua vita il poeta si dedicò alla composizione di un poema in versi saturni, il "Bellum Poenicum", col quale inaugurò l'epica nazionale. In questa opera, scritta negli anni in cui Roma combatteva la seconda guerra punica contro il cartaginese Annibale Barca, Nevio cantò, anche sulla base dei suoi ricordi personali per avervi partecipato, la prima guerra punica, ricollegando le vicende del suo tempo alle origini troiane di Roma e fondendo la storia con il mito.
Il poema, più tardi diviso in sette libri, doveva constare di circa 5000 versi, di cui a noi sono giunti una cinquantina di frammenti. La solennità del verso lo fa collegare alla tradizione romana dei “carmina” ed infatti il poema ha proprio la forma di un carme continuo.

Giudizio

Con le commedie, Nevio esercitò la sua satira politica e sociale. In esse frequenti erano le allusioni al mondo politico contemporaneo, soprattutto ai personaggi che rivestivano le cariche più elevate (anche pretori e consoli). Violenti e memorabili dovettero essere i suoi attacchi rivolti soprattutto alla nobile e potente famiglia dei Metelli che, per ritorsione, dapprima lo fece imprigionare e poi, visto l’insistenza del poeta, addirittura esiliare a Utica. La polemica è documentata da due celebri frammenti: "Fato Metelli Romae fiunt consules" (Per disgrazia di Roma i Metelli diventano consoli), dove Nevio giocava sul doppio significato di fatum (disgrazia, ma anche destino) e la risposta dei metalli, dura e arguta allo stesso tempo: "Dabunt malum Metelli Naevio poetae" (I Metelli provocheranno guai al poeta Nevio). Anche i Metelli, però, potrebbero aver giocato sul doppio significato di “malum” (“malanno”, ma anche “mela”).
Alle finezze letterarie, però, come abbiamo visto, seguirono i fatti e la conclusione, ovviamente, fu sfavorevole allo scrittore plebeo che da solo aveva osato sfidare un’intera famiglia patrizia.
Passando al campo strettamente letterario, possiamo affermare Nevio fu davvero indipendente dalla cultura greca. Egli, infatti, si rifaceva non tanto al teatro alessandrino quanto alla tradizione romana popolare della satira e dei fescennini. Se poi vogliamo cercare qualche paragone o collegamento con il teatro greco, allora possiamo sostenere che lo spirito di Nevio è abbastanza simile a quello di Aristofane. Bisogna dire, però, che il poeta latino operò in una situazione politica e sociale sicuramente più sfavorevole di quella in cui si era trovato il grande commediografo greco. Se si considera, inoltre, che tra le vittime dei suoi attacchi c’è stata addirittura la famiglia di Scipione l’Africano, allora possiamo affermare che il coraggio di Gneo Nevio poeta era immenso.

Fortuna

Gneo Nevio non solo fu molto considerato quando era in vita, ma fu molto stimato anche in età classica, quando il gusto dei romani si era molto raffinato ed era diventato sicuramente più esigente.
Grande fu, inoltre, l'influenza del poema di Nevio su Ennio e, più tardi, su Virgilio, che ne ammirarono il respiro grandioso e l'arcaica, ma emozionante rudezza.


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