Mio padre aveva ragione

Da Pklab.

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MIO PADRE AVEVA RAGIONE

Città del Tuscio, 28.11.2000

Il tempo passa e rende giustizia a chi giustizia va cercando. (Anonimo olevanese)

Molti anni fa non si parlava … il lavoro, lo studio, la terra, la stanchezza non ti lasciano libero nemmeno di bestemmiare. Poi lentamente il tempo ha sistemato ogni cosa: ora mio padre è vecchio ed ha tanto tempo per parlare con me. Anche io sono vecchio ed ho abbastanza tempo per ascoltarlo. Così d’estate, quando vado a fargli visita, mentre la mamma con mia moglie prepara da mangiare, e mentre i ragazzi giocano per i fatti loro, a volte ci mettiamo vicino al balcone da dove possiamo ammirare uno splendido panorama e guardare la terra tutta intorno e … la nostra vista arriva fino al mare. è un grande spettacolo della natura! Soprattutto verso il calare della sera …. non ricordo di aver visto paesaggi più belli se non quel giorno di Pasquetta di circa 30 anni fa, quando con Gerardo, Carlo, Aniello e suo fratello Adriano ce ne andammo al Castello percorrendo non la comoda strada moderna, costata milioni, spianata da una potente ruspa che non teme ostacoli, ma l’antico viottolo dentro la boscaglia, tracciato dal continuo camminare di pastori e boscaioli, pecore ed asini. Ricordo ancora l’emozione e la gioia di quel momento … solo allora capii cosa avevano provato i greci di Senofonte alla vista del mare … Talassa, Talassa! In ogni caso era lo stesso paesaggio visto da un punto appena un poco più alto.

- Quando ero giovane, tutte le terre che vedi erano coltivate … e tieni presente che allora per zappare si usava solo la zappa o il bidente, non c’erano tutte le macchine che ci sono adesso. Allora fare il contadino era davvero molto duro. Il lavoro era quello che ti spacca la schiena e che alla sera ti lascia talmente stanco da non riuscire neppure a prendere sonno. Oggi … l’autobus ti viene a prendere sotto casa e poi ti ci riporta. Allora per andare alla “Chiana” si doveva prendere il “traìno” sopra il ponte di Monticelli e ci dovevamo andare a piedi. La strada, poi, era tutta piena di buche e di polvere … e la sera era lo stesso. Ci toccava fare la strada da sotto Monticelli fino alla Porta a piedi, più di quattro chilometri in salita e dopo una giornata di lavoro, spesso con la zappa addosso. Oggi ci sono paghe sindacali, orari precisi e tutti hanno l’orologio per calcolare le ore lavorate. Allora si partiva al mattino che era ancora buio e si ritornava quando il sole era ormai tramontato da un pezzo. Eppure, credimi, non c’era nemmeno un pezzetto di terra lasciato “siéuro”. Tutta la Piana era coltivata, ma anche Frosano, Maiano, le Mortelle … seminavamo il grano anche sopra il Castello!. Ora invece cosa ti stanno combinando? Le nostre terre vanno “sèure” e quando si raccoglie la frutta cosa fanno? La distruggono, la schiacciano sotto i trattori, la fanno marcire dentro i campi …. e tutto questo perché? Te lo dico io il perché … devono fare arrivare la roba dall’estero, così ci possono guadagnare sopra. Pensa un po’, noi dobbiamo distruggere le nostre arance, le nostre pesche per farle venire poi da fuori, dall’estero. Perché? Esistono forse arance migliori di quelle che abbiamo noi in Sicilia? Pesche migliori di quelle della Piana? Io forse non lo vedrò quel momento perché sono vecchio, ma tu ed i tuoi figli … Dico io: non volete coltivare la terra? Va bene! Seminate allora lupinella o altro ed allevate vitelli ed altri animali! Un tempo ai vitelli si dava erba e fieno; andavamo a raccogliere le ghiande ai “Cerzoni” ed ai maiali davamo barbabietole, ghiande, castagne … la carne era buona e saporita! Ora invece? Ai Cerzoni non c’è più neppure una quercia, c’è rimasto solo il nome; a Frosano non si coltivano barbabietole; le castagne rimangono per terra a marcire e la carne deve arrivare dall’estero, perché così vogliono! Sai tu che cosa ci arriva? Non sono convinto che sia roba buona. Sicuramente arriveranno animali malati e non lo sapremo mai: ci fanno mangiare schifezze!

Ti voglio raccontare un episodio di cui sono stato testimone tanti anni fa. Ero al macello di Battipaglia perché avevo venduto un vitello di quelli che allevavamo noi. Ti ricordi cosa gli davamo da mangiare, vero? Dunque, mentre ero lì in attesa, arrivò un camion carico di vitelli provenienti dall’estero, anch’essi da macellare. Quando il macellaio sparò ad uno di questi per ucciderlo, esso poco prima di cadere morto per terra, fece uno spruzzo di sciolta lungo qualche metro. Il veterinario, presente per i controlli, affermò che sicuramente quell’animale era ammalato ed onestamente ammise la colpa di non essersene accorto prima. Non so come finì la faccenda, ma sono sicuro che la carne di quell’animale, anche malato, è finito sulla tavola della gente. Che ti devo dire? Io non vedrò quel momento, ma tu…

Così diceva mio padre ogni volta che ci mettevamo fuori al balcone e guardavamo la campagna; non so quale sia esattamente la sua profezia che egli lascia sempre sospesa nel vuoto come una spada di Damocle, ma dalle altre sue espressioni ho ricavato l’impressione che egli ha una visione apocalittica del futuro e le sue argomentazioni, nella loro semplicità, mi sembrano sempre più inconfutabili.

L’ultima volta che mio padre, come in un ritornello, mi ha raccontato l’episodio del vitello è stata questa estate. Io ho solo annuito … purtroppo ero sicuro che aveva ragione. Solo in una cosa sbagliava: non doveva escludersi dalla profezia! Anch’egli vedrà quei momenti. Forse, però, egli intende solo dire che fin da tempi immemori si è abituato a tutto e che dava l’età non gliene frega più niente.

Era a lui, e non ad altri, che pensavo in questi giorni quando è rivenuta alla ribalta la questione della “mucca pazza”. Quando l’estate prossima, anzi prima ancora a Natale, parleremo di questo egli sarà fiero di aver previsto cose che erano fin troppo facili da prevedere. è la sua rivincita di antico contadino, è la mia rivincita di difensore solitario delle nostre radici, è la rivincita dei nostri agricoltori ed allevatori. Ora sono tutti lì a chiedere prodotti nazionali, tutti pronti a mettere al bando le “cose” straniere che ci stanno invadendo. Mi viene da ridere … questo popolo provinciale ed esterofilo meriterebbe di peggio. Fino a poco tempo fa eravamo solo noi, voci solitarie nel deserto, a preferire i prodotti nostrani, mentre tutti era pronti a lodare le materie importate come segno di raffinatezza e signorilità, oltre che di buon gusto. Allora si lodavano i fichi della Turchia, i cocomeri di Israele, le mele del Sudafrica, l’olio della Tunisia, il vino della Grecia e tutto ciò che non era italiano. E noi eravamo additati come retrogradi ed ignoranti, noi che, animati di spirito catoniano, lottavamo per la salvezza di tutti.

Ora sapete cosa farei? Prenderei bistecche di mucca pazza e le farei ingurgitare a viva forza a chi vantava i prodotti stranieri; prenderei frutta e verdura piena di ormoni e solo con quello imbandirei la tavola di chi ha sempre disprezzato i prodotti nostrani. E se non vogliono mangiare tutto, gli farei entrare ogni cosa dal culo, compreso zucchini e cetrioli.

Per noi invece farei cucinare da mamma un bel piatto di lagane con i fagioli coltivati a Campo, con una bella grattata di formaggio pecorino, quello fatto da Gennaro. Come secondo direi una bella coscia di pollo allevato da Franco e come contorno un piatto di insalata coltivata da Michele. I condimenti? L’olio di oliva sarà rigidamente quello di Troncito o di Santa Maria a Corte, i limoni andrò a prenderli direttamente nell’orto che coltiva mamma. Il vino? Non vorrei essere intransigente, ma preferirei quello della Chiusa o delle Mortelle. Come frutta? Mandarini di Campo, mele annurche di Pasqualina e castagne di Acerno.

... e le schifezze lasciamole agli altri!

Il Tuscio dice questo anonimo_olevanese.jpg

Anonimo Olevanese da piccolo osserva il mondo

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