Lucrezio

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Revisione 13:22, 1 Mar 2006

LUCREZIO (I secolo a. C.)

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La vita

Della vita di Tito Lucrezio Caro si sa pochissimo, anzi possiamo dire che tra i grandi poeti latini è quello di cui sappiamo meno. Il fatto è strano e lo è ancora di più se pensiamo che gli autori romani erano soliti inserire elementi autobiografici nelle loro opere. Lucrezio, invece, non parla mai di sé o, se pure qualche volta lo fa, è sempre vago ed i suoi accenni misteriosi. Notizie sulla sua vita, anche se dubbie e in contraddizione con altre, le ha trasmesse soprattutto San Girolamo. Nel suo Chronicon si legge che Lucrezio sarebbe nato nel 94 e morto nel quarantaquattresimo anno di età, quindi nel 51 o 50; Donato, però, nella sua “Vita di Virgilio” lo fa morire nel 55; nella lettera di Cicerone al fratello Quinto che contiene il giudizio su Lucrezio, infine, c’è scritto che il poeta era morto da poco. Poiché questa lettera è del febbraio del 54 a.C. a.C., il 55 a.C. appare l’anno probabile della morte del poeta. Se, però, l'età che San Girolamo gli attribuisce alla morte è esatta, la nascita del poeta andrebbe anticipata al 99 a.C..

Secondo alcuni, Lucrezio nacque a Napoli, centro della filosofia epicurea in Italia. Egli fu certamente amico di Gaio Memmio, uomo politico e patrono di poeti quali Catullo e Cinna. A lui, infatti, è dedicata la sua opera, il De rerum natura. Secondo San Girolamo, Lucrezio avrebbe composto il poema negli intervalli di lucidità che gli lasciava un filtro d'amore da lui usato e che gli era stato propinato da una donna perversa forse per vendetta. E che la storia del filtro sia vera, lo si può desumere dal finale del libro IV dove il poeta parla con orrore delle concupiscenze amorose ... è facile ritenere che le parole gli derivino proprio da quell’amara esperienza.

La sua morte avvenne per suicidio.

L’opera

L’unico poema di Lucrezio, il “De rerum natura”, non rivisto, fu pubblicato postumo a cura di Cicerone e rinvenuto dall’umanista Poggio Bracciolini nel 1417. L’opera si divide in sei libri, di circa 7500 versi, e mira a esporre le teorie epicuree sulla costituzione dell'universo, sulla natura dell'uomo, sui fenomeni terrestri e celesti, per liberare l'umanità dai terrori degli interventi degli dei nel mondo e della sopravvivenza nell'aldilà: il mondo è invece retto dalle leggi meccaniche della natura e l'anima è mortale, perché costituita anch'essa di materia. Tutta l'opera è pervasa da un entusiasmo ribadito di continuo, che la distingue da ogni altro poema meramente didascalico, contrasta col tono pessimistico di molte parti e ne costituisce l'elemento animatore e poeticamente più valido. Lucrezio si dichiara prima di tutto filosofo e il suo primo proposito è di convincere Memmio, come ogni altro uomo, della verità e provvidenzialità del suo pensiero.

Secondo Lucrezio, Epicuro fu un benefattore dell'umanità: il suo materialismo atomistico, attinto da Leucippo e da Democrito, e la dimostrazione che gli dei non si occupano delle vicende umane, hanno dissipato l'ignoranza e la superstizione, con i danni che esse arrecavano all'umanità. Il poeta, però, è anche cosciente delle sofferenze umane, della violenza delle forze naturali, della malvagità degli istinti; come poeta ha una sensibilità delicata, oltre che una potente fantasia.

Giudizio

Accanto all'esaltazione per la verità filosofica, alle descrizioni poderose degli spettacoli naturali, ha momenti di tenerezza per i bimbi, per gli animali, per le bellezze del creato. Riesce in tal modo a trattare poeticamente una materia del tutto refrattaria e che lo costringe spesso a creare anche nuove parole e un nuovo linguaggio. Il suo stile rude, il suo esametro ancora faticato, tendono al grandioso, al potente, al sonoro; anche la lingua arcaicizzante, le allitterazioni, le assonanze, comunicano solennità ed efficacia al poema. L'artista ha coscienza di muoversi in un mondo poetico solitario e di essere investito di una missione; quindi il tono della sua parlata è costantemente serio e austero. Ormai a ridosso della poesia augustea, Lucrezio sceglie a modello Ennio piuttosto che la poesia didattica alessandrina.

Fortuna

Virgilio lo ammirò grandemente, a giudicare dagli echi lucreziani presenti nella sua poesia, e alte sono le sue lodi in Ovidio; Cicerone, come si è visto, se ne fece editore. I cristiani invece lo disprezzarono per il suo ateismo. Oggi gli studi lucreziani sono quanto mai attivi e il De rerum natura conosce un meritato favore.

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