Ladispoli

Da Pklab.

(Differenze fra le revisioni)
Jump to: navigation, search
Revisione 08:27, 31 Lug 2008
Anonimo olevanese (Discussione | contributi)

← Go to previous diff
Revisione 19:42, 17 Giu 2009
Anonimo olevanese (Discussione | contributi)

Go to next diff →
Riga 130: Riga 130:
-Torna a [[il giudice ragazzino]] oppure vai a [[un curioso paradosso]]+Torna a [[il giudice ragazzino]] oppure vai a [[immagini di Ladispoli]]
Editus ab http://lnx.pksoft.it/pkakira/albums/userpics/10002/thumb_OL027Vag_pub.jpg Editus ab http://lnx.pksoft.it/pkakira/albums/userpics/10002/thumb_OL027Vag_pub.jpg

Revisione 19:42, 17 Giu 2009

LADISPOLI (RM)
Città di Ladislao

L’eroe della tua via

di

Marco

Ladispoli 1997

BALDASSARRE LADISLAO ODESCALCHI-ERBA
(1844 - 1909)
Fondatore di Ladispoli

Saggio menzionato tra i meritevoli al concorso "L'eroe della tua Via" dell'Università del Sacro Cuore

Nella storia di Ladispoli, ancora breve, ma già densa di avvenimenti, Ladislao Odescalchi occupa un posto fondamentale, anzi sicuramente il più rilevante e prestigioso. Potremmo dire, senza paura di essere smentiti, che la storia della nostra città è tanto legata a questo personaggio (ed alla sua famiglia) che non si può parlare dell’uno tacendo dell’altra o viceversa. Per questo motivo, narrando le vicende del nostro eroe sarà obbligatoria qualche piccola digressione sui luoghi in cui visse e sui quali lasciò la sua impronta. La stima e la considerazione dei cittadini per Ladislao Odescalchi sono ampiamente testimoniate dalla toponomastica cittadina: a lui è intitolata una scuola delle scuole medie, una delle vie principali e addirittura la città stessa. Ladispoli, infatti, significa città di Ladislao e deve, oltre che il nome, persino la sua nascita a quest’uomo nobile d’animo e di famiglia, pieno di iniziative, generoso, dal carattere estroverso e molto originale, in possesso di notevoli qualità fisiche, morali e culturali, oltre che di doti che oggi definiremmo manageriali.

La famiglia di questo personaggio è una delle più illustri ed antiche fra tutta la nobiltà italiana. Le sue origini sono incertissime e remote fino a perdersi nell’alto Medioevo, dove viene menzionato un Odo Scalcus, Paladino Carolingio. In epoca più vicina e quindi meglio documentata, sicuramente nel XIII secolo, troviamo gli Odescalchi in quel di Como, dove sono riportati costantemente negli elenchi dell’alta nobiltà cittadina fino al 1676. In quell’anno, infatti, essi lasciarono la città per trasferirsi a Roma essendo stato un loro congiunto, Benedetto, elevato al soglio pontificio con il nome di Innocenzo XI.


Tra i personaggi di spicco degli Odescalchi vengono normalmente citati il nunzio apostolico Benedetto Erba (1669-1740), il Cardinale Carlo Erba (1786-1841) e soprattutto Don Livio I (1652-1713), che avrà una parte di rilievo anche nella nostra storia.

Egli ottenne dall’Imperatore Leopoldo I il titolo di principe dell’Impero e l’investitura dei ducati di Sirmio in Ungheria e di Sava in Slavonia, come ricompensa per gli innumerevoli atti di valore compiuti militando nelle file dell’esercito imperiale in difesa di Vienna assediata dai Turchi nel 1683; dallo zio Innocenzo XI, invece, ebbe in dono il Ducato di Ceri. Nel 1693, Don Livio I acquistò dagli Orsini la signoria di Palo con incorporato il Castello Orsini, poi denominato Odescalchi, e la Torre Flavia; questo fu un evento di importanza basilare ai fini della nostra narrazione perché è proprio qui che circa due secoli dopo troveremo come principe il nostro Ladislao.

Siccome si tratta della zona in cui è poi sorta Ladispoli, è necessario, oltre che doveroso, parlarne almeno per sommi capi.

Palo corrisponde all’antica Alsium, uno dei tre porti e centro di smistamento del sale di Caere (l’odierna Cerveteri), la splendida e ricca città etrusca, la grande potenza marinara del Tirreno che ospitò perfino i sacerdoti e gli arredi sacri romani quando la città capitolina fu invasa dai Galli di Brenno nel 390 a.C.. Forse fu proprio qui, a seguire la tradizione di Erodoto, che nel IX secolo a.C. sbarcarono i Lidi, guidati dal mitico Tirreno, in cerca della “terra promessa”; su questa spiaggia allora furono poste le basi per “fondare” la gloriosa Etruria.

Decaduta Caere, Alsium divenne colonia romana e vide perdere la sua importanza portuale, a vantaggio dell’attuale Civitavecchia, per trasformarsi lentamente in centro agricolo. Raggiunse, però, un alto livello come centro balneare al punto da essere eletta dimora estiva dal fiero avversario di Giulio Cesare, Pompeo Magno, che vi possedeva una villa. Anche l’imperatore Eliogabalo ne possedeva una ad Alsium verso il 220 d.C. ed ancora nel 416 lussuose ville erano presenti nella zona. L’ultima citazione di Alsium risale al 547, in occasione di un assedio di Totila, in piena guerra goto-bizantina.

Dopo i secoli bui dell’alto Medio Evo, la ritroviamo nel 1330 in un completo stato di desolazione con il nome di Castrum Pali (forse da palus = palude).

Fu bonificata dagli Orsini, potentissima famiglia romana, che poi vi edificarono Torre Flavia, torre di vigilanza costiera, e trasformarono un originario fortilizio nel poderoso castello Orsini (poi denominato Castello Odescalchi) che fu acquistato con tutta la signoria da Don Livio e che ospitò, fra gli altri, i pontefici Alessandro VI Borgia, Paolo III, Sisto V, vari cardinali e nobili.

Poiché Don Livio I non ebbe figli, nominò suo erede il nipote Baldassarre Erba; si estinse in questo modo il ramo principale degli Odescalchi ed iniziò quello degli Odescalchi-Erba.

Per testamento, la Signoria di Palo viene incorporata da Don Livio nella primogenitura Odescalchi rimanendovi fino al 1871 quando una legge dello Stato sciolse la primogenitura. Dieci anni dopo, nel 1881, si giunse alla divisione della proprietà di famiglia fra il principe Don Livio III e suo figlio primogenito Baldassarre.

A seguito di ciò, Don Livio continuò a mantenere la signoria di Palo e, detto per inciso, si riservò anche l’usufrutto sulla parte di proprietà spettata a figlio.

Nel 1884, con atto di donazione, il principe assegnò la signoria di Palo, ormai svincolata dalla primogenitura, al figlio secondogenito Ladislao, sempre riservandosi l’usufrutto vita naturale durante.


Compare, così, finalmente sulla scena il nostro “eroe”, Sua Altezza il Conte Palatino Baldassarre Ladislao Erba-Odescalchi, Deputato e Senatore del Regno, Principe dell’Impero, duca di Sirmio, di Sava e di Ceri (Roma, 1844 - Civitavecchia, 1909), figlio di Don Livio III. Difficilmente si può trovare un uomo simile, insolito, così ricco di titoli nobiliari al punto da sembrarci distante ed irraggiungibile, ma nello stesso tempo tanto democratico da poterlo ritenere uno del popolo, una persona che pare vivere in due ere e due mondi diversi ed in ogni caso trovarsi a proprio agio.

Tipo estroverso, ma anche dotato di senso pratico, mosso da interessi molteplici che spaziavano in tutti i settori, dotato di buon intelletto ma anche di coraggio, il principe Ladislao agli occhi di chi lo conosceva o semplicemente ne veniva a contatto, risultava un uomo particolare. Ancora oggi, bisogna dire, conserva intatto tutto il suo fascino.

La sua vita è un vero romanzo. Dai suoi contemporanei veniva ricordato come un fine spadaccino, facile al duello; non disdegnava neppure i combattimenti all’ultimo sangue e purtroppo provò, egli nobile e blasonato, anche l’amarezza del carcere.

Il principe Ladislao fu un convinto assertore dell’unificazione dell’Italia e lottò per questo. La cosa potrebbe anche sembrare normale, ma appartenendo egli ad una famiglia da sempre clericale e sostenitrice del papato, il fatto era a dir poco rivoluzionario; per questo motivo dai suoi familiari fu visto con occhio malevolo e considerato sempre una pecora nera, anche in virtù del fatto che questo suo ideale cozzava violentemente contro gli interessi della famiglia oltre che i suoi personali.

Si dedicò poi con successo anche all’attività politica, con idee che oggi potremmo definire progressiste, ma che a quei tempi forse lo erano troppo; anche come politico naturalmente realizzò le sue aspirazioni: fu infatti deputato dal 1880 al 1886 e senatore dal 1896 fino alla morte.

Il suo interesse spaziava in campi diversi e veniva gratificato da ottimi risultati: si dedicò allo sport e fu campione di ippica di fama europea, si interessò di canoa e divenne presidente della “Tevere Remo”, la Società Sportiva più prestigiosa di Roma, che aveva tra i suoi soci i migliori vogatori dell’élite romana.

La sua versatilità sembra davvero non avere limiti; a dimostrazione di questo, viene ricordato anche come ottimo scrittore, sempre attuale, con idee che varcano i confini del tempo in cui visse.

E che dire della sua passione e competenza per la botanica? Stupefacente! A lui, infatti, si deve il nucleo originario del Bosco di Palo, costituito in prevalenza di cerri secolari, arricchito per sua volontà di alberi come il cipresso californiano, la palma delle Canarie, i giganteschi eucalipti d’Australia, alcune varietà di origine giapponese, specie provenienti, come si può vedere, dai luoghi più disparati e che sostituirono la macchia mediterranea esistente.

Evidentemente questa passione fu trasmessa ad un suo nipotino, Innocenzo, che continuò tale attività facendo arrivare dalle coste mediterranee africane altre varietà di piante, come i due esemplari di Phitolacco Dioica, provenienti dall’Egitto, situati tuttora ai lati della Posta Vecchia, edificio seicentesco, antica stazione di posta, poi trasformato in albergo di lusso; residenza del famoso miliardario americano Paul Getty negli anni 60, ospitò anche il Presidente del Consiglio Italiano nel 1994. Il Parco nei primi anni ‘80 è stato donato dal pronipote al WWF.

Se a tutto questo aggiungiamo anche il carattere romantico del personaggio, possiamo tranquillamente riassumere dicendo che egli nelle sue passioni fu sicuramente un figlio del suo tempo, ma nello stesso tempo seppe esprimere e fare sue tutte quelle esigenze di rinnovamento che il secolo stesso stava richiedendo e manifestava.


All’epoca di cui stiamo parlando, la zona era tutta macchia, palude, brughiera e tomboleti estesi sulla spiaggia ferrosa, un paesaggio non proprio ridente, al punto che “passando di qui il viandante allungava il passo, tanto il posto era lugubre e selvaggio” (Tommasetti - Campagne Romane).

Il principe abitava nel suo castello cinquecentesco, situato a ridosso di Palo, diventato intanto un famoso centro balneare romano; cinque km più a nord vi era la Torre Flavia.

Tra queste due costruzioni erano compresi due torrenti, il Vaccina e il Sanguinara. Il primo probabilmente era chiamato così da tempo immemore per le mandrie di “vaccine” (cioè mucche) che pascolavano sulle sue rive; il Sanguinara, invece, trae il sue nome, secondo una leggenda cittadina, da una sanguinosa battaglia, combattuta niente meno che da Etruschi e Romani nella valle in cui scorre il torrente. Si racconta che lo scontro sia stato così violento che il sangue dei soldati uccisi abbia colorato di rosso l’acqua: da questo il nome. Di leggende simili, però, è piena la storia. Forse l’origine di tale nome è molto meno nobile; poiché in epoca remota gli animali venivano macellati sul posto, in quel torrente venivano gettate le parti non utilizzabili e il sangue stesso delle bestie uccise. Per questo motivo le acque sempre rosse e sporche di sangue si meritarono il nome attuale.

Come già abbiamo detto, fu il principe Ladislao a dare inizio al nucleo originario di Ladispoli. Verso il 1888 il principe Odescalchi intimò lo sfratto ai borgatari di Palo. Cosa era successo di tanto grave da spingere il democratico Ladislao verso una decisione così pesante? Come mai arrivò a quella che sembra ancora oggi la deportazione di forzati o di galeotti? Cosa avevano combinato i borgatari per meritarsi un simile trattamento? Ci sono ipotesi contrastanti su questo avvenimento, tutte in linea con il carattere del personaggio.

Secondo alcuni Ladislao intendeva popolare la striscia di terreno fra i due fossi per farne un centro balneare, grazie alla presenza della famosa sabbia ferrosa, alla quale erano e sono attribuite virtù terapeutiche per la cura dei reumatismi, ed alla possibilità di costruire un centro termale; a sostegno di questa tesi c’è il successivo trasferimento dello stabilimento di nome Dispari da Palo a Ladispoli. E questo collimerebbe con le doti imprenditoriali e manageriali del principe, che dimostrerebbe in questo modo di aver posseduto un fiuto per gli affari raramente riscontrabile nella nobiltà dell’epoca.

O forse dal gesto emerge la parte meno democratica del nobile, l’altezzosità del principe che non si vuol mescolare alla plebe, geloso della sua privacy?

Ed allora sarebbero nel giusto coloro che sostengono che il principe non gradiva l’eccessivo afflusso di gente che si recava a Palo, richiamata dalla pubblicità che facevano alla zona i soci del Circolo Tevere Remo, di cui, come abbiamo già visto, Ladislao era presidente.

Essi spesso venivano invitati al Castello per poter fare lunghi e robusti allenamenti di canoa nel mare calmo, ma anche per trascorrere splendide giornate di sole e di bagni e nello stesso tempo godere degli effetti salubri e curativi della famosa spiaggia ferrosa.

Quando ritornavano a Roma, naturalmente magnificavano il luogo dove erano stati ospitati, cosicché la fama di Palo si spandeva sempre più e sempre maggiore era la gente che accorreva verso quell’angolo di Paradiso.

A tutto, però, c’è un limite! E’ vero che Ladislao era un nobile “sui generis”, che amava ed era amato dal popolo, sempre schierato con i deboli, ma la situazione era diventata insopportabile anche per lui. Quella marea di gente gli aveva invaso la vita, la quiete e la pace non esistevano più, il castello ed il borgo non erano più suoi ed il principe volle correre ai ripari. Ed un bel giorno le carrozze ed i landò dei bagnanti romani trovarono la strada di accesso a Palo sbarrata: il principe aveva deciso di sbarazzarsi dei villeggianti; nello stesso tempo ne approfittò per mandare via gli abitanti fissi, che, in verità, erano per la maggior parte suoi dipendenti E diciamo che non aveva proprio alcun torto, se è vero che mai i borgatari, che pur subirono lo sfratto, gli attribuirono un benché minimo di colpa.


Poteva mancare però una versione romantica della vicenda, anch’essa ben attagliata al carattere del nostro eroe?

Certo che no! Ed allora potrebbero avere ragione quelli che ritengono che il principe non tollerò più i continui insulti, ironie o forse solo maldicenze che i linguacciuti abitanti della zona rivolgevano alla sua infermiera, della quale si vociferava che fosse segretamente innamorato. Ma perché i borgatari avevano preso di mira in modo così cattivo la povera ragazza? La causa di quell’atteggiamento ostile è forse da ricercare nel fatto che la stessa non era né ricca né nobile, che sicuramente era anche piuttosto bruttina, probabilmente zoppa e, dulcis in fundo, anche di facili costumi.

E’ chiaro che il popolo mal tollerava e non riusciva a capacitarsi che una persona come quella potesse vivere con il loro principe, con il loro eroe. Avrebbero voluto che fosse andata via ed invece mal incolse loro! Questa versione, da sola, è un po’ dura da digerire come verità storica. La ragazza, infatti, era stata assunta con il preciso incarico di infermiera e scelta proprio per la sua scarsa avvenenza, al fine di evitare pettegolezzi e sospetti e quindi i borgatari avevano torto nel loro giudizio. Alla fine, però, si potrebbe dire che l’amore è cieco e comunque resta il fatto che il principe nel 1908, un anno prima di morire, sposò questa ragazza. Ed ancora una volta sorgono i dubbi, gli interrogativi. Perché il principe sposò la popolana? Fu vero amore o solo la tardiva ricompensa per tutti gli anni di cure, di dedizione, di fedeltà? Volle in questo modo il principe ripagarla delle umiliazioni e degli insulti che la poveretta aveva subito? Un dubbio che difficilmente potremo chiarire. I borgatari, però, rimasero sempre nella convinzione che fu proprio lei a convincere il principe a disfarsi di loro.

E visto che siamo entrati in un campo nuovo, quello sentimentale, dobbiamo pur dire che il vero amore di Ladislao non fu certo la sua infermiera.

La tradizione popolare non ne fa riferimento, ma colei che Ladislao amò per tutta la vita, senza per altro esserne ricambiato, fu una ragazza inglese, una passione giovanile che non dimenticò mai.

Ci chiarisce a tal proposito il pronipote del principe, anch’esso di nome Ladislao, il quale, verso il 1940, raccontò di aver trovato in un cassetto chiuso ermeticamente, una busta che conteneva un mozzicone di sigaretta ed un bigliettino con su scritto “questa l’ha fumata lei”. E quella “lei” si riferiva all’irraggiungibile amore inglese.

Veramente pieno di sorprese il nostro principe che sembra davvero essere riuscito a fondere in se stesso tutte le caratteristiche e le contraddizioni del genere umano, fino a sembrarci un uomo ideale, un essere da imitare e sicuramente da invidiare. Riuscite ad immaginare un austero principe, un nobile, un patriota, un combattente che come un uomo qualunque, un tranquillo signore borghese porta a spasso un bambino nei giardini e nei boschi?. Ladislao amava e coccolava i suoi nipotini, Ladislao amava la gente, difendeva i deboli, Ladislao era Ladislao.

Ritorniamo, però, alla nascita di Ladispoli.

Dunque gli abitanti del borgo, allontanati da Ladislao che fece “demolire perfino le scale e gli accessi delle case” (Tommasetti), andarono a stanziarsi nella zona citata fra i due fossi, parzialmente bonificata a spese di Ladislao, dapprima in semplici baracche di legno.

Si dice che la prima casa in muratura sia sorta nel 1891, altri fanno risalire la cosa a dieci anni prima, quando la zona era ancora popolata solo da pescatori e contadini giunti dalle zone limitrofe. La questione non ci interessa più di tanto. Una cosa è certa: la data ufficiale della fondazione della città di Ladislao è senza ombra di dubbio il 30 maggio 1888, data dell’atto notarile stipulato tra Ladislao e la ditta ing. Cantoni secondo il quale Ladislao vende “la metà pro indivisa del terreno compreso nella località posta nel tenimento di Palo tra i fossi Sanguinara e Vaccino”. Le parti si accordarono per lottizzare tale terreno e progettarono una stazione balneare, la costruzione di strade, fra le quali una che mettesse in comunicazione la nuova “Stazione Balneare Ladispoli” colla stazione ferroviaria di Palo e il mantenimento di esse a spese comuni, in seguito a carico degli acquirenti dei lotti.


Fu quel giorno dunque che il nome di Ladispoli, anche se solo come stazione balneare, viene citato per la prima volta nella Storia e, cosa ancora più importante, riportato in un atto pubblico, stipulato davanti ad un notaio.

Con l’atto stipulato in quella data, il principe sanò un’annosa lite, di cui non ci è dato di conoscere il motivo, con Vittorio Cantoni, l’ingegnere di casa Odescalchi, con l’istituzione di un consorzio che lottizzò la zona tra i due fossi. Il progetto prevedeva 12 isolati con al centro uno spazio trapezoidale, il tutto ancora visibile nell’attuale Ladispoli. Sulla spiaggia nacquero i primi stabilimenti balneari; si tramanda che quello Centrale, costruito in società, non essendo stato trovato un accordo tra il principe e l’ingegnere su chi dei due dovesse rilevarlo, sia stato segato in due. Chissà se la lite era terminata davvero!

Alcuni dei lotti rimasti invenduti, furono in seguito donati dal principe agli abitanti di Palo.

Furono questi dunque i veri fondatori di Ladispoli. A tale nucleo originario bisogna aggiungere gli acquirenti dei lotti e successivamente i contadini delle zone limitrofe, del Lazio in genere (in particolare della Ciociaria) e di altre regioni (Marche, Abruzzo) assoldati dai principi Odescalchi per il lavoro agricolo ed in seguito divenuti in parte proprietari dei loro possedimenti. Ladispoli, nei primi decenni del secolo divenne la meta preferita dei borghesi romani: era una cittadina in crescita, sorsero con il tempo farmacie, bar e ristoranti. Essa era collegata mediante un piccolo tronco alla linea ferroviaria Roma-Civitavecchia. L’ultima guerra cancellò quei binari: su quel tracciato c’è ora un viale fiancheggiato da eucalipti; comunque nel 1939 era già stata costruita l’altra stazione, Cerveteri-Ladispoli, alla quale si accede tuttora attraversando un viale (Viale Italia) che taglia in due la città.

Durante la guerra Ladispoli visse momenti molto brutti e fu anche evacuata, ma al termine di essa cittadina rinacque, acquistando sempre più importanza.

Nel 1949 passò dal Comune di Civitavecchia a quello di Cerveteri, finché il 29 aprile 1970 acquista finalmente l’autonomia comunale.

Si ingrandisce sempre di più, la sua fama di rinomato centro balneare si spande a macchia d’olio. Il resto non è ancora storia, ma attualità.

La creatura di Ladislao ora è cresciuta e cammina da sola, ma chi avrebbe mai pensato che un piccolo paese, nato da quella che doveva sembrare la stravaganza di un principe, abitato da agricoltori e pescatori, sarebbe diventato una famosa località turistica con oltre 20.000 abitanti? Chi avrebbe mai scommesso anche un solo centesimo sullo sviluppo turistico di un misero villaggio di pescatori? Solo un personaggio intuitivo e antiborghese come Ladislao Odescalchi avrebbe potuto farlo!

E ci piace immaginare il nostro principe che da lassù guarda la sua creatura ormai divenuta adulta ... e sorride.


Torna a il giudice ragazzino oppure vai a immagini di Ladispoli


Editus ab thumb_OL027Vag_pub.jpg

Personal tools