La battaglia di Lepanto

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LA BATTAGLIA DI LEPANTO (7 ottobre 1571)

La battaglia di Lepanto fu uno degli scontri più importanti nella storia della guerra marittima e potremmo definirla tra le decisive per gli assetti del mondo occidentale.
Poche sono state le battaglie navali determinanti per il cammino dell’Umanità: Tra queste possiamo citare la battaglia di Salamina che vide naufragare il sogno persiano di invadere l’Europa; poi avvenne la battaglia di Azio con il trionfo della flotta di Augusto su quella di Antonio e Cleopatra; ricordiamo anche Trafalgar e, più recentemente, la battaglia delle Midway ... tutte queste battaglie diedero una svolta al corso della Storia.
Quella di Lepanto, però, assume un valore particolare perché va inserita nella lunga “guerra santa” scatenata dall’islam contro il mondo cristiano e può anche essere considerata la reazione di quest’ultimo all’attacco che gli era stato portato fin dentro casa. Di conseguenza possiamo sostenere che essa fu sia uno scontro politico per l’egemonia ed il possesso sia uno scontro religioso. Probabilmente fu proprio la religione fu la vera molla che fece scattare in armi il mondo cristiano e sorresse gli equipaggi durante la battaglia.
E veniamo al fatto storico.

La battaglia di Lepanto avvenne il 7 ottobre 1571 tra la flotta turca comandata da Mehmet Alì Pascià e quella cristiana, sotto il comando supremo del ventiseienne Don Giovanni d’Austria, figlio di Carlo V.
Come si era arrivati a questo epico scontro?
Le mire espansionistiche del sultano Selim II avevano portato gli ottomani ad attaccare i possedimenti cristiani, in particolare quelli di Venezia, mentre per la sua intolleranza religiosa frequenti erano le atrocità commesse a danno dei cristiani. Quando il sultano attaccò il possedimento veneziano di Cipro, il Pontefice Pio V decise di organizzare una Lega di stati cristiani per contrastare il musulmano. All’appello del Papa, nel maggio del 1571, risposero il re di Spagna, Venezia, il duca di Savoia e l’Ordine di Malta. L’impegno maggiore in questa impresa fu sostenuto senza dubbio dalla Serenissima Repubblica di Venezia il cui arsenale, con uno sforzo davvero sovrumano, costruì cento galee in cento giorni.
Mentre la cristianità si preparava per lo scontro, la flotta turca saccheggiava ripetutamente i possedimenti veneziani in Adriatico per poi ritirarsi, verso la metà di settembre, nel porto di Lepanto, nel golfo di Patrasso. Nello stesso periodo le navi cristiane partirono da Messina con il compito di stanare e distruggere la flotta degli ottomani che, per altro, continuavano a macchiarsi di molte atrocità. Qualche giorno prima che si arrivasse alla battaglia, infatti, i musulmani, conquistata Cipro, mutilarono e scorticarono vivo l’eroico comandante veneziano Marcantonio Bragadin, difensore dell’isola, nonostante questi avesse chiesto una tregua prima della sua cattura.
Il 7 ottobre del 1517 la flotta cristiana cominciò ad entrare nel Golfo di Patrasso. Don Giovanni d’Austria alzò una bandiera verde per segnalare alle sue navi di prepararsi al combattimento, mentre aveva già innalzato lo stendardo della Lega che era stato benedetto dal Santo Papa in persona. Alle 07.30 furono avvistate le navi nemiche che stavano uscendo dal porto di Lepanto per affrontare la battaglia.
Le forze in campo erano davvero impressionanti: circa 500 navi con 2500 cannoni e 150.000 uomini si affrontarono in quella spettacolare battaglia. La flotta turca era più numerosa e forte di 222 galee e 60 galeotte con 750 cannoni e circa 88.000 uomini; il comandante in capo degli ottomani era Mehmet Alì Pascià con Ulug Alì che comandava la squadra meridionale e Mehmet Shorac (conosciuto in Italia con il nome di Maometto Scirocco) comandante l’ala settentrionale.
La flotta cristiana era formata dalle navi veneziane (guidate dall’ammiraglio Sebastiano Veniero), dalle navi di Spagna (al comando dell’ammiraglio genovese Gian Andrea Doria) e dalle navi di Papa Pio V (comandate dall’Ammiraglio Marcantonio Colonna). Completavano la squadra i vascelli del duca di Savoia e quelli dell’Ordine di Malta. Le unità cristiane, con un equipaggio complessivo di circa 74.000 uomini, erano 238 di cui 202 galee, 6 galeazze e 30 navi minori, armate con 1815 cannoni.
La flotta cristiana era schierata su tre squadre con il comandante in capo Don Giovanni d’Austria, coadiuvato da Marcantonio Colonna e Sebastiano Veniero a comandare quella centrale, con l’ammiraglio veneziano Agostino Barbarico comandante l’ala sinistra (squadra settentrionale) e Gian Andrea Doria comandante l’ala destra (squadra meridionale). Davanti ad ogni squadra c’erano due galeazze, mentre alle spalle della squadra centrale c’era una riserva di 30 galee comandate da don Alvaro de Bazan.
La flotta cristiana impiegò circa due ore per disporsi al combattimento. Durante queste operazioni ci si accorse che la flotta musulmana era più imponente di quanto immaginato, ma ormai era troppo tardi per disimpegnarsi. Così alle 09.30 don Giovanni d’Austria e Marcantonio Colonna passarono in rivista le unità esortando marinai e soldati ad impegnarsi al massimo nella battaglia che stava iniziando.
Alle 10.30 iniziò lo scontro.
Essendo le navi di Gian Andrea Doria in ritardo causa il vento contrario, Alì Pascia ritenne che i cristiani si stessero ritirando. Convinto di avere una superiorità schiacciante in quanto tra gli avversari solo la squadra centrale e quella meridionale erano preparate per la battaglia, il comandante ottomano ordinò alle sue navi di avvicinarsi.
L’arrivo delle navi dell’ammiraglio Barbarigo, però, fece capire che c’era un ridimensionamento delle proporzioni, anche se estremamente favorevole ai turchi.
La battaglia durò l’intera giornata e si risolse con il trionfo dei cristiani.
Lo scontro iniziò a nord, tra le unità di Maometto Scirocco e quelle dell’Ammiraglio Barbarigo. La manovra turca di aggirare le navi cristiane fu immediatamente sventata dall’intervento delle galeazze cristiane che fin dai primi colpi affondarono almeno una galee nemica e scompaginarono il fronte avversario preoccupato di evitare il fuoco cristiano. Le unità di Scirocco si scontrarono a più riprese con quelle dell’ammiraglio Barbarigo ed il loro attacco fu sempre respinto grazie alla superiorità dell’armamento cristiano. In un’occasione, ad esempio, la galea dell'Ammiraglio Barbarigo riuscì a respingere l’attacco di ben cinque unità avversarie.
Se al nord la vittoria dei cristiani era quasi raggiunta, al centro le unità della Lega erano in difficoltà e la stessa nave di don Giovanni fu abbordata dai turchi. L’operazione degli ottomani, però, fu frustrata dall’intervento dell’ammiraglio Veniero che fece confluire rinforzi sulla “Reale” del comandante in capo cristiano. L’intervento, poi, delle unità di riserva di don Alvaro de Bazan capovolse il risultato: una galea turca fu catturata ed i cristiani tentarono, a loro volta, di catturare l’ammiraglia avversaria. Dalle navi di Marcantonio Colonna, infine, le scariche devastanti degli archibugieri falcidiarono i soldati musulmani finché, verso le ore 13.00, i soldati della nave di don Giovanni trasbordarono sull’ammiraglia nemica e lo stesso Alì Pascià fu ucciso.
Al sud, la lentezza della squadra di Gian Andrea Doria ed i suoi spostamenti, crearono incertezze e problemi ai cristiani che furono attaccati dalla squadra meridionale di Ulug Alì, forte di 90 unità, che affondò anche una galea dei Cavalieri di San Giovanni. A salvare la situazione fu ancora una volta don Alvaro de Bazan che, dopo aver portato aiuto al centro, si diresse verso il sud per affrontare il nuovo pericolo. Il rapido contrattacco di don Alvaro costrinse Ulug Alì a ritirarsi e, grazie al vento favorevole, a mettersi in salvo con appena 7 navi.
La battaglia era finita: i turchi ebbero 117 unità tra galee e galeotte catturate e 50 distrutte in battaglia, i morti furono circa 30.000, tra i quali il comandante Alì Pascià e Maometto Scirocco.
I cristiani persero solo 15 navi e 7.700 uomini (tra i quali, purtroppo, l’eroico Agostino Barbarigo, ferito a morte da una freccia avversaria), ma, oltre al ricco bottino conquistato, liberarono anche 12.000 vogatori cristiani, schiavi dei turchi.
Per la cronaca si ricorda che a questa battaglia partecipò anche lo scrittore spagnolo Miguel de Cervantes Saavedra, l'indimenticabile autore di don Chisciotte. Lo scrittore combatté eroicamente e fu ferito al petto ed al braccio sinistro (che poi gli fu amputato).

Vediamo ora, brevemente, i fattori che consentirono ai cristiani di battere la flotta avversaria più omogenea e più numerosa. In primo luogo occorre ricordare che il comandante cristiano, a dispetto della giovane età, non sbagliò neppure una mossa. Il fattore decisivo a far pendere l’ago della bilancia dalla parte cristiana, però, fu senza dubbio l’armamento: le navi ottomane erano armate con circa 3 cannoni ciascuna, mentre mediamente quelle cristiane erano dotate di circa 7 cannoni. Di conseguenza l’anacronistico impiego degli arcieri da parte dei musulmani contro il fuoco dei cannoni cristiani si rivelò ovviamente perdente. In più, i cristiani avevano progettato navi, le galeazze, impiegate per la prima volta proprio a Lepanto, che, nonostante fossero poco manovrabili e più lente, potevano imbarcare un maggior numero di cannoni e, di conseguenza, sviluppare una maggiore potenza di fuoco.
Il fatto poi che quasi tutti i vogatori delle navi della Lega fossero cristiani, fu senza dubbio un notevole aiuto alla flotta cristiana perché essi si rendevano conto di lavorare per il loro credo e per la loro libertà religiosa; il loro impegno era sicuramente superiore a quello dei vogatori cristiani, ridotti in schiavitù, che erano costretti a militare tra gli equipaggi musulmani.
Con la battaglia di Lepanto, l’eroico Marcantonio Bragadin era vendicato, il pericolo dei pirati saraceni definitivamente eliminato e le mire espansionistiche ottomane finalmente arrestate.
Per ricordare quella battaglia e ringraziare la Madonna per l’aiuto concesso, papa Pio V istituì la festa della Madonna del Rosario.

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