Fabula togata

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LA FABULA TOGATA

Plauto, Cecilio Stazio e Terenzio furono i tre grandi della commedia latina di ispirazione greca. Contemporaneamente, però, per naturale reazione dello spirito latino contro la supremazia ellenica, reazione che già si era vista con Catone il Censore e Nevio, si affermò un teatro di ispirazione nazionale, più popolaresco e grossolano, detto fabula togata. Il nome, forse non tutti sanno, gli fu dato perché gli attori non indossavano il pallio greco, ma la toga, indumento tipicamente romano. In questo genere di teatro si rispecchiava la vita del ceto più umile della società e gli ambienti non erano mai signorili o raffinati, bensì rozzi e grossolani. Proprio per gli ambienti che portava in scena, la fabula togata fu detta anche tabernaria, vale a dire “di taverna” (o di bottega).

Il successo di questo genere di commedia fu piuttosto breve soprattutto perché soddisfaceva sempre meno il palato dei romani che, per contro, diventavano sempre più esigenti e raffinati. Tutta la produzione degli autori di fabulae togatae, purtroppo, salvo pochi frammenti, è andata perduta.

In ogni modo, gli autori più importanti di questo genere furono Titinio, Afranio ed Atta. Dei tre il più rilevante fu senza dubbio Lucio Afranio, vissuto nell'età dei Gracchi e di Mario e Silla. Di lui, che fu grande ammiratore di Terenzio, ci restano 400 versi e 43 titoli. Le commedie più famose furono: “Compitalia”, ispirata alle feste nei crocicchi delle strade, e “Consabrini” (I cugini).

In quest’ultima l’autore affronta il tema pedagogico dell’educazione dei figli: Afranio era per la mitezza e la comprensione.

Di Tito Quinzio Atta, morto nel 77 a.C., ci restano 11 titoli, tra cui Tiro Proficiscen, e pochi versi.

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