De reditu

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DE REDITU

Città del Sole 3 dicembre 2001

Dopo essere andato via molti anni fa con tanta rabbia in corpo, oggi torno nel mio piccolo paese sempre con un certo piacere. (****)
In ogni caso il tempo sembra essersi fermato! Niente è cambiato dal giorno che partii … la strada continua ad avere la stessa cellulite di 20 anni fa. Fu Luigina a dire, con la sua semplicità disarmante, con il suo umorismo naif, che la strada “dentro Campo” aveva la cellulite. Eravamo nella mia Fiat 500 grigia; non ricordo più chi c’era con noi. (***) Percorrendo quella strada che sembrava far sbalestrare la macchina, mentre tutti imprecavamo contro una cattiva amministrazione che non sistemava mai quel manto stradale, con la naturalezza che la contraddistingueva, Luigina esclamò: “Mi sembra che questa strada abbia la cellulite!”. Tutti a ridere; eravamo giovani e spensierati allora, convinti che di lì a poco avremmo sistemato tutto, avremmo cambiato il mondo ... invece non siamo riusciti a far mettere a posto neppure la strada per Olevano: è sempre la stessa, infatti, con la sua cellulite che nessuno cura. Luigina, però, non c’è; non abita più ad Olevano sul Tusciano! Ha lasciato il nostro paesino tanti anni fa; mi hanno riferito che adesso vive al Nord, in una grande città ... è ritornata da dove era venuta! (***) Nigro signando lapillo … (***) Non l’ho più vista, però mi manca tanto la sua dolce ironia e la sua ingenua rabbia. Chi lo sa! … forse è ancora convinta di riuscire a cambiare l’umanità o forse non gliene frega più niente di questa società che va alla deriva, di questo mondo che va allo sfascio, essendo paga di quello che ha avuto, di quello che fa e di quello che è. Mi piacerebbe sapere come vive adesso, se è soddisfatta di sé e della sua vita, se si ricorda ancora del vecchio Tuscio maledetto e se lo ha perdonato… forse, però, mi ha dimenticato del tutto ed il solo pensarlo mi da un dispiacere grandissimo. (***) eravamo amici; ed io la chiamavo sempre con il suo nome: Luigina. Ricordo quando le feci provare l’”ebbrezza” di guidare la mia 500, pochi metri che sembravano chilometri, e la sua felicità per aver fatto qualcosa di diverso. Il suo candore mi commuoveva; a volte le piaceva comportarsi come una bambina e gioire anche di cose piccole, spesso insignificanti, ma che lei riteneva molto trasgressive, una sfida al tran tran quotidiano, una scossa all’appiattimento della vita, la rottura della routine di un paese sonnacchioso e pigro … era la sua ribellione contro il sistema, la sua dura rivolta contro il mondo, la sua accanita battaglia contro i mulini a vento, la sua guerra santa. Erano le sue rivoluzioni che altrimenti non avremmo fatto mai. (***). Quella volta che eravamo andati alla grotta di San Michele, il 29 settembre dell’anno in cui morirono i due bambini, mi chiese di girare, dentro "il giardino del Papa”, intorno ad un masso, tanto per fare qualcosa che nessuno avrebbe fatto mai …
normal_olevano-01-016.jpg La croce sovrastante il Giardino del Papa (foto di Luca C.)

È proprio vero che “pacce e piccirilli Dio l’aiuta”: a quel “piccolo giro”, infatti, dobbiamo entrambi la vita. Quel girotondo puerile ci fece arrivare tardi all’appuntamento con la morte: i sassi che caddero dall’alto della montagna non ci colpirono per un soffio, ma finirono appena pochi metri avanti a noi. (***) io che cerco di proteggerla, di calmarla, di tranquillizzarla, le lacrime che rigano il suo volto bello e pulito … Fu l’ultima volta che andai alla grotta di San Michele! Non trovo più né il tempo né la voglia di andarci di nuovo … eppure consiglio a tutti di visitarla perché la grotta di San Michele (o meglio “La Grotta dell’Angelo”) è un patrimonio naturale, culturale e archeologico unico al mondo, con numerosi documenti storici che testimoniano la sua importanza ed il suo splendore. Là vicino c’è il giardino del Papa … quante storie, leggende e ricordi sono legati a quei posti: chi della vecchia generazione non li conosce? Spero solo che tale cultura non vada dispersa … se si perde il passato, non si ha speranza per il futuro. (***)

Era la prima festa dell’Angelo (*) fu che così Silvana ed io diventammo amici. Feci, poi, amicizia anche con le altre ragazze del gruppo (***) … tutte erano dotate di un sorriso luminoso, come ragazze tusciane che la potenza del grande Tinia aveva voluto lasciare sulla terra per ricordare antichi splendori. (***)

Pensando a quei tempi, mi viene in mente quel gustoso aneddoto di cui fu, allo stesso tempo, protagonista e vittima una di loro. Fu davvero una scena simpatica … eravamo a Battipaglia in attesa dell’autobus e chiacchieravamo del più e del meno. Ad un certo momento il discorso cadde sui cantautori. … Rosetta, intervenendo sull’argomento, ingenuamente affermò:

"A me Guccini non mi piace tanto; mi piace solamente “un cazzo in culo!”.

La ragazza si morse la lingua … troppo tardi si rese conto di quello che le era scappato dalla bocca: il significato della sua frase era inequivocabile. (***)

Neanche quella ragazza ho più visto per tutti questi anni. Più ci penso e più mi sembra che, andando via, Luigina abbia portato con sé, come se fossero di sua proprietà, tutte le amiche che mi aveva fatto conoscere (ma non il ricordo). Non ho più visto nessuna di loro … nemmeno per sbaglio e neppure so che fine hanno fatto. Mi piacerebbe sapere se qualche volta qualcuna si ricorda per caso di me e quale è il suo giudizio: ho tanta paura, però, che si tratta di una condanna senza possibilità d’appello. Sono certo che ognuna di loro ha un rimprovero da muovermi e ne avrebbe tutte le ragioni. O forse sono troppo presuntuoso e la realtà è che nessuno si ricorda di me ed io sono caduto nel dimenticatoio? Probabilmente per loro io non ho rivestito la stessa importanza che loro hanno avuto per me! Ha ragione Guccini quando dice “quante volte per altri è vita quello che per noi è un minuto”. (***)

Trovo tutto come lo lasciai!
normal_olevano-10-003.jpg I tubi che portano l'acqua alla Centrale (foto di Luca C.)

Ogni cosa al suo posto: i “tubi” che portano l’acqua alla “Centrale” sono ancora là, li vedi come sempre prima di arrivare ad Ariano … e poi scorgi le “pietre del Castello”, il famoso “Castrum Olibani”. Questo, risalente all’ottavo-nono secolo, fu costruito, come tutti gli altri castelli, per difendere la popolazione dagli attacchi e dalle incursioni soprattutto dei saraceni: sicuramente è uno dei pochi che può vantarsi di non essere stato mai espugnato. La sua posizione lo rendeva sicuro: ai lati ci sono appunto le famose “pietre”, due giganteschi massi che sembrano fargli da guardia del corpo; alle spalle un dirupo scosceso che scende fino al fiume Tusciano e dinanzi una cerchia di mura. L’imperatore Enrico II, nel 1022, lo confermò all’Arcivescovo di Salerno e fu abitato fino al tardo Medioevo, a Quattrocento inoltrato. Capace di resistere ad ogni assalto, in caso di pericolo poteva ospitare, entro la sua cerchia di mura, tutta la popolazione olevanese. Mi è sempre piaciuto quel Castello … mi ci sarebbe piaciuto viverci dentro, in qualsiasi epoca. Una notte addirittura sognai che esso era ancora in attività, io ne ero diventato il feudatario e dovevo entrarne in possesso. (***) qualcuno aveva acceso le luci.
Mi svegliai.
Ero deluso.

normal_olevano-09-007.jpg I ruderi del Castello (foto di Luca C.)

Ormai di esso sono rimasti pochi ruderi che continuano a sfidare i secoli, quasi fossero nuovi nemici. Sono gli stessi ruderi di quando mi ci recai, per la prima ed unica volta, circa 30 anni fa, per una delle più piacevoli scampagnate che ricordi. La solennità di quelle pietre, più che i resti del castello, sembra una sfida al tempo che passa e che tutto distrugge.
A sfidare il tempo è rimasto anche "il convento” che continua a subire le ingiurie del tempo e degli uomini, ma ancora resiste. Carlo Carucci, il grande storico nato nella mia borgata, definisce Olevano sul Tusciano “Un feudo ecclesiastico nell’Italia Meridionale”. Esso, infatti, apparteneva alla Mensa Arcivescovile di Salerno e come tale poté essere meta di una “gita” di papa Gregorio VII, esule a Salerno, ospite di Roberto il Guiscardo. Da quella visita effettuata dal santo pontefice alla “Grotta”, nacque probabilmente la leggenda del “Giardino del Papa”, troppo nota per doverla raccontare. Io credo che lo storico non si riferisce solo a questa “appartenenza”, ma, probabilmente al grande numero di chiese, cappelle e luoghi di culto che esistevano a Olevano, più di uno per borgata. Senza contare Ariano e Monticelli, e fermandoci solo a Salitto e dintorni, ricordiamo che “Santa Lucia” è tuttora la parrocchia di Salitto; i ruderi di “Santa Sofia” e “San Rocco” si possono vedere ancora oggi alla Porta; la “Madonna del Soccorso”, la famosa “Cappella”, con le sue campane gigantesche, sta a Busolino, mentre a Borgo Valle il visitatore trova la “Madonna del Rosario”, interamente ristrutturata dopo il terremoto del 23 novembre 1980, la “Madonnella” ed appunto "il convento”.

Il convento domenicano di “Santa Maria di Costantinopoli” risale al 1500. La sua fu una fine ingloriosa. I frati domenicani lo abbandonarono dopo l’introduzione delle leggi anticlericali francesi; fu venduto all’asta, passando poi di padrone in padrone, come pertinenza del terreno circostante. Meritava di più! Nel periodo di splendore doveva essere qualcosa di grandioso, un’opera di cui interessarsi per restaurarlo, per salvarlo, per farlo vivere ancora. Nella cappella c’erano nicchie con affreschi meravigliosi che, dopo l’abbandono da parte dei frati, perdurando il totale disinteresse dei nuovi proprietari, il tempo (inteso anche e soprattutto come agenti atmosferici) deteriorava giorno dopo giorno. Ricordo che alcune nicchie erano “murate”, ma ogni tanto qualcuno toglieva quella “protezione” e riportava alla luce altri affreschi per consegnarli alla rovina del tempo.

Una volta tentarono di rubare quegli affreschi e, come già altri avevano fatto con le tombe etrusche, portare quelle opere all’estero, presso estimatori privati. Avevano già “tagliato” parte dell’intonaco dai muri, quando, purtroppo, sopraggiunse un nugolo di carabinieri che sventò il colpo e così quegli affreschi ora sono irrimediabilmente perduti. Assistetti alla scena dal balcone di casa mia: quanto mi sarebbe piaciuto che, invece di perseguire chi in fondo amava e voleva salvare quel patrimonio culturale, invece di perdere tempo con chi avrebbe sottratto all’oblio eterno quelle testimonianze del genio umano, i carabinieri avessero impiegato il loro tempo per arrestare ladri ed assassini, teppisti, lenoni, strozzini, mignotte, papponi e via di seguito (***).

normal_olevano-10-004.jpg Ruderi del Convento "Santa Maria di costantinopoli" (Foto di Luca C.)

Il convento era il mio rifugio, il mio luogo di meditazione e di raccoglimento (***) Mi ci recavo quando iniziava la primavera, ai primi di aprile, quando il tempo cominciava a riprendersi ed io con esso, quando il primo sole mi restituiva le forze e la ragione, quando cominciavano a spuntare gli asparagi … allora avevo già finito il liceo. (***) … e piano piano salivo verso il convento. Una volta giuntovi, prima “mi guardavo” tutti i cespugli intorno alle mura e poi entravo nel convento vero e proprio. La prima volta che ci andai da solo fu un’emozione ed una delusione allo stesso tempo: era pieno di erbacce e di spine (***). Esse coprivano interamente ciò che un tempo era stato il chiosco e nascondevano l’imboccatura della cisterna che stava al centro. Era pericoloso avvicinarsi: si correva il pericolo di precipitarci dentro e morire, senza possibilità di salvezza perché nessuno avrebbe udito la tua richiesta d’aiuto. Io sapevo che si trovava proprio là perché l’avevo visto in quinta elementare, durante una gita scolastica, ma non mi ci ero avvicinato più di tanto. Quel giorno poi noi bambini ci divertimmo tantissimo senza spendere un soldo e senza giocattoli. Oggi invece un bimbo ha bisogno sempre di giochi costosi, magari elettronici, dove egli, più che attore, è solo un inutile spettatore.

Dopo aver raccolto gli asparagi nel chiosco, mi recavo al piano superiore, dove un tempo c’erano le celle dei monaci. La prima volta ci andai solo per “farmi una cultura”, per veder come era suddiviso il piano e quale era lo spazio che avevano a disposizione i frati. Con sorpresa anche lì trovai gli asparagi; ne trovai tanti perché nessuno aveva mai pensato di andare a cercarli proprio là. L’ultima volta che entrai in una di quelle celle, il pavimento mi mancò sotto i piedi. Tutto stava cedendo alle intemperie e mi resi conto che ormai quei pavimenti non avrebbero più retto il mio peso … la volta successiva che andai al convento, infatti, mi fu impossibile salire al piano superiore. Dopo aver visitato le celle, ad ogni modo, me ne andavo in quello che doveva essere stato il giardino … mi stendevo sull’erba e, mentre il fumo saliva in aria, con la fantasia cambiavo il mondo, la mia vita, sistemando tutto ciò che non andava per il verso giusto.

normal_Borgo_Valle.jpg Borgata Valle vista dall'alto - Borgata Valle top view (foto dell'Anonimo Olevanese)

Era bello sognare e quelli erano i momenti più belli della mia vita, le mie ore più felici e serene. Costruivo castelli in aria e di quei castelli ne ero il signore. Tutte le storie cominciavano con la vincita di un miliardo al totocalcio; non era certo poco, considerando che in quel tempo un mio amico, anzi una persona che avevo conosciuto quando facevo pratica da un legale, campava di rendita avendo in banca un gruzzolo di soli 35 milioni di lire e lo stipendio di un impiegato non raggiungeva le 200 mila lire. Con i soldi di quella vincita compravo il convento e la sede per una associazione che serviva a dare nuova vita ad una borgata che già allora stava scomparendo. Aprivo negozi, inauguravo palestre, organizzavo tornei … (***)

Il “bar di (*)” è sempre là, uguale a quello di tanti anni fa. Soltanto ora non c’è più (*) a farci il caffè, a servirci un liquore, a preparare il gelato; egli è andato via, via per sempre. Chissà! Forse nell’aldilà ha aperto un nuovo bar ed ora serve la solita mezza birra ai giocatori di sempre. (***)

E quando arriverò, in ritardo come sempre, zio Lazzariello, con il suo fine umorismo, mi dirà: - Nepò! Mi avevi fatto preoccupare. Credevo che ti eri perso!

Già, zio Lazzariello! … Non so se eccelleva di più per saggezza o per filosofia di vita (***). Era anche molto puntiglioso zio Lazzariello! Non voleva, per esempio, in nessun modo essere invitato ad una festa con la solita “partecipazione” inviata per posta; a tal proposito coniò il celeberrimo motto: “Carta va e carta vène!”. (***)

Ogni sera (****) ci ritrovavamo davanti al bar (*) per la solita partita a scopone: la posta in palio, a fronte di un accanimento incredibile, era davvero minima: solo cento lire per giocatore. Naturalmente solo la coppia perdente pagava; si compravano otto caramelle o quattro pezzi di cioccolata e si divideva fra tutti i giocatori. Le partite duravano molto: il gioco di per sé è lento e laborioso, le persone erano anziane (eccetto * ed io), le sfide erano sempre “due e se ci scappa la bella”, cioè alla coppia che aveva perso si concedeva sempre la rivincita (tranne in casi eccezionali, quando qualcuno andava di fretta, ed allora si faceva una partita “secca a 21”) ed il più delle volte “la bella” ci scappava. (***)

Eravamo tutti ottimi giocatori, ma ognuno, ovviamente, era in possesso di caratteristiche peculiari; forse, ma solo a mio giudizio, tra tutti emergeva (*), sia per memoria sia per tecnica. Non tutti erano di questo avviso; più di uno, al contrario, gli rimproverava un tecnicismo esasperato ed una fantasia eccessiva che andavano a discapito delle “regole dello scopone”. Qualcuno, poi, riteneva addirittura che il più bravo del gruppo fossi proprio io, ma la cosa non è per niente di interesse. Le coppie di gioco, per evitare lamentele, erano formate dalla sorte con la ben nota regola “le prime due carte di denari vanno insieme”. In ogni modo zio Lazzariello preferiva fare coppia con me; a pensarci bene tutti mi volevano come compagno di gioco ed erano molto soddisfatti quando “la carta condannava” (gli altri). Forse il motivo è da vedere non solo nella mia indubbia bravura, quanto nella mia calma serafica, nella mia imperturbabilità di fronte alla sorte, nel mio non rimproverare mai il compagno di gioco quando sbagliava, nella mia assoluta serenità durante la partita. È giusto ricordare, però, che al nostro tavolo non si alzava mai la voce, né tanto meno si litigava o si bestemmiava. Il nostro era diverso da tutti gli altri tavoli, specialmente da quelli dove si giocava a tressette, dove si tiravano moccoli e maledizioni, dove le parolacce e le volgarità erano una cosa normale. Per questo non gioco più a carte quando vado a Olevano. (***)

Ritornando ai miei “doposcuola” posso sostenere, senza paura di essere smentito, di aver conseguito sempre eccellenti risultati.

(***) Conoscendo la mia eterna sfiga, ero sicuro di incontrare una “cozza”, una liceale occhialuta, secca e priva di curve, dove San Giuseppe si era divertito a “passarci la chianozza” … Grande fu la mia sorpresa quando di fronte mi trovai la mia futura allieva. Patrizia era una ragazza niente male, direi molto carina, anzi non è affatto esagerato dire bella: ci mancava solo che, invece dei blu jeans, indossasse il chitone. Io la conoscevo già da qualche tempo, anche se ora non ricordo né come né quando l’avevo incontrata per la prima volta. Non eravamo per niente amici, anzi, se la memoria non mi inganna, le ero addirittura antipatico o forse così credevo che fosse … sicuramente non mi dava un minimo di confidenza. Forse era l’atteggiamento di tutto il suo gruppo, ma, in ogni caso, non importa più di tanto … lei chiedeva aiuto proprio a me! Facemmo un rapido punto di situazione: nella materia in cui dovevo darle lezioni aveva appena preso una grave insufficienza (un quattro, in pratica) e questo, ad un mese o poco più dalla fine dell’anno scolastico, era veramente drammatico e rendeva il recupero un compito talmente arduo che molti avrebbero ritenuto impossibile. Pattuii con il padre il compenso: 1.000 lire al giorno (che in un primo momento lo fecero sobbalzare dallo stupore, tanto le ritenne eccessive) … (***)

Ed il tempo passava in fretta sia perché il piacere di stare con lei mi faceva volare i minuti, sia perché eravamo molto concentrati al punto da non accorgerci, a volte, neppure che il sole era tramontato. Ed una sera, mentre spiegavo per l’ennesima volta una lezione che la ragazza stentava a capire, si aprì improvvisamente la porta della stanza. Era il padre che, con un tono non certo pacato, anzi addirittura visibilmente adirato, mi fece:

- A quest’ora sei ancora qui?

Il padre di Patrizia lo avevo visto solo quando avevamo stabilito il compenso per il mio incarico (***) di lui mi avevano detto cose terribili, (***). Così, quando la porta della stanza si aprì ed il padre di Patrizia mi chiese: “Sei ancora qui?”, per un momento mi venne il cuore in gola, ebbi paura, tremai, mi sentii improvvisamente perduto, colpevole di qualcosa che non sapevo. Fu lo smarrimento di un attimo! Subito ripresi il mio sangue freddo e con tono fermo, leggermente irritato, replicai: “Per cortesia vai fuori! Ne parliamo dopo! Qui stiamo a lavorare, mica a giocare … e quindi non mi scocciate! Altrimenti cercati un altro che vi faccia doposcuola!”

Sicuramente il povero cristo non si aspettava quella reazione e uscì dalla stanza perplesso, quasi sbigottito direi, senza proferire parola, non credendo a quanto stava succedendo. Patrizia rimase stupita per il mio coraggio (me ne accorsi da come mi guardava ammirata), ma io già mi ero pentito del mio gesto. Dopo un quarto d’ora circa, a lezione finita, mentre salutavo per andare via, il padre mi chiamò e si discolpò con voce sommessa: “Scusami Tuscio! Non volevo disturbarti! So che vi state impegnando molto e ti ringrazio, ma ero preoccupato per te perché è molto tardi e tu devi andare da solo con la macchina fino a casa tua”!

Ed io, ripreso coraggio ed ingiustamente duro: “Non ti preoccupare per me! So quello che faccio!”
(***)

Quel doposcuola mi diede grandissima fama: sicuramente immeritata presso i miei amici che fantasticavano per me avventure assurde con le allieve, ma ampiamente giustificata, presso studenti e genitori, come insegnante capace di ottenere qualsiasi risultato. (***)

Non c’è più la gente che conoscevo e che era tutto il mio passato; sono andati via quasi tutti, ognuno seguendo una strada diversa. Il brutto è che spesso mi dicono che tanti sono morti ed è questo il motivo per il quale non li vedo più. Non ci credo, mi dicono bugie, mi prendono in giro, mi vogliono imbrogliare ... cosa significa sono “morti”? Cosa vuol dire morire? Si muore quando si è ignorati ...

Mi hanno raccontato che quando zio Lazzariello era in ospedale, poco prima di lasciare questa terra, stava sul letto, assorto, apatico, come senza vita. Un giorno che mia madre era andata a fargli visita, una signora, anch’essa in visita ad un parente della stessa stanza, le raccontò:

- Ieri è venuto un signore anziano a fargli visita. Li dovevate vedere! … questo fatto, questo episodio, quei ricordi. Sembrava essere rinato. Sono stati a chiacchierare quasi due ore … poi, quando quel signore è andato via, è ripiombato nel suo torpore di sempre, nella sua apatia. È strano! Sembra non abbia voglia di vivere…
(***)

Per questo mi sento un poco colpevole … se avessi potuto far visita a zio Lazzariello quando era in ospedale, sicuramente gli avrei donato altri minuti di vita, forse ore, giorni, settimane, chi sa! Avremmo parlato delle partite a scopone che ci aspettavano, del bar dove mancava sempre “il quarto”, dei fichi d’India che bisognava curare e gli avrei chiesto anche di insegnarmi a costruire e poi a suonare il flauto, e poi … come poteva dunque permettersi il lusso di morire se suo nipote aveva un tale bisogno di lui? Gli sarebbe toccato vivere ancora! Avrebbe dovuto chiedere una proroga agli dei! E così Tatillo: la morte poteva aspettare se qualcuno parlava con lui, ancora ascoltava i suoi racconti, le sue esperienze … ed aveva bisogno della sua saggezza antica.

Ora essi non ci sono più, anche per colpa mia!

Spesse volte mi informo di qualche vecchio conoscente che non vedo da tempo immemore: uno si è trasferito, l’altro è andato in pensione, chi si è sposato, a chi è nato un bimbo, quella ha sposato un vecchio cadente, quell’altra ha divorziato, chi fa una cosa, chi un’altra.

- È morto! - mi sento rispondere qualche volta.

Ed io ribatto che non può essere vero … Perché mi dicono che è morto? Perché è morto? Perché? È morto forse zio Lazzariello la cui saggezza antica ha superato gli angusti confini tusciani e si è propagata fin nella ridente città bimare, nella città eterna, e nuova gente lo conosce di fama? No! Non ci credo … Non solo non è morto zio Lazzariello, ma non sono morti neppure tutti gli altri il cui ricordo è ancora nella mente di chi li ha conosciuti.

- Ma io li ho accompagnati al cimitero …

E allora? Tanti, mi dicono, si sono trasferiti altrove, al Nord, a Firenze, a Battipaglia; li abbiamo accompagnati alla stazione, alla fermata del pullman, vicino alla macchina e nessuno dice che sono morti; altri continuano a vivere a Olevano, ma non li vedo comunque … ed essi sono vivi. E se essi sono vivi ed io non li vedo da decine di anni, perché allora non possono essere vivi anche chi non vedo da poco tempo? Ed infatti essi sono vivi, ma vivono altrove…

Si può essere morti anche se si continua a parlare, camminare e respirare ed essere vivi anche chiusi nell’angusta tomba di un cimitero.

Ora ad Olevano non trovo più nessuno; la gente davanti al bar non mi conosce ed io ignoro chi essa sia. E se chiedo dei vecchi giocatori di un tempo, continuano a dirmi che quello è morto, uno è ammalato e non esce di casa come una volta, qualcuno è andato via ... morto. Ed io non capisco … Possono essere morti quelli che continuo a vedere ogni giorno, di cui ricordo le parole e le gesta? No! Non sono morti, almeno non per me! E credete che sono vivi quelli che non vedo da anni, di cui non ricordo il nome e neppure il volto? Io non lo credo! Forse esistono, ma per me è come se fossero morti. Rendiamoci conto che esistere, vivere e morire hanno confini molto labili che non riusciamo ad identificare, non possiamo stabilire. E mi convinco sempre di più che la morte non esiste, ma durante questo viaggio a tappe che abbiamo iniziato con la nascita, ognuno di noi raggiunge la sua destinazione, prima il Nord, poi l’Estero, la Germania, l’America, l’Australia ed infine quello che chiamiamo Paradiso, Aldilà, Altra Vita, la Pace Eterna. E ci troveremo tutti … là rinsalderemo i nostri vincoli, le nostre amicizie, i nostri amori, i nostri affetti. E quando arriveremo, cercheremo, tra i tanti, i volti conosciuti, amichevoli, che ci facciano da guida in un ambiente che non conosciamo, ma nel quale loro si muovono a proprio agio perché sono giunti prima di noi e già si sono ambientati. A loro ci raccomanderemo per essere trattati meglio, per avere il nostro spazio, per essere giudicati con occhio benevolo.

Ed io stesso mi vedo giungere timido ed impacciato davanti al bar … mi fermo indeciso, mi sento addosso mille sguardi ostili, nessuno mi degna di un saluto ... sono un forestiero, oggi come mille anni fa!

normal_Ariano_-_Fora_a_Santa_Croce%281%29.jpg Fora' e pesciolini (foto dell'Anonimo Olevanese)


Penso che non entrerò, resterò fuori della porta, forse me ne andrò a sedere sopra una panchina, “fora ‘e pesciolini”. Poi mi faccio coraggio ed entro, guardo tra i tavoli … vedo zio Lazzariello ed Ertenisio che si contano i punti della partita a scopa che hanno iniziato perché io non c’ero ancora. Intanto anche altri sono arrivati davanti al bar e scrutano tra i tavoli …cercano qualcuno, qualche parente, qualche amico, qualche conoscente. La paura attanaglia, però, i nuovi arrivati. Si corre, infatti, il rischio di non conoscere nessuno o, peggio ancora, di sentirsi dire:

- Adesso ti ricordi di me? Perché per tutti questi anni non ti sei fatto vivo? Perché non sei venuto a visitarmi?

- Cosa dici? – qualcuno protesterà – Io, il 2 novembre e tutte le volte che entravo in una chiesa, ho sempre detto un Eterno Riposo per te, ho acceso un lumino. Ho fatto dire anche una messa per ricordare il giorno della tua morte!

- Proprio per questo io sono morto! Non hai mai trovato cinque minuti di tempo per stare con me. La tua preghiera era rivolta a Dio, e di questo ti ringrazio, ma quando mai hai parlato con me? Quando ti sei rivolto direttamente a me? È come se mi avessi mandato un pacco di viveri o una cartolina, ma per il resto mi hai considerato morto. Ora che hai bisogno di me, subito mi sei venuto vicino, subito mi hai riconosciuto! Dice bene il proverbio: “Quanno se zappa …”.

Allora non si saprà come rispondere, ci si renderà finalmente conto degli errori commessi ... ci sarà da piangere.

Io non voglio che mi possa accadere questo, non mi va l’idea che la gente che mi ha amato e che io pure ho amato mi possa o mi voglia ignorare per l’eternità.

E resto a guardare coloro che giocano a carte… ad un tratto zio Lazzariello alza gli occhi dal tavolo; mi vede; mi sorride; fa una battuta; mi invita a bere qualcosa. Anche Ertenisio si accorge di me e mi saluta cordiale, anche lui mi invita a bere ... già chiamano (*) per far portare “qualcosa”. Vorrei offrire io, ma mi accorgo di non avere il portafogli, di non avere denaro con me: possiedo soltanto quella moneta che avrei dovuto dare a Charun per farmi traghettare nell’ultimo viaggio. La stringo ancora tra i denti! Non so se il mio cammino è davvero finito, se resterò dove sono arrivato … non so ancora se mi vorranno con loro … non so neppure quando Charun verrà a prendere la moneta che gli spetta ….

- Lascia stare: è già tutto pagato!

- Grazie! Mi dovete scusare, ma sono confuso, mi sento un po’ spaesato ... non capisco neppure dove mi trovo!

- E che caspita! Sei a Olevano, dove credi di stare? Già ti sei scordata la tua casa? In ogni modo non ti preoccupare: avviene così per tutti per quelli che ritornano a casa! Tu, però, stai tranquillo e senza pensieri ... ci incarichiamo noi di tutte le pratiche da espletare per restare qui … perché tu resti qui, vero?

- Si! Vorrei restare! Ma ci sono anche pratiche da sbrigare? Credevo che una volta arrivato qui, fosse tutto finito!

- No, ci restano da assolvere alcune incombenze, anche se sono pure formalità. Devi sostenere un esame ed in base a quello si vedrà se potrai restare qui e quale posto ti deve essere assegnato.

A sentire parlare di esami mi prende l’angoscia, il timore del giudizio, la paura di non riuscire a superare una prova per la quale non sono preparato. È la storia che si ripete: davvero gli esami non finiranno mai?

- È il giudizio universale! – chiedo con il cuore che mi batte a più non posso, terrorizzato da un evento che sapevo doveva succedere, ma che avevo visto sempre lontano.

- Si – rispondono quasi insieme zio Lazzariello ed Ertenisio – è proprio il giudizio universale di cui tante volte avrai sentito parlare. Tutti devono essere sottoposti ad esso: alla giustizia divina non si sfugge. Come si suole dire: “Dio è lungariello, ma nun è scurdariello!”, anche se sempre di più lo si dimentica.

- Ed il giudice è Dio in persona? – domando ancora più terrorizzato, ben sapendo che la mia è una domanda retorica.

- Non sempre! Il buon Dio ha tanti impegni … deve controllare e dirigere tutto l’Universo: non è una cosa facile, niente è lasciato al caso ed alla fine i conti devono tornare. Gli uomini, poi, gli danno un sacco di pensieri, non riescono proprio a comportarsi come si dovrebbe: odio, violenza, guerra. Sembra che la ragione di cui sono dotati la usano solo per compiere il male o, al limite, per fare cose inutili. Se dovesse giudicare tutto lui, la gente rischierebbe di dover attendere anni, prima di sapere dove andare. Per questo motivo non sempre presiede ai giudizi. Egli esamina i casi più spinosi, ma il più delle volte, se gli è fatta richiesta, affida l’incarico ad una giuria con tanto di accusatori e difensori. Come posso dirti? Potremo parlare di giudici di pace ... dei conciliatori … dei “boni homini” … in ogni caso di elementi dotati soprattutto di buon senso, per risolvere le “controversie” senza imbrigliare la gente tra lacciuoli e cavilli giuridici. Naturalmente deve trattarsi di gente che merita questo privilegio, che deve aver dimenticato del tutto la mentalità umana. Se per caso si facesse prendere dalla mania di grandezza, allora non avrebbe più tale onore e prestigio. Se a giudicare fossero gli uomini con la mentalità che hanno sulla terra, di sicuro avremmo il Paradiso vuoto e l’Inferno stracolmo ... - Chi saranno i miei giudici? Mi giudicherà Dio? Ho paura: non voglio essere giudicato da Lui! – replico dimostrando di non aver capito niente e che la paura mi ha ottenebrato il cervello.
- Non ti preoccupare – mi consola zio Lazzariello – E noi che ci stiamo a fare? Abbiamo già parlato con il Padre Eterno e così sarai giudicato da una commissione. Il presidente di essa è Zì Peppino, si, proprio tuo nonno. Io faccio l’accusa; Ertenisio, suo fratello Umberto e Carlino sono i difensori. La giuria sarà composta da Tatillo, Peppe Fusillo, Fratel Di Spirito e due forestieri che ho conosciuto qui, un certo Avile Vipiennas ed una ragazza, sua nipote Larthia, che sono qui da oltre duemila anni e che ti stavano aspettando. Molte volte, infatti, sono venuti ad informarsi se per caso tu fossi arrivato … Essi non sono di questi posti, ma del Nord, di un posto che non conosco, mi sembra che hanno detto che si chiama Veio. Non ho potuto dire di no perché quella è gente che conta, sono qui da tanto tempo ed hanno un sacco di amici. È gente che con il Padre Eterno si danno del “tu”. Hanno detto che sono tuoi amici e vogliono essere anche loro i tuoi giudici … li conosci davvero?

Mi sento improvvisamente leggero e sereno: nessuno mi ha abbandonato. I miei vecchi amici, le persone che mi volevano bene, hanno parlato con Dio e saranno proprio essi a giudicarmi … anche i miei vecchi etruschi si sono ricordati di me e sicuramente mi perdoneranno per essermi presentato senza insegne e senza littori, senza aver portato a termine i miei compiti, sconfitto.

- Si! Sono miei amici che non vedo da secoli…
- Allora tutto a posto!
- Ma io un giorno vedrò Dio? – chiedo, quasi deluso che il Padreterno mi abbia considerato una “routine”, un caso insignificante come tutta la mia vita.
- Sicuro! Hai forse qualche dubbio? Ti dirò, anzi, che qualche giorno fa, proprio lui mi ha detto che quando saresti arrivato avrebbe voluto fare una partita a scopone con te per vedere se sei davvero tanto bravo!
- Davvero Dio ha detto così? Davvero, fra tanti milioni di persone, mi conosce così bene al punto di sapere che sono un giocatore di scopone? Davvero faremo una partita insieme? – non credo a quanto sto sentendo, non conoscendo l’infinito amore di Dio.
- Certo! Ricordati che Dio non ha figli dimenticati!

Le carte sono già pronte. Dico a zio Lazzariello ed Ertenisio di finire tranquillamente la partita che hanno iniziato. Io, prima di sedermi al tavolo voglio prendermi un caffè, farmi un giro per il paese. (****) per incanto mi accorgo che tutti quelli che credevo morti sono vivi e capisco che noi possiamo farli vivere parlando con loro, parlando di loro, pensando a loro ...

Ed ho ritenuto che essi meritano quello che non mi è stato possibile dare loro tanti anni fa: il mio tempo. Sono entrato nel cimitero e sono andato a far visita a tutti loro, uno per uno. Ho camminato tra le tombe, li ho cercati, li ho trovati, mi sono fermato a parlare con loro …

… e per la prima volta mi è sembrato che tutti mi abbiano sorriso.

È il Tuscio che disse questo thumb_Anonimo_olevanese.jpg

Anonimo Olevanese da piccolo osserva il mondo


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