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Anonimo olevanese (Discussione | contributi)

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Anonimo olevanese (Discussione | contributi)

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-'''DE REDITU''' 
-Città del Sole 3 dicembre 2001 
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-Dopo essere andato via molti anni fa con tanta rabbia in corpo, oggi torno nel mio piccolo paese sempre con un certo piacere. Non avrei scommesso una lira che questo potesse succedere e non so perché avviene, eppure è così … e non me ne rammarico. Probabilmente sapere che è andata via tanta gente che conoscevo mi dà il timore che il rinvio di un’eventuale rimpatriata mi tolga la possibilità di vedere per l’ultima volta persone a me care; forse, invece, ritorno con un certo compiacimento perché non rientro del tutto sconfitto, ma soddisfatto di un più che dignitoso pareggio o anche perché si tratta pur sempre di tuffarsi nel passato, in un tempo che in ogni caso dà momenti di serenità, che porta lontano dal campo di battaglia di tutti i giorni, che allontana, almeno per un poco, dai soliti pensieri e problemi ... non lo so!<br />In ogni caso il tempo sembra essersi fermato! Niente è cambiato dal giorno che partii … la strada continua ad avere la stessa cellulite di 20 anni fa. Fu Luigina a dire, con la sua semplicità disarmante, con il suo umorismo naif, che la strada “dentro Campo” aveva la cellulite. Eravamo nella mia Fiat 500 grigia; sfidando un posto di blocco dei carabinieri (che forse finsero di non vederci) e le leggi della fisica, eravamo saliti in sette/otto sulla mia piccola utilitaria. Non ricordo più chi c’era con noi. Probabilmente erano ragazzi e ragazze usciti da scuola che facevano l’autostop per ritornare a casa; mi sembra che fossero amici di Luigina che non volevamo lasciare a piedi: li prendevo a bordo, infatti, l’uno dopo l’altro. Percorrendo quella strada che sembrava far sbalestrare la macchina, mentre tutti imprecavamo contro una cattiva amministrazione che non sistemava mai quel manto stradale, con la naturalezza che la contraddistingueva, Luigina esclamò: “Mi sembra che questa strada abbia la cellulite!”. Tutti a ridere; eravamo giovani e spensierati allora, convinti che di lì a poco avremmo sistemato tutto, avremmo cambiato il mondo ... invece non siamo riusciti a far mettere a posto neppure la strada per Olevano: è sempre la stessa, infatti, con la sua cellulite che nessuno cura.<br />Luigina, però, non c’è; non abita più ad [[Olevano sul Tusciano]]! Ha lasciato il nostro paesino tanti anni fa; mi hanno riferito che adesso vive al Nord, in una grande città ... è ritornata da dove era venuta! Non l’ho più vista da quando credo di averla offesa, dal giorno, da quel brutto giorno, che le diedi torto quando lei meno se lo aspettava perché convinta di meritarsi la ragione. Nigro signando lapillo … l’avevo delusa senza accorgermene. Lei ci rimase male e non me ne resi conto; ci rimase male e me lo fece capire. Troppo tardi me ne ravvidi per rimediare … ed ancora adesso sto maledicendo me stesso: quella, forse, fu anche la mia capitolazione; in quel momento alzai la mia bandiera bianca per una resa senza condizioni. Sicuramente lei si sentì ingannata, imbrogliata, truffata, soprattutto perché già intuiva che stavo tradendo le nostre idee; non l’ho più incontrata da quando le dimostrai che era sbagliato credere in me, perché non ero né l’eroe omerico che stimava che io fossi né il cavaliere errante che le ero sembrato, non ero il guerriero tirreno che sorride con la sicumera del più forte, ma un pallone gonfiato, un goffo giullare, nano di corte, pagliaccio da circo. Non l’ho più vista, però mi manca tanto la sua dolce ironia e la sua ingenua rabbia. Chi lo sa! … forse è ancora convinta di riuscire a cambiare l’umanità o forse non gliene frega più niente di questa società che va alla deriva, di questo mondo che va allo sfascio, essendo paga di quello che ha avuto, di quello che fa e di quello che è. Mi piacerebbe sapere come vive adesso, se è soddisfatta di sé e della sua vita, se si ricorda ancora del vecchio Tuscio maledetto e se lo ha perdonato… forse, però, mi ha dimenticato del tutto ed il solo pensarlo mi da un dispiacere grandissimo.<br /> Una volta, però, ora che ci penso, sono sicuro di averla sognata e nel sogno non mi è sembrata arrabbiata con me. Il brutto, però, è che lei mi è sembrata indifferente; purtroppo era un sogno fatto poco prima di svegliarmi, all’alba, quando sogno e vita reale si confondono.(***) perché riteneva di essere qualcosa di più; eravamo amici; ed io la chiamavo sempre con il suo nome: Luigina. Ricordo quando le feci provare l’”ebbrezza” di guidare la mia 500, pochi metri che sembravano chilometri, e la sua felicità per aver fatto qualcosa di diverso. Il suo candore mi commuoveva; a volte le piaceva comportarsi come una bambina e gioire anche di cose piccole, spesso insignificanti, ma che lei riteneva molto trasgressive, una sfida al tran tran quotidiano, una scossa all’appiattimento della vita, la rottura della routine di un paese sonnacchioso e pigro … era la sua ribellione contro il sistema, la sua dura rivolta contro il mondo, la sua accanita battaglia contro i mulini a vento, la sua guerra santa. Erano le sue rivoluzioni che altrimenti non avremmo fatto mai. Sia chiaro: non mirava ad azioni eccezionali o spettacolari, non voleva compiere gesti clamorosi, bensì diversi, insoliti e che avrebbero dovuto suscitare curiosità se non attenzione. <br />Quella volta che eravamo andati alla [[grotta di San Michele]], il 29 settembre dell’anno in cui morirono i due bambini, mi chiese di girare, dentro "[[il giardino del Papa]]”, intorno ad un masso, tanto per fare qualcosa che nessuno avrebbe fatto mai … <br /> 
-http://lnx.pksoft.it/pkakira/albums/userpics/10003/normal_olevano-01-016.jpg 
-La croce sovrastante il Giardino del Papa (foto di Luca Capone) 
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-È proprio vero che “pacce e piccirilli Dio l’aiuta”: a quel “piccolo giro”, infatti, dobbiamo entrambi la vita. Quel girotondo puerile ci fece arrivare tardi all’appuntamento con la morte: i sassi che caddero dall’alto della montagna non ci colpirono per un soffio, ma finirono appena pochi metri avanti a noi. Ho ancora negli occhi tutta la scena: un bimbo che volteggia nel cielo come un pupazzo inerte e precipita, le pietre che quasi ci sfiorano, che ci impediscono di passare oltre e di dare notizie di noi, una pozza di sangue per terra, Luigina sconvolta che si stringe a me per cercare aiuto, conforto e sicurezza, io che cerco di proteggerla, di calmarla, di tranquillizzarla, le lacrime che rigano il suo volto bello e pulito … <br />Fu l’ultima volta che andai alla grotta di San Michele!<br />Non trovo più né il tempo né la voglia di andarci di nuovo … eppure consiglio a tutti di visitarla perché la [[grotta di San Michele]] (o meglio “La Grotta dell’Angelo”) è un patrimonio naturale, culturale e archeologico unico al mondo, con numerosi documenti storici che testimoniano la sua importanza ed il suo splendore. Là vicino c’è [[il giardino del Papa]] … quante storie, leggende e ricordi sono legati a quei posti: chi della vecchia generazione non li conosce? Spero solo che tale cultura non vada dispersa … se si perde il passato, non si ha speranza per il futuro. (***) 
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-Era la prima festa dell’Angelo che mi facevo dal 1968, l’anno in cui ero entrato nell’Istituto. Vidi Luigina passeggiare con una ragazza … mi avvicinai, inutilmente borioso … la salutai. Lei ricambiò festosa il saluto, mi presentò la sua amica che mi sembrò bella di una bellezza che non avevo visto mai; facemmo quattro passi insieme, scambiammo qualche parola. Subito dopo, anche se a malincuore per la verità, mi allontanai per non sembrare invadente; esse, però, trattennero ancora un po’ Carlo con loro … ed io invidiavo la sua buona sorte. Qualche minuto dopo Carlo ritornò: era “riuscito a liberarsi” di loro, disse … ma lasciamo stare. Il giorno dopo incontrai di nuovo Luigina e la sua compagna: fu che così Silvana ed io diventammo amici. Feci, poi, amicizia anche con le altre ragazze del gruppo (un gruppo scolasticamente eterogeneo, dove si incontravano svariate “culture” … liceo classico, scientifico, ragioneria, agrario) … tutte erano dotate di un sorriso luminoso, come ragazze tusciane che la potenza del grande Tinia aveva voluto lasciare sulla terra per ricordare antichi splendori.<br /> Ci incontravamo quasi ogni giorno perché andavo sempre ad Ariano e stavamo spesso insieme, senza problemi e senza pensieri (nel senso che nessuno aveva niente da ridire vedendoci soli). Bisogna tenere presente che erano i tempi in cui fermarsi a parlare con una ragazza era ancora “rischioso”: c’era sempre un fratello o un cugino che veniva a romperti le scatole, a minacciarti di “lasciar stare quella ragazza”; c’era sempre un vicino di casa che faceva la spia o un genitore che ti guardava torvo, per non dire di peggio. C’era sempre qualcuno, insomma, che ti rompeva i coglioni! Io, invece, godevo di una discreta stima e considerazione da parte di tutti che mi teneva al riparo da questi fastidiosi problemi. Mi ricordo, a tal proposito, di quella volta che incontrai Silvana a “Capo la Chiesa”, mentre stavo andando da mia zia. Stavamo chiacchierando tranquillamente, quando passò un’anziana signora che mi fece: “Mi raccomando! Trattala bene!” e sorrise compiaciuta per la sua affermazione. Rimasi stupito poiché non capivo cosa volesse dire … poi chiesi a Silvana chi fosse quella signora … era sua nonna!<br /> 
-Sono sicuro che se quelle ragazze mi avessero desiderato come i loro genitori, avrei fatto invidia al grande Giacomo … invece Davus sum! 
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-Pensando a quei tempi, mi viene in mente quel gustoso aneddoto di cui fu, allo stesso tempo, protagonista e vittima una di loro. Fu davvero una scena simpatica … eravamo a Battipaglia in attesa dell’autobus e chiacchieravamo del più e del meno. Ad un certo momento il discorso cadde sui cantautori. … Rosetta, intervenendo sull’argomento, ingenuamente affermò:<br />''"A me Guccini non mi piace tanto; mi piace solamente “un cazzo in culo!”.'' 
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-La ragazza si morse la lingua … troppo tardi si rese conto di quello che le era scappato dalla bocca: il significato della sua frase era inequivocabile. Cercò di rettificare, di puntualizzare, di precisare, ma non ne ebbe né il tempo né la possibilità. Le ragazze (proprio loro) subito infierirono dicendo che non avrebbero mai sospettato in lei simili gusti sessuali … che era una ragazza perversa o pervertita … che faceva la santa, ma … sotto sotto … e cose del genere; io, assicurandole che non stavo scherzando, mi offrii di accontentarla in qualsiasi momento, non appena l’avesse voluto … e tutti a ridere, mentre lei diventava sempre più rossa e balbettava frasi sconnesse, incapace ormai di difendersi. Povera ragazza: fu messa in croce per tutta la durata del viaggio. È inutile dire che lei intendeva sottolineare che le piaceva solo un verso di quella canzone (l’Avvelenata, che pure era abbastanza lunga), quello, appunto, che recitava “e un cazzo in culo e accuse di arrivismo, dubbi di qualunquismo, son quello che mi restano…”. Poi, naturalmente, la cosa finì lì e l’episodio non fu mai più menzionato; non c’era cattiveria in noi, anche se, per quanto mi riguarda, un po’ di malizia in più non avrebbe certo guastato.<br />Neanche quella ragazza ho più visto per tutti questi anni. Più ci penso e più mi sembra che, andando via, Luigina abbia portato con sé, come se fossero di sua proprietà, tutte le amiche che mi aveva fatto conoscere (ma non il ricordo). Non ho più visto nessuna di loro … nemmeno per sbaglio e neppure so che fine hanno fatto. Mi piacerebbe sapere se qualche volta qualcuna si ricorda per caso di me e quale è il suo giudizio: ho tanta paura, però, che si tratta di una condanna senza possibilità d’appello. Sono certo che ognuna di loro ha un rimprovero da muovermi e ne avrebbe tutte le ragioni. O forse sono troppo presuntuoso e la realtà è che nessuno si ricorda di me ed io sono caduto nel dimenticatoio? Probabilmente per loro io non ho rivestito la stessa importanza che loro hanno avuto per me! Ha ragione Guccini quando dice “quante volte per altri è vita quello che per noi è un minuto”. Nel mio caso, però, si tratterebbe del contrario… <br />Bah! Una sera, in ogni modo, mentre stavo davanti al bar di Vito, vidi entrare quella ragazza (quella famosa del “cazzo in culo”), ormai donna, ma uguale a 25 anni prima, che mi salutò sorridendo … Risposi, credo, anch’io con un sorriso, piacevolmente stupito, pur se incredulo a quanto vedevo … Franco, però, ci tenne a precisarmi che lei saluta sempre la gente davanti al bar con il sorriso stampato sulle labbra come le statue degli antichi etruschi …<br /> 
-Trovo tutto come lo lasciai!<br /> 
-http://lnx.pksoft.it/pkakira/albums/userpics/10003/normal_olevano-10-003.jpg 
-I tubi che portano l'acqua alla Centrale (foto di Luca Capone) 
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-Ogni cosa al suo posto: i “tubi” che portano l’acqua alla “Centrale” sono ancora là, li vedi come sempre prima di arrivare ad Ariano … e poi scorgi le “pietre del Castello”, il famoso “Castrum Olibani”. Questo, risalente all’ottavo-nono secolo, fu costruito, come tutti gli altri castelli, per difendere la popolazione dagli attacchi e dalle incursioni soprattutto dei saraceni: sicuramente è uno dei pochi che può vantarsi di non essere stato mai espugnato. La sua posizione lo rendeva sicuro: ai lati ci sono appunto le famose “pietre”, due giganteschi massi che sembrano fargli da guardia del corpo; alle spalle un dirupo scosceso che scende fino al [[fiume Tusciano]] e dinanzi una cerchia di mura. L’imperatore Enrico II, nel 1022, lo confermò all’Arcivescovo di Salerno e fu abitato fino al tardo Medioevo, a Quattrocento inoltrato. Capace di resistere ad ogni assalto, in caso di pericolo poteva ospitare, entro la sua cerchia di mura, tutta la popolazione olevanese. Mi è sempre piaciuto quel Castello … mi ci sarebbe piaciuto viverci dentro, in qualsiasi epoca. Una notte addirittura sognai che esso era ancora in attività, io ne ero diventato il feudatario e dovevo entrarne in possesso. (***) qualcuno aveva acceso le luci. <br /> 
-Mi svegliai.<br /> 
-Ero deluso. 
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-I ruderi del Castello (foto di Luca Capone) 
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-Ormai di esso sono rimasti pochi ruderi che continuano a sfidare i secoli, quasi fossero nuovi nemici. Sono gli stessi ruderi di quando mi ci recai, per la prima ed unica volta, circa 30 anni fa, per una delle più piacevoli scampagnate che ricordi. La solennità di quelle pietre, più che i resti del castello, sembra una sfida al tempo che passa e che tutto distrugge. <br /> 
-A sfidare il tempo è rimasto anche "[[il convento]]” che continua a subire le ingiurie del tempo e degli uomini, ma ancora resiste. Carlo Carucci, il grande storico nato nella mia borgata, definisce [[Olevano sul Tusciano]] “Un feudo ecclesiastico nell’Italia Meridionale”. Esso, infatti, apparteneva alla Mensa Arcivescovile di Salerno e come tale poté essere meta di una “gita” di papa Gregorio VII, esule a Salerno, ospite di Roberto il Guiscardo. Da quella visita effettuata dal santo pontefice alla “Grotta”, nacque probabilmente la leggenda del “[[il giardino del Papa|Giardino del Papa]]”, troppo nota per doverla raccontare. Io credo che lo storico non si riferisce solo a questa “appartenenza”, ma, probabilmente al grande numero di chiese, cappelle e luoghi di culto che esistevano a Olevano, più di uno per borgata. Senza contare Ariano e Monticelli, e fermandoci solo a Salitto e dintorni, ricordiamo che “Santa Lucia” è tuttora la parrocchia di Salitto; i ruderi di “Santa Sofia” e “San Rocco” si possono vedere ancora oggi alla Porta; la “Madonna del Soccorso”, la famosa “Cappella”, con le sue campane gigantesche, sta a [[Busolino]], mentre a [[Borgo Valle]] il visitatore trova la “Madonna del Rosario”, interamente ristrutturata dopo il terremoto del 23 novembre 1980, la “Madonnella” ed appunto "[[il convento]]”. 
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-[[Il convento]] domenicano di “Santa Maria di Costantinopoli” risale al 1500. La sua fu una fine ingloriosa. I frati domenicani lo abbandonarono dopo l’introduzione delle leggi anticlericali francesi; fu venduto all’asta, passando poi di padrone in padrone, come pertinenza del terreno circostante. Meritava di più! Nel periodo di splendore doveva essere qualcosa di grandioso, un’opera di cui interessarsi per restaurarlo, per salvarlo, per farlo vivere ancora. Nella cappella c’erano nicchie con affreschi meravigliosi che, dopo l’abbandono da parte dei frati, perdurando il totale disinteresse dei nuovi proprietari, il tempo (inteso anche e soprattutto come agenti atmosferici) deteriorava giorno dopo giorno. Ricordo che alcune nicchie erano “murate”, ma ogni tanto qualcuno toglieva quella “protezione” e riportava alla luce altri affreschi per consegnarli alla rovina del tempo. 
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-Una volta tentarono di rubare quegli affreschi e, come già altri avevano fatto con le tombe etrusche, portare quelle opere all’estero, presso estimatori privati. Avevano già “tagliato” parte dell’intonaco dai muri, quando, purtroppo, sopraggiunse un nugolo di carabinieri che sventò il colpo e così quegli affreschi ora sono irrimediabilmente perduti. Assistetti alla scena dal balcone di casa mia: quanto mi sarebbe piaciuto che, invece di perseguire chi in fondo amava e voleva salvare quel patrimonio culturale, invece di perdere tempo con chi avrebbe sottratto all’oblio eterno quelle testimonianze del genio umano, i carabinieri avessero impiegato il loro tempo per arrestare ladri ed assassini, teppisti, lenoni, strozzini, mignotte, papponi e via di seguito (***). 
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-Ruderi del Convento "Santa Maria di costantinopoli" (Foto di Luca Capone) 
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-[[Il convento]] era il mio rifugio, il mio luogo di meditazione e di raccoglimento, non avendo allora la possibilità di rifugiarmi nella quiete e nella pace di una necropoli etrusca. Anche se ne avessi avuto la possibilità, però, sarei andato sicuramente al convento perché non avrei potuto permettermi di pagare ogni giorno i soldi del biglietto per poter parlare con le anime tirrene. Le pietre del convento, invece, mi accoglievano e mi confortavano "gratis et amore dei”. 
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-Mi ci recavo quando iniziava la primavera, ai primi di aprile, quando il tempo cominciava a riprendersi ed io con esso, quando il primo sole mi restituiva le forze e la ragione, quando cominciavano a spuntare gli asparagi … allora avevo già finito il liceo.<br /> La mattina, non troppo presto, mi svegliavo al suono della musica del mio stereo, un mangiacassette che avevo comprato su una bancarella a Salerno, mi sorbivo il caffè che aveva preparato Carlo prima di andare a scuola. Subito dopo accendevo la prima delle innumerevoli, delle troppe sigarette della giornata, ascoltavo canzoni e cercavo di studiare. Stanco poi di stare nel letto, ormai diventato freddo, annoiato, incapace di qualsiasi azione, senza idee, senza stimoli e senza voglia, mi alzavo, scendevo nella via … Allora nella mia borgata c’era molta più gente: (****) e tanti altri che ora non ci sono più. Mi capitava sempre di fermarmi per scambiare quattro chiacchiere con qualcuno. Ad ognuno di loro dovevo qualcosa in termini di affetto e simpatia, oltre che di gratitudine; (***) mi aveva insegnato di tutto, dalla storia all’aritmetica, dall’italiano alla geografia, dal gioco della dama a quello delle carte; suo fratello (***) mi aveva aggiustato tante volte le scarpe, Guerino mi aveva raccontato tante di quelle storie fantastiche che al loro confronto “I Viaggi di Gulliver” sembravano un orario ferroviario, (****) … Se andavo a prendere la macchina in piazza, mi fermavo sempre a prendere il caffè da qualche signora. Passando davanti alla porta chiedevo, per scherzo, se era pronto il caffè, ma dalla finestra mi giungeva davvero l’invito; se era giovedì accompagnavo al mercato di Battipaglia chiunque della borgata ne avesse bisogno; spesse volte studiavo seduto sul gradino davanti alla casa di Lilina, in compagnia delle altre persone che, invece, prendevano il fresco. E fu proprio su questo gradino che mi capitò quel divertente episodio con i Testimoni di Geova, con protagonista zì Sette … che ridere nel vedere quei poveracci impauriti da zì Sette che cercano di sganciarsi ed andare via. Non credo che siano più ritornati a Valle. 
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-Quando andavo al convento il tragitto era sempre uguale, avrei potuto farlo ad occhi bendati. Giunto poco prima della “cava d’arena”, mi addentravo nel boschetto; a volte però, partivo da dietro “o Luvitiello” e raggiungevo la cava. Perlustravo meticolosamente la zona per non tralasciare neppure un asparago … naturalmente non andavano raccolti quelli troppo piccoli, che si lasciavano per i giorni successivi, ed era inutile prendere quelli ormai “spigati”, che non sono buoni per la frittata. Mi ficcavo in tutti i rovi, dai quali mi proteggevo con un giubbotto di pelle che mi aveva regalato mio fratello Michele, infilavo le mani tra le spine che mi graffiavano tutto e che spesso ero costretto a tagliare con il mio fedele coltello … … e piano piano salivo verso il convento. Una volta giuntovi, prima “mi guardavo” tutti i cespugli intorno alle mura e poi entravo nel convento vero e proprio. La prima volta che ci andai da solo fu un’emozione ed una delusione allo stesso tempo: era pieno di erbacce e di spine (***). Esse coprivano interamente ciò che un tempo era stato il chiostro e nascondevano l’imboccatura della cisterna che stava al centro. Era pericoloso avvicinarsi: si correva il pericolo di precipitarci dentro e morire, senza possibilità di salvezza perché nessuno avrebbe udito la tua richiesta d’aiuto. Io sapevo che si trovava proprio là perché l’avevo visto in quinta elementare, durante una gita scolastica, ma non mi ci ero avvicinato più di tanto. Quel giorno poi noi bambini ci divertimmo tantissimo senza spendere un soldo e senza giocattoli. Oggi invece un bimbo ha bisogno sempre di giochi costosi, magari elettronici, dove egli, più che attore, è solo un inutile spettatore. 
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-Dopo aver raccolto gli asparagi nel chiosco, mi recavo al piano superiore, dove un tempo c’erano le celle dei monaci. La prima volta ci andai solo per “farmi una cultura”, per veder come era suddiviso il piano e quale era lo spazio che avevano a disposizione i frati. Con sorpresa anche lì trovai gli asparagi; ne trovai tanti perché nessuno aveva mai pensato di andare a cercarli proprio là. L’ultima volta che entrai in una di quelle celle, il pavimento mi mancò sotto i piedi. Tutto stava cedendo alle intemperie e mi resi conto che ormai quei pavimenti non avrebbero più retto il mio peso … la volta successiva che andai al convento, infatti, mi fu impossibile salire al piano superiore. Dopo aver visitato le celle, ad ogni modo, me ne andavo in quello che doveva essere stato il giardino … mi stendevo sull’erba e, mentre il fumo saliva in aria, con la fantasia cambiavo il mondo, la mia vita, sistemando tutto ciò che non andava per il verso giusto. 
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-Borgata Valle vista dall'alto - Borgata Valle top view (foto dell'Anonimo Olevanese) 
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-Era bello sognare e quelli erano i momenti più belli della mia vita, le mie ore più felici e serene. Costruivo castelli in aria e di quei castelli ne ero il signore. Tutte le storie cominciavano con la vincita di un miliardo al totocalcio; non era certo poco, considerando che in quel tempo un mio amico, anzi una persona che avevo conosciuto quando facevo pratica da un legale, campava di rendita avendo in banca un gruzzolo di soli 35 milioni di lire e lo stipendio di un impiegato non raggiungeva le 200 mila lire. Con i soldi di quella vincita compravo il convento e la sede per una associazione che serviva a dare nuova vita ad una borgata che già allora stava scomparendo. Aprivo negozi, inauguravo palestre, organizzavo tornei … (***) 
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-Il “bar di Vito” è sempre là, uguale a quello di tanti anni fa. Soltanto ora non c’è più Vito a farci il caffè, a servirci un liquore, a preparare il gelato; egli è andato via, via per sempre. Chissà! Forse nell’aldilà ha aperto un nuovo bar ed ora serve la solita mezza birra ai giocatori di sempre.<br /> Se così è, allora non c’è dubbio: davanti al suo bar ci sono Zio Lazzariello ed Ertenisio. Ad un certo punto si chiedono:<br />- È arrivato il Tuscio?<br />- Non ancora! È un po’ presto. Egli è giovane ed ha tante cose da fare. Verrà più tardi, quando avrà ultimato i suoi impegni! Noi, intanto, cominciamo a farci una partita a scopa per passare un po’ di tempo; poi, quando arriverà lui, mandiamo tutto a monte e ci facciamo un bello scopone. Che ne dici?<br />- Va bene! Prendiamo le carte! Però appena arriva lui … tutto a monte!<br />E quando arriverò, in ritardo come sempre, zio Lazzariello, con il suo fine umorismo, mi dirà: - Nepò! Mi avevi fatto preoccupare. Credevo che ti eri perso! 
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-Già, zio Lazzariello! … Non so se eccelleva di più per saggezza o per filosofia di vita; la mia mamma dice che era filosofo, ma per lei, forse, filosofia e saggezza sono la stessa, identica cosa; di sicuro era arguto ed ironico. Fatto sta che egli fu protagonista di gustosi episodi e vale la pena di ricordarne qualcuno. Quando si doveva sposare Michele, per esempio, a mia madre, che era sua cugina ed era andata a casa sua per invitarlo al matrimonio, rispose che non ci sarebbe venuto. Non vi dico la meraviglia di mia madre, presa alla sprovvista perché non si aspettava certo quel secco diniego, soprattutto perché non ne intuiva il motivo.<br />- Se ti sposassi tu ci verrei con grande piacere! Ma questo Michele chi è?” - le chiese con calma, senza lasciare trasparire la sua sottile ironia, ma non nascondendo una grande amarezza. 
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-Il fatto è che Michele, per sbadataggine e non per cattiveria (o forse perché addirittura ignorava che fosse suo zio?), quando lo incontrava non lo salutava per niente … e zio Lazzariello sapeva aspettare il momento della vendetta, zio Lazzariello non dimenticava mai né sgarbi né favori. Egli ci teneva al saluto, al rispetto che gli era dovuto in quanto persona anziana, oltre che parente … Vivesse ancora, oggi soffrirebbe nel vedere il comportamento della gioventù moderna, così lontana dal suo modo di vedere e di pensare, così distante dai suoi principi, dai suoi valori morali ed umani. Unica consolazione potrebbe essere il fatto che se i giovani non sono più quelli di una volta, anche i vecchi non sono più quelli di un tempo (e siamo pari!). In ogni modo Michele, rimproverato per la sua manchevolezza ed avvertito del fatto, cercò di correre ai ripari: un giorno, intravisto da lontano l’anziano zio, si staccò dal suo gruppo e gli andò vicino per porgergli un plateale saluto. E zio Lazzariello, capita l’antifona, ironicamente commentò: “È partito il telegiornale!”. Poi, però, venne allo sposalizio ... sapeva, in ogni caso, che altrimenti avrebbe punito mia madre per una colpa che non aveva, non certo mio fratello: era puntiglioso, ma non ingiusto. 
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-- E quando si sposa il Tuscio? – gli chiese Ertenisio una sera che, mentre facevamo la solita partitella, ricordavamo questo episodio.<br />- Quando si sposa il Tuscio, per lui suonerei anche il mio flauto! – rispose, sorridendo compiaciuto.<br />- Beh! Certo che il Tuscio è tutt’altra cosa! Eh, Lazzariè?<br />Cosa c’entra ora il flauto? Lo zio era anche un ottimo suonatore di flauto. Durante la processione per la festa di San Michele, il santo protettore di Olevano sul Tusciano, oltre al suonatore di tamburo, infatti, c’era lui che suonava il flauto, uno zufolo che si era costruito da sé con una canna e del quale era molto geloso.<br /> Era anche molto puntiglioso zio Lazzariello! Non voleva, per esempio, in nessun modo essere invitato ad una festa con la solita “partecipazione” inviata per posta; a tal proposito coniò il celeberrimo motto: “Carta va e carta vène!”.<br />Ed aveva una memoria di ferro … quando l’ho conosciuto, o meglio quando cominciai a frequentarlo, era un tranquillo pensionato. Possedeva, fra l’altro, un pezzetto di terra con tante piante di fichi d’India. Dalla piazzetta davanti al bar la sua proprietà era ben visibile e così, durante le partite di fine estate, quando i frutti della sua terra erano quasi maturi, pronti per essere raccolti, egli poteva controllare a distanza la sua “piantagione”. Una sera, naturalmente dopo aver chiesto il nostro permesso, lasciò inopinatamente il tavolo di gioco … ritornò dopo un’oretta e ci dette le dovute spiegazioni: aveva visto un ladruncolo che gli stava rubando i fichi ed era accorso in difesa della sua proprietà. Che occhio clinico e patologico! Tanto per usare un’espressione cara al buon Egidio! 
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-Da dove è nata l’espressione “avere un occhio clinico e patologico"? Altro simpatico episodio degli annali olevanesi! Dunque … <br />Un giorno Egidio, uomo dalle tante lauree, dotato di una cultura immensa e di particolare umorismo, si trovava in campagna. Passò, per caso, vicino ad una pianta di fichi che dava sulla strada; si fermò un attimo; scrutò tra le foglie; scorse un fico maturo. Si sporse appena, colse il frutto, lo sbucciò lentamente e cominciò ad assaporarlo con gusto. Da lontano accorse, gesticolando furiosamente, un contadino, il proprietario del terreno, che, quando gli fu vicino, improvvisamente calmo, forse perché l’aveva riconosciuto, forse per il fiatone che gli era venuto, gli chiese:<br />- Mi dici come hai fatto, dalla strada, a vedere quell’unico fico maturo, che “avevo in gola” da un paio di giorni e che con tanta pazienza avevo aspettato che maturasse?<br />- Perché ho l’occhio clinico e patologico! – rispose serafico Egidio.<br />Il contadino rimase sconcertato e, non sapendo né cosa pensare né tantomeno cosa replicare, andò via scuotendo la testa. E così il caro Egidio … <br />Ma ritorniamo a dove eravamo rimasti …Quando era il tempo della raccolta, quotidianamente zio Lazzariello si recava nel suo campicello, raccoglieva un certo numero di fichi d’India e li portava a vendere, casa per casa, porta a porta. Erano molto saporiti i suoi frutti perché maturati al sole e colti al momento giusto; di conseguenza li vendeva in un batter d’occhio. Egli li metteva in una cassa e girava per le vie del paese … quando lo vedevano arrivare con la cassetta sulla testa, le massaie uscivano davanti all’uscio con un piatto in mano e lo chiamavano. Zio Lazzariello sbucciava davanti al cliente i frutti richiesti, intascava le monete (cento lire al pezzo) e passava oltre. Il pagamento era rigorosamente in contanti. Accadde una sera che una signora chiamò mio zio e gli diede trecento lire per tre fichi. Zio Lazzariello intascò le monete, ma di fichi gliene diede solo due. Allo stupore della donna, mio zio ribatté: “Tuo figlio l’anno scorso si è comprò un fico senza darmi i soldi. Adesso è giunta l’ora del “pagamento”!”. La donna conoscendo l’assoluta onestà di mio zio, non replicò, ma (era lei stessa a raccontare il gustoso aneddoto a mia madre) appena rientrata in casa, chiamò suo figlio e gli chiese se era vero il fatto. Il ragazzo ammise il suo debito … questo a conferma della pignoleria dello zio oltre che della sua intransigenza verso tutte le furbizie, grandi o piccole, volontarie o involontarie che fossero. 
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-Anonimo Olevanese da piccolo osserva il mondo 
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