Cecilio Stazio

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CAIO CECILIO STAZIO (Milano ca 230 a.C. - (?) 166 a.C.)

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La vita

Caio Cecilio Stazio era di origine gallica.
Nato probabilmente a Milano verso il 230 a.C., fu portato a Roma, coe schiavo o prigioniero di guerra, come era già successo a Livio Andronico e come succederà poi a Publio Terenzio Afro.
Nell’Urbe Cecilio si distinse per le sue doti letterarie e per il suo ingegno. Grazie a ciò egli fu affrancato dal suo padrone, un certo Cecilio, di cui prense anche il nome. Il commediografo studiò e lavorò anche con il grande Ennio, nonostante quest'ultimo fosse di qualche anno più anziano di lui.
Il luogo della morte di Cecilio Stazio, che avvenne nel 166 a.C., ci è ignoto.

Le opere

Come commediografo, Cecilio Stazio conobbe il successo in teatro solo dopo la scomparsa di Plauto, anche grazie all’appoggio di Lucio Ambivio Turione, un acclamato attore dell’epoca.. Da allora, e per un ventennio, fu il dominatore della scena comica romana. Di lui conosciamo una trentina di titoli (Plocium, Exul, Gamos, Synephebi), ma solo 300 versi delle sue commedie.

Giudizio

Cecilio Stazio imitò Menandro, o piuttosto lo rielaborò in modo originale, senza utilizzare l'artificio della “contaminazio”. La sua comicità assomiglia più a quella corposa e rusticana di Plauto che a quella delicata di Menandro e di Terenzio. Non mancano, però, alcuni spunti d'introspezione psicologica divenuti poi tipici di Terenzio stesso. Si può dire, senza paura di sbagliare, che quello che distingue meglio Cecilio è proprio la sentenziosità, la riflessione a volte etica, a volte amara e pensosa, spesso carica di umanità, come abbiamo visto anche in Plauto.

Fortuna

Il motivo della perdita totale delle opere di Cecilio Stazio è da attribuire sicuramente al fatto che egli fu schiacciato tra i due giganti del teatro romano, Plauto che lo precedette e Terenzio che lo seguì. In ogni modo è, però, davvero strano che non si sia conservato proprio niente delle sue opere perché Cecilio fu un comico di immenso valore. Gli antichi, infatti, ne avevano un'altissima considerazione: fu ammirato da Terenzio; alla fine del II secolo a.C. il grammatico ed erudito Volcacio Sedigito, autore di un elenco ufficiale dei comici latini, lo metteva al primo posto della classifica; Terenzio Varrone gli assegnava la palma nella scelta dei soggetti e nel modo di trattarli; Orazio, nell’"Ars Poetica", gli riconobbe l’eccellenza nella serietà dei sentimenti. Cecilio Stazio, infine, fu giudicato il massimo dei comici romani, dunque anteposto a Plauto stesso, persino da Cicerone, che pure gli rimproverava difetti nell'espressione latina.
Un giudizio non proprio lusinghiero lo abbiamo, però, da Aulo Gellio che ci ha riportato tre passi della commedia “Plocium”. Orbene, Gellio, confrontando il testo di Cecilio con quello di Menandro, che il latino avevo preso a modello, ritiene Cecilio nettamente inferiore al commediografo greco, in un rapporto "oro (Menandro) – bronzo (Cecilio)" … il giudizio conclusivo di GellioCecilio non doveva imitare ciò che non era capace di eguagliare” sembra, però, davvero eccessivo e troppo severo.

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