Catullo

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Gaio Valerio CATULLO (87 a.C. – 54 a.C.)

Table of contents

La vita

Gaio Valerio Catullo nacque a Verona nel 87 (o forse nel 84) a.C. da un’illustre e facoltosa famiglia proprietaria di case e terreni a Sirmione, sul lago di Garda, a Roma e a Tivoli. Il padre era in ottimi rapporti di amicizia con Giulio Cesare.
A Verona ricevette una raffinata educazione culturale e letteraria che gli consentì di fornire i primi saggi poetici fin dalla sua giovane età. Nel 64 a.C. si trasferì a Roma, forse insieme al fratello, per completare la sua educazione, secondo la tradizione delle migliori famiglie. Entrò nella vita della società elegante e colta ed ebbe modo di conoscere e di frequentare personaggi di spicco sia del mondo socio-politico (come Giulio Cesare, Pompeo e Cicerone) sia di quello socio-culturale (Cornelio Nepote, Ortensio Ortalo, Elvio Cinna, Licinio Calvo e altri). Si astenne, ad ogni modo, dalla politica attiva.
Quello che segnò la vita del giovane fu l’incontro, e la conseguente relazione amorosa, con una donna idealizzata e cantata con il nome di Lesbia, in omaggio alla poetessa Saffo di Lesbo. La donna, molto bella, ma anche molto libertina, probabilmente è da identificare con Clodia, una delle donne più famose della capitale, sorella del tribuno Clodio Pulcro e moglie di Quinto Metello Celere. Sarà un amore molto tormentato, al punto che Catullo, stanco dei continui litigi e tradimenti, nel 57 a.C. decise di mettersi al seguito del pretore Gaio Memmio che partiva per il governo della Bitinia, in Asia Minore. Forse il motivo della partenza, più che la speranza di dimenticare la bellissima ed infedele amante, era quello di rimpinguare il patrimonio che il giovane stava dissipando con grandi spese? Tutto è possibile!

Il poeta, però, non ottenne i risultati sperati e l’anno successivo rientrò a Sirmione cercando una pace perduta. Durante il viaggio di ritorno, visitò la tomba del fratello morto qualche anno prima nella Troade e questo fu, forse, l’unico risultato positivo della spedizione. Intanto a Roma, nel 56 a.C., Clodia (Lesbia) fu protagonista di un clamoroso processo intentato da lei stessa contro un ex amante, Celio Rufo. Quest’ultimo era difeso brillantemente da Cicerone che rinfacciò alla donna ogni genere di nefandezze; da questo forse derivò l’avversione del poeta per l’Arpinate. Ben presto, però, Catullo fu attratto di nuovo a Roma, dove ritornò nel 55 a.C. e dove trovò l’ambiente ed i problemi di sempre.

La morte

Ormai il poeta, benché giovane, è prostrato sia sul piano fisico sia su quello spirituale e nel 54 a.C. muore a Roma, probabilmente di tisi, a poco più di trent’anni.

Sulla morte di Catullo è sorto anche una piccola leggenda. Morì davvero il poeta in giovane età o forse, guarito dall’amore per Lesbia/Clodia, ritornò nella sua Sirmione, si sposò con una brava ragazza e visse altri anni felice? È un’ipotesi suggestiva e niente affatto peregrina. Allora il bellissimo carme VIII (Miser Catulle desinas ineptire …) e davvero l’ultimo ed il poeta, stanco di tradimenti, stanco della turbolenta e corrotta vita della capitale, stanco di tutto si ritirò nella tranquilla provincia. Tutto è possibile. Certo che un Catullo imborghesito e tranquillo non suscita l’entusiasmo di chi lo legge e per questo in ogni caso ci piace vederlo giovane e forte, innamorato e passionale.

In ogni modo Catullo muore giovane anche se fosse vissuto fino a cento anni. Egli muore con la sua poesia perché egli è la sua poesia, il suo canto, la sua gioia di vivere ed il suo desiderio di morire quando le cose non vanno come vorrebbe.

L’opera

Il Liber di Catullo è costituito da 116 carmi ed è dedicato allo storico Cornelio Nepote; con ogni probabilità fu messo insieme, senza ordine cronologico, dagli amici dopo la morte del poeta. Una prima parte (1-60) comprende brevi componimenti in metro vario che il poeta stesso chiamò nugae (sciocchezzuole); una seconda (61-68) contiene invece componimenti di notevole estensione e grande impegno, detti comunemente carmina docta; e una terza (69-116) riprende i temi autobiografici delle nugae, ma nella forma costante dell'epigramma elegiaco.

Giudizio

Uomo di vivi sentimenti e di grande sincerità, Catullo ebbe una larga cerchia di amici e di nemici. Non fu favorevole a Giulio Cesare, ma neppure a Pompeo; contro noti personaggi della società romana del tempo scrisse feroci epigrammi o ne delineò ritratti pungenti. In alcuni versi descrisse e criticò i suoi tempi con espressioni che davvero sono ancora attuali, a dimostrazione che “non c’è niente di nuovo sotto il sole”. Nella sua poesia appaiono pure, con grandi effusioni di affetto, gli amici ed i colleghi, cioè Licinio Calvo, Elvio Cinna, Quinto Cornificio, membri di quel circolo dei poetae novi (i poeti eleganti, colti, grecizzanti) cui Caligola stesso in seguito appartenne.

La parte più alta del canzoniere catulliano è incentrata sull’amore per Lesbia. Questa vi appare come donna di grande fascino e di cultura raffinata, capace veramente di ispirare un amore totale, ma anche disperato (perditus amor); un amore, quindi, che ha anche una sua storia, in cui si alternano estasi e amarezze. Il poeta dichiara il suo amore a Lesbia, condivide i piccoli episodi della sua vita (la morte del passero prediletto, gli incontri, le conversazioni di società, i pettegolezzi), ne gode i favori; ma, per i tradimenti, giunge alle invettive e alla rottura. La dedizione totale, l'ingenuità esposta ad ogni inganno e capace di ogni generosità, la ricerca ostinata di un affetto, e, dunque. le cadute nelle delusioni più atroci, sono gli elementi personali e vivi della poesia amorosa catulliana, costituendo il fascino perenne di questo poeta intensamente lirico.

Il gruppo centrale dei carmi dotti, che testimoniano l'adesione di Catullo all'estetica alessandrina ripresa a Roma dai poetae novi (poesia ricca di elementi mitologici, di imitazioni letterarie, di preziosità formali), portano in ogni modo il segno della sua personalità, capace di ravvivare il materiale erudito. Si tratta di tre epitalami (uno per le nozze degli amici Torquato e Aurunculeia, uno con due cori di fanciulli e di fanciulle e uno col notissimo mito di Peleo e Tetide); di un poemetto sul mito del dio Atti; della traduzione del carme di Callimaco “La chioma di Berenice”, con la dedica all'oratore Ortensio Ortalo e di due elegie, una delle quali in morte del fratello. Il Liber di Catullo esprime così per intero i programmi d'arte e di vita di un momento singolarmente ricco della storia di Roma e segna il culmine della lirica latina.


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