Anonimo del Sublime

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ANONIMO DEL SUBLIME (o Pseudo Longino)

Indipendente dall'atticismo, ed anzi opposto alla pedanteria ed alla meschinità critica dei puristi, è un trattato ("Intorno al Sublime") conservatoci anonimo ed oggi generalmente attribuito alla metà del I secolo d.C.. Da quanto Francesco Robortello lo pubblicò per la prima volta nel 1554 attribuendolo erroneamente a Cassio Longino, un celebre retore della metà del III secolo d.C., il libretto, pur anonimo e lacunoso, è rimasto tra le opere più famose della letteratura greca. E, senza dubbio, esso rappresenta quanto di più elevato ci abbia tramandato la critica letteraria antica.
L'autore polemizza con un trattato omonimo di Cecilio di Calatte sostenendo che l'ingegno naturale non basta per raggiungere la sublimità, ma che occorrono anche il sostegno dell'arte. Egli passa quindi in rassegna le fonti del vero sublime, distinguendo le innate (facoltà di concepire pensieri elevati, forza dell'entusiasmo e della passione) da quelle che si apprendono con lo studio (uso delle metafore, sapiente disposizione delle parole, capacità di dare forme estetiche). Anche l'anonimo, come alcuni suoi contemporanei (Seneca e Petronio) ed alcuni scrittori posteriori (l'autore del Dialogus de Oratoribus) lamenta la decadenza dell'arte contemporanea ed indica il rimedio nella imitazione dei capolavori classici; ma, mentre l'atticismo si esauriva nell'imitazione formale, l'Anonimo comprende che occorre anzitutto un contatto spirituale con i grandi del passato. Qui sta il pregio dell'operetta: nel riconoscere le radici della sublimità nei motivi ideali dell'animo creatore più che nelle formule esteriori.
"Il sublime - vi si legge - è la risonanza di un animo grande", e perciò non appare dove non esiste sincera passione. Imitare, quindi, significa elevare il proprio animo alla grandezza di quei modelli. L'autore non da una precisa definizione del Sublime; ne descrive piuttosto gli esempi con una ricca serie di citazioni tratte con gusto ed acume dai massimi scrittori di poesia e di prosa. Egli trova nel sublime una qualità che non deriva solo dalla ragione, ma ha caratteri quasi mistici: il sublime non produce la persuasione, ma l'estasi, l'illuminazione improvvisa e totale dell'animo che esulta come se avesse creato egli stesso quello che ascolta o legge. Nella sua autentica grandezza, il sublime è superiore all'impeccabile mediocrità: per questo l'Anonimo, andando contro i gusti del tempo, preferisce Omero ai poeti alessandrini; Pindaro a Bacchilide; Demostene a Iperide e Cicerone; Platone a Lisia.
In conclusione, il concetto fondamentale dell'autore è che la grande arte nasce dalla grandezza dell'animo dell'artista e dalla sua sincerità. Perciò verso la fine dell'opera, soffermandosi a ricercare le cause della decadenza letteraria contemporanea, l'Anonimo afferma che essa non è dovuta soltanto alla perdita della libertà politica, come si usava affermare (Seneca, Petronio, l'autore del Dialogus), ma anche, e maggiormente, all'infiacchimento delle coscienza morale degli artisti.


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