A Peppino

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Revisione 15:55, 2 Mar 2008

A PEPPINO


Città del Sole, 5.9.2000

Carissimo Peppino,

la tua ultima lettera mi lasciò decisamente perplesso e confuso ed ebbi anche il sospetto di non essere io il destinatario di quella missiva ... era tutto così strano. Riflettei a lungo per fugare i miei dubbi. Alla fine giunsi alla conclusione più ovvia: quella lettera era apocrifa, non poteva essere stata scritta da te. Il mio amico Peppino, così raffinato, che stava attento alla qualità della carta da lettera, all’eleganza della busta, al colore dell’inchiostro, non mi avrebbe mai inviato uno scritto ciclostilato, sicuramente non a me. In ogni caso non avrei mai potuto credere che tu mi confondessi con mille e mille altri. Non mi volevo rassegnare all’idea che un anno trascorso a pregare nella stessa cappella, a mangiare alla stessa mensa, a dormire sotto il medesimo tetto fosse stato dimenticato così in fretta. Non volevo credere che la nostra lunga e frequente corrispondenza, le nostre “confessioni”, i nostri sfoghi fossero volati nel nulla. Continuai così ad aspettare che ti facessi vivo …. invano.

Ormai sono passati più di venti anni! Non mi è pervenuta nessuna altra lettera e alla fine mi sono arreso all’evidenza: quel don Peppino che mi aveva scritto eri proprio tu ed il foglio ciclostilato era diretto proprio a me, al tuo vecchio amico Tusciano, allo stesso modo che a tanti altri. Ho dovuto convenire che un altro mio amico era andato via, aveva lasciato la mia vita ed era andato per la sua strada, aveva fatto carriera, era diventato importante, impegnato in mille attività tanto da non avere più mezzora di tempo da dedicare al povero Tuscio.

E allora? Tu sei salito in alto, ti sei avvicinato a Dio non solo perché sei diventato suo sacerdote, ma perché hai ricevuto un titolo dagli uomini. Sei anche tu nel Paradiso dei santi, dei poeti, dei navigatori … sei nel Paradiso della gente importante.

Io invece sono rimasto qui, in questa valle di lacrime, maledetto da Dio e dagli uomini. Mi sono seduto ad aspettare non so cosa ed ho perso di visto quella che era la nostra meta ... ed ogni altra meta. Così le nostre strade si sono irrimediabilmente divise e, mentre tu prosegui sicuro verso i tuoi ideali che un giorno erano anche i miei, io sono rimasto senza aspirazioni. Che dire? Non so dove andare, davanti a me ci sono strade che portano a niente, strade che si perdono nel nulla, in un deserto di noia, di rabbia, di disperazione. Forse sono giunto al bivio che ho sempre temuto: la follia o la morte.

La tua strada, invece, porta verso la serenità e la gioia. Ed allora buon viaggio, mio caro amico! Ti sia compagno di strada il ricordo del Tuscio maledetto, il vagabondo triste, quello che un tempo era tuo fratello, tuo collega … tuo scocciatore. Va per il tuo cammino … di te serberò un ricordo particolare, il ricordo di chi tanto mi ha dato e molto ha ricevuto. Il ricordo … solo questo mi resta di quei lunghi mesi quando, cercando Dio, mi dannai l’anima. Ora ho perso tutto e mi sembra che quegli anni di seminario siano passati inutilmente.

Mi era dolce il ricordo della nostra amicizia … ma ora un dubbio atroce mi assale: eravamo amici? Si può essere amici in Seminario dove la ricerca di dio sempre più spesso ti fa perdere di vista gli uomini? È amicizia passeggiare e chiacchierare nei corridoi bui di una scuola di preti? Eravamo davvero amici noi due? Chi lo sa! Forse più che amici eravamo avidi mercanti che volevano acquistare la merce altrui al prezzo migliore; eravamo speculatori, sfruttatori, lenoni di pessima categoria. Proprio noi eravamo i peggiori, noi che pure credevamo di essere i testimoni del buono e del giusto, noi che credevamo di essere contro le ingiustizie, noi che avremmo dovuto condannare o assolvere!

Per molto tempo ci siamo succhiati il sangue a vicenda! Tu hai sfruttato la mia disperazione, la mia noia, la mia rabbia. Con me hai potuto conoscere l’uomo nella sua forma più schietta e più varia, l’uomo che soffre, che piange, che invoca aiuto, che si dispera. Con me hai imparato tutto, quando il tuo “don” era ancora lontano da venire. Ora puoi fare il pastore delle anime!

Ma io non sono stato a guardare e ti ho rubato la serenità, la calma serafica, la pace di Dio. Forse siamo pari e se ci incontreremo ti chiamerò “Monsignore” o “Sua Eminenza”, forse più lontano “Sua Santità”. E tu probabilmente non risponderai al mio saluto perché non mi avrai riconosciuto, o forse perché sarai diventato troppo importante per il tuo vecchio Tuscio … chi lo sa? Il tuo Dio ancora una volta ha sconfitto i miei dei, ma tu sii degno di esso. Sii prete e non pretesco, servi Dio e non te ne servire.

Io, in ogni modo, non aspetterò più una tua lettera che non arriverà mai; ora sono vecchio … ed ho capito.

Stammi bene!

Lo scrisse il Tuscio anonimo_olevanese.jpg

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