Lisia
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LISIA (440 - 360 a.C.)
(Busto di Lisia - immagine scaricata da altro sito internet)
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Vita
Il principale oratore giudiziario attico è Lisia, figlio di Cefalo, nato ad Atene (alcuni studiosi sostengono a Siracusa) verso il 440 a.C.. Suo padre era siracusano e venne ad Atene su invito di Pericle come meteco (aveva, cioè, gli stessi diritti civili degli Ateniesi, ma non quelli politici ed inoltre era tenuto a pagare una tassa di residenza). Cefalo era sicuramente abbastanza ricco poiché possedeva una fabbrica di armi che impiegava oltre cento schiavi. Per questo potette permettersi il lusso di mandare il figlio alla scuola di Tisia in Italia (verso il 425 a.C.). Lisia tornò in Atene nel 412 a.C., quando, essendo morto il padre, ebbe in eredità la fabbrica e visse in pace fino al 404 a.C.. In quell'anno, essendo Atene sotto il dominio dei trenta tiranni, Lisia fu arrestato insieme al fratello Polemarco sotto l'accusa di tramare contro il governo. Il fatto, naturalmente, non era vero, ma si trattava solo di un pretesto per confiscare ad essi (come ad altri) le proprie ricchezze che dovevano servire per pagare i 700 soldati spartani accasermati sull'Acropoli (e le casse dello Stato erano vuote).
Il fratello fu mandato a morte, ma Lisia riuscì a fuggire portando con se parte dei suoi beni. L'oratore riparò prima a Megara e poi si unì agli altri esuli, guidati da Trasibulo, e li sovvenzionò con ogni mezzo.
Rientrati in Atene gli esuli anti-spartani, come sempre in questi casi ci fu un'epurazione, di cui fu vittima anche Socrate. Lisia, per i suoi trascorsi, si aspettava la cittadinanza ateniese e la restituzione dei beni (cosa che Trasibulo, in verità, propose), ma ottenne solo di non pagare la tassa dei meteci. Allora, per vivere, Lisia decise di sfruttare la sua istruzione e si diede alla lucrosa professione di logografo diventando uno degli avvocati più in voga di Atene.
Come uomo, la tradizione lo ricorda pio ed onesto, anche se amante dei piaceri che la vita ci può dare.
Lisia morì verso il 360 a.C..
Opere
Sotto il nome di Lisia, in età alessandrina, si attribuivano 230 discorsi di cui ne rimangono 34. Ne ricordiamo alcuni: "Contro Agorato", "Contro Eratostene", "Per l'uccisione di Eratostene", "Per l'invalido", "Contro Diogitone", "Contro i venditori di grano"..
Contro Eratostene
Contro Eratostene è la prima e più lunga orazione lisiana che ci sia giunta ed è pure la sola che pronunziò di persona. Tutte le altre, infatti, furono scritte da lui come logografo e pronunziate poi dagli interessati. Con questa orazione certamente Lisia voleva vendicare il fratello morto sotto i 30 tiranni: il processo, pare, si svolse negli ultimi mesi del 403 a.C.. Eccone in breve il riassunto: ai 30 ed ai loro collaboratori il governo democratico aveva concesso un'amnistia. Eratostene, però, per riabilitarsi del tutto, si sottopose ad un processo e l'accusatore è proprio il nostro Lisia che gli addebitò la responsabilità della morte del fratello. L'esordio fu da maestro per la forza oratoria e per l'abilità nell'esporre le argomentazioni che sono presentate in uno stile semplice e piano da sembrare del tutto obiettive per passione e calore. Queste caratteristiche si notano, più che nelle altre orazioni, per il fatto che egli è mosso da odio personale. L'esito è incerto, ma molto probabilmente Eratostene fu assolto.
Come mai, ci viene da chiedere, l'orazione di Lisia non ebbe l'effetto sperato considerando che l'oratore fu perfetto e l'accusato senza dubbio colpevole? La risposta è abbastanza semplice: Lisia commise un grave errore di natura psicologica attaccando Eratostene seguace di Teramene. Quest'ultimo, infatti, nell'ambito dei Trenta, si era opposto alla corrente oltranzista capeggiata da Crizia e proprio per questo era stato ucciso. Ora nella mente degli Ateniesi era ancora radicato il ricordo di un Teramene buono, simbolo della libertà. D'altra parte, essendosi da poco riconciliati i due partiti, era vietato ai cittadini perseguire qualcuno per le passate persecuzioni.
È strano, poi, che Lisia, meteco isotele, sia potuto intervenire in un processo di rendiconto. Sembra, perciò, che allora egli godesse ancora dell'effimero diritto di cittadinanza conferitogli su proposta di Trasibulo e poi soppresso perché la stessa non era stata sottoposta al giudizio della "boulè".
Contro Agorato
Anche l'orazione "Contro Agorato" è un atto d'accusa contro i Trenta.
Agorato, infatti, agendo da criminale di guerra, venuto a conoscenza di un complotto che si andava tramando contro i Trenta, lo aveva denunciato causando la morte di alcuni cittadini. Alcuni anni dopo Dionisio, fratello di Dionisodoro, uno dei generali condannati a morte, riesce a portare Agorato in tribunale. I fatti sono esposti in modo da dipingere il più foscamente possibile l'accusato, c'è qualche inesattezza, qualche travisamento dei fatti, qualche esagerazione, ma certamente Agorato era un essere spregevole.
Per l'uccisione di Eratostene
L'Eratostene di cui si parla in un'altra orazione (Per l'uccisione di Eratostene) sembra non abbia niente a che fare con l'altro. Questo, infatti, era un "play boy" dell'antichità il cui unico passatempo era insidiare le mogli altrui. Il marito di una di queste, un certo Eufileto, sorpresolo in flagrante, lo uccide, avvalendosi di un diritto che la legge attica gli concedeva. I parenti dell'ucciso, però, sostenendo la premeditazione dell'assassinio, lo trascinano in tribunale.
Per l'invalido
Per l'invalido fu scritta in favore di un tale che godeva, come del resto tutti i minorati fisici in Atene, di una pensione. Alcuni invidiosi, comunque, lo portano in tribunale perché affermano che non ha diritto alla pensione in quanto possiede un cavallo ed ha una bottega, non è affatto invalido ed inoltre è tracotante e violento. Il discorso rivela il tono sicuro di chi dice cose evidentemente vere: lo stile è semplice e piano, il ragionamento pacato e sereno, l'ironia garbata ed elegante. L'invalido, in questo modo, riesce a dare ai giudici l'impressione di essere un uomo semplice e modesto, che dice le cose così come stanno, alla buona, appigliandosi solo ai suoi diritti.
Orazioni epidittiche
Come orazioni epidittiche di Lisia ricordiamo l'Olimpo, della quale ci resta un solo frammento in cui Lisia parla ai Greci raccolti in Olimpia e li esorta a liberare la Sicilia dalla tirannide di Dionigi, e “Discorso funebre” per i caduti della guerra di Corinto.
Giudizio
Per essersi voluto adattare all'oratoria giudiziaria, Lisia non raggiunse mai l'irruenza e la sublimità di qualche altro oratore; nel suo genere, però, è perfetto. Egli, all'abilità di narrare i fatti, univa una chiarezza incredibile. Lisia non cercava di commuovere i giudici, ma, con la serenità del discorso, parola dopo parola, instillava in loro la persuasione che i fatti si dovevano giudicare così come egli suggeriva.
Un'altra qualità di questo oratore era la semplicità e chi legge od ascolta non riesce neppure lontanamente a pensare che i fatti possano essersi svolti diversamente da come egli li espone. Oltre alla concisione, infine, Lisia aveva la grande capacità di adattare il discorso al carattere ed alla personalità del cliente; quindi era come se quest'ultimo si difendesse da solo servendosi dell'eloquenza ed abilità di Lisia stesso.
A parte il valore letterario, l'opera di Lisia è una fonte preziosa per la storia di Atene ed una vera miniera per la conoscenza del diritto attico.
Fortuna
Lisia fu ammirato da Cicerone e Quintiliano e fu considerato modello di atticismo.